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Tirreno-Adriatico 2016: Vegni, a questo punto ci dimettiamo o no? - La grottesca farsa dell'annullamento della frazione di Monte San Vicino grida vendetta per molti motivi | Cicloweb

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Tirreno-Adriatico 2016: Vegni, a questo punto ci dimettiamo o no? - La grottesca farsa dell'annullamento della frazione di Monte San Vicino grida vendetta per molti motivi

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Mauro Vegni, direttore di RCS Sport © Bettiniphoto

Caro ciclismo, ti compatiamo. E ti ammiriamo. Ti compatiamo per il fatto di essere in mano a personaggi e istituzioni di una mediocrità spaventosa; e ti ammiriamo per essere comunque riuscito ad arrivare vivo al 2016, per essere ancora in grado di appassionarci ed emozionarci, nonostante i personaggi e le istituzioni di cui sopra facciano di tutto per segarti le gambe, per farti mancare il terreno sotto le ruote, per annullare le tue specificità.

Chi pensa che quanto accaduto ieri alla Tirreno-Adriatico abbia dell'incredibile, evidentemente si è perso un gran numero di puntate del serial, in questi ultimi anni, visto che i fatti che hanno portato all'annullamento della tappa più importante della Corsa dei Due Mari non sono che il portato naturale del combinato disposto tra una serie di scelte scellerate, e la naturale miopia di buona parte degli attori in gioco. Proviamo ad analizzare tutti gli elementi in causa, con serenità e inevitabile pessimismo (dettato dal fatto che sicuramente i nostri eroi riusciranno ancora a sorprenderci in negativo, in futuro).

 

Il meteo, ovvero la più grande finta emergenza del nuovo ciclismo
Da diversi anni monta la marea dei meteoropatici in gruppo. Corridori che, facilitati dalla diffusione di Twitter, non perdono occasione per lanciare e rilanciare allarmi sul maltempo previsto in questa o quella corsa. Basandosi su previsioni puntualmente catastrofiche (ma spesso poi non corroborate dalla realtà alla prova dei fatti), gli improvvisati Bernacca del pedale hanno chiesto a più riprese la neutralizzazione di questa o quella corsa, nelle ultime stagioni, accampando ragioni di sicurezza.

Da quest'anno i neutralizzatori hanno un formidabile strumento dalla loro parte: si chiama Extreme Weather Protocol, è stato messo a punto dall'UCI di Brian Cookson con l'intento di chiarire una volta per tutte le condizioni alle quali una corsa può effettivamente essere annullata per ragioni di meteo. Il problema dell'EWP è duplice: da un lato si sono adottati parametri troppo stringenti, per cui gare che fino a qualche tempo fa venivano normalmente disputate, oggi potrebbero essere messe in discussione; dall'altro lato, i termini del protocollo sono abbastanza nebulosi (ci si passi la metafora a tema), per cui molto viene comunque lasciato all'interpretazione dei soggetti chiamati a prendere le decisioni. E come la politica ci insegna, laddove c'è ambiguità ci sarà sempre qualcuno pronto ad approfittarsene.

L'EWP statuisce anche un'altra cosa molto importante: e cioè che anche i corridori e le squadre - con i loro rappresentanti in gara - partecipano della decisione che fin qui riguardava solo gli organizzatori di concerto coi direttori di corsa. Per cui il campo dell'aleatorietà si allarga a dismisura, proporzionalmente al numero di corse a rischio cancellazione.

 

Quel che l'Extreme Weather Protocol non prende in considerazione
Intendiamoci: ben venga la tutela della sicurezza in gara, ben venga anche la scelta di coinvolgere i corridori nelle dinamiche decisionali, potrebbe servire a responsabilizzarli. Ma purtroppo l'Extreme Weather Protocol passa sopra a troppi elementi, perché lo si possa considerare un'innovazione effettivamente buona e giusta.

La prima questione riguarda i materiali nel campo dell'abbigliamento di gara. Pensiamo di non scrivere un'eresia se affermiamo che oggi i corridori possono disporre di protezioni un tempo impensabili, per ripararsi dal freddo e dalle intemperie. Che diamine, se uno sciatore può disputare una discesa libera a oltre 100 km/h (anche oltre 150, a volte) con 10 gradi sottozero indossando una sottile "calzamaglia", davvero pensiamo che un ciclista non possa affrontare in maniera confortevole temperature più alte a velocità più basse? Com'è possibile che condizioni ambientali che fino a non troppo tempo fa erano considerate normali, oggi configurino l'impossibilità a gareggiare?

Il discorso qui si amplia a quel che pensiamo sia o debba essere il ciclismo. È ancora la sfida dell'atleta a se stesso, alla strada, alle avversità, a condizioni che a volte possono essere estreme? Ovvero: è ancora quel che è stato fino all'altro giorno? Perché, sterilizzando sterilizzando, presto o tardi arriveremo anche a veder messe in discussione le discese alpine o pirenaiche (sarà probabilmente il prossimo passo, non c'è da sottovalutare troppo la cosa).

La corsa più appassionante e affascinante del 2015, la Gand-Wevelgem disputata sotto i colpi di un vento impossibile, oggi non sarebbe più fattibile. Cerchiamo di renderci conto di cosa si parla quando si parla di Extreme Weather Protocol, insomma: una diavoleria che minaccia di tagliare un pezzo di ciclismo, e non una parte superflua o insulsa, no: proprio uno degli aspetti più intriganti di questa disciplina. In nome della sicurezza, dicono, ma non ci risulta ci siano mai stati ciclisti morti di freddo in gara.

 

Mauro Vegni e le bugie dalle gambe corte
Dopo questa premessa lunga ma necessaria per inquadrare in qualche modo la situazione storica che stiamo vivendo, veniamo al disastro organizzativo della Tirreno-Adriatico. I fatti sono arcinoti, è successo che dopo qualche giorno di tam tam sulla possibilità che la corsa incontrasse della neve nell'unica tappa appenninica in programma, ieri i timori di qualcuno (e le speranze di altri) si sono reificati: dopo una riunione sotto l'egida dell'EWP, il direttore Mauro Vegni ha annunciato che la tappa sarebbe stata completamente annullata.

Non che sarebbe stata tagliata questa o quella salita, ma che l'intera frazione non si sarebbe disputata.

Non che si sarebbe fatto un percorso alternativo, ma che al gruppo sarebbe stato concesso un giorno di riposo.

Non che si sarebbe aspettata la mattina della tappa, per fare una valutazione più realistica sulle condizioni delle salite, compresa quella dell'arrivo, ma che si sarebbe messa la pietra tombale sulla frazione sin dalla vigilia, sulla scorta di previsioni meteorologiche alquanto allarmistiche.

Ma vediamole queste previsioni: secondo Vegni, a Monte San Vicino (sede d'arrivo) c'erano già ieri 20 cm di neve, e per oggi erano previste precipitazioni nevose già a 700 metri di quota (il traguardo era previsto oltre quota 1200). Condizioni impensabili per gareggiare, quindi. Peccato che da nessuna parte queste fosche previsioni trovassero conforto. Anche sui siti più catastrofisti, non c'era traccia dello scenario prefigurato dall'ineffabile Vegni. E oggi la prova dei fatti è stata bruciante per il direttore della Tirreno: neanche un fiocco di neve a Monte San Vicino, e condizioni accettabili lungo tutto il percorso della tappa cancellata. Una figuraccia di proporzioni incomprensibili.

 

RCS Sport, prova di inadeguatezza totale
Che l'impianto giustificazionista addotto da Vegni facesse acqua da tutte le parti, lo si è capito abbastanza presto. Già il fatto che non fosse attuabile un piano B (ovvero far disputare la tappa su un percorso alternativo, a quote meno elevate) la dice lunga sull'approssimazione con cui è stata gestita la cosa. Che Vegni abbia parlato di neve a quota 700 (una bugia enorme) per spiegare come mai non si sia optato per un tracciato diverso da quello originario, fa il paio con le scuse sulle problematiche burocratiche (non c'era più tempo per allertare le prefetture e bla bla bla). Scuse, sì.

Quando si organizza un evento importante come la Tirreno-Adriatico (che, in piccolo, è come il Giro d'Italia) non ci si può trincerare dietro a queste risibili giustificazioni. Non siamo alle scuole elementari, lo capiamo da lontano quando qualcuno è in malafede, e in quest'occasione Vegni è in malafede. Oggi si è detto che una possibilità è che RCS Sport avesse difficoltà a trasportare a Monte San Vicino le attrezzature dell'arrivo, e che abbia mascherato dietro la questione maltempo le sue pecche organizzative. Non sappiamo se ciò sia vero, sta di fatto che si è creato un precedente pericoloso e paradossale: una corsa può essere annullata sulla fiducia, inventandosi di sana pianta un problema meteo, o dando fiato alle fanfare sempre pronte a chiedere una neutralizzazione. Il ciclismo prossimo alla fine, insomma. Una situazione certo favorita dal clima, dal contesto che abbiamo illustrato più su; ma sancita oggi dall'inadeguatezza assoluta di RCS Sport.

 

Tremiamo al pensiero di quanto accadrà al Giro d'Italia
Ora, questi sono i presupposti con cui ci accosteremo al Giro d'Italia, tra meno di un paio di mesi. Mutatis mutandis, come alla Tirreno si demandava il compito di "fare" la classifica alla tappa di Monte San Vicino, senza che ci fossero altre frazioni in cui gli uomini più forti potessero battagliare, così alla corsa rosa molta della storia dell'edizione 2016 sarà scritta su un paio di salite over 2500 come Agnello e Bonette, in programma alla terz'ultima e alla penultima tappa. In pratica, basterà un weekend meteorologicamente turbolento, e queste due scalate ce le sognamo, ritrovandoci un percorso decisamente deturpato, e proprio nel fine-settimana più atteso dagli appassionati della corsa rosa.

Ancora una volta, scelte discutibili (era proprio necessario inserire due colli over 2500 in passaggi così agonisticamente decisivi per il Giro?) si accostano all'atavica incapacità di previsione del rischio. E torniamo al discorso sui famigerati piani B: è fantascienza sperare che Vegni renda noti sin dalla vigilia della corsa rosa i percorsi alternativi in caso di maltempo nei tapponi (mettiamoci pure la cavalcata dolomitica del penultimo sabato, tutta su vette over 2000)? L'esperienza maturata fin qui ci dice che sì, è fantascienza. Ma si può pensare che l'evento principale del nostro ciclismo sia legato a un grado così alto di improvvisazione e mancanza di pianificazione?

 

Tirreno-Adriatico svilita e corridori arrabbiati
Naturalmente non a tutti le cose vanno bene così come sono, anche tra i corridori. L'entourage di Vincenzo Nibali è stato molto attivo oggi, con video che dimostravano l'assoluta transitabilità di Monte San Vicino, con richieste per avere una salita nel finale della tappa di domani, con accuse all'organizzazione (rea di non aver detto tutta la verità sulla vicenda), e anche con una non troppo velata minaccia: lo Squalo dello Stretto, principale attrazione della prossima corsa rosa, potrebbe decidere di disertarla per puntare di nuovo tutto sul Tour. Almeno alla Grande Boucle avrebbe la certezza di non incappare in tappe decisive decurtate o proprio annullate (cosa peraltro già vissuta dal messinese nel vittorioso Giro 2013).

In generale, la credibilità di RCS Sport come organizzatore è scesa molto in basso, dopo questa pagliacciata. Ci chiediamo con quali credenziali Vegni e i suoi proveranno a convincere i più forti corridori di livello internazionale a partecipare a corse che non danno certezze sul piano tecnico. Un Thibaut Pinot, entusiasta di correre in Italia, è stato tra i più amareggiati per la vicenda Monte San Vicino.

In termini meramente pratici, un corridore che avesse pianificato di fare un certo tipo di percorso a livello di preparazione, si ritrova oggi senza un'importante tappa nelle gambe: non conta nulla? Forse per Vegni, ma per chi punta a obiettivi importanti nel corso della stagione, conta eccome.

In ultima analisi, ci chiediamo che valore abbia realmente la Tirreno-Adriatico per RCS Sport: se si decide così a cuor leggero di trasformare in farsa una gara la quale aveva raggiunto nel tempo uno status invidiabile (grande startlist, percorsi molto accattivanti, spettacolo che da diversi anni era di alto rango), il sospetto è che gli organizzatori non la considerino per quel che effettivamente è; che non la valutino come una ricchezza per la casata, ma come un accessorio. Bel modo di valorizzare i propri asset.

 

Come impoverire drammaticamente il ciclismo tutto
A valle di tutto ciò c'è poi il portato che questa storiaccia avrà sul ciclismo tutto. Il danno è grosso, anche più di quanto pensino gli "uomini rosa". Ultimamente le comunità montane erano gli unici enti in grado di sborsare grosse cifre per il passaggio di un Giro (o di una Tirreno); con i chiari di luna esibiti tra ieri e oggi, la voglia di rischiare denaro ed energia da parte di queste comunità aumenterà o diminuirà? Sapendo che basterà un venticello per cancellare mesi di lavoro per portare una tappa in una data località, investiranno sul ciclismo su strada o sulla MTB o proprio sul curling?

E i tifosi? Si sposteranno in massa alla volta delle vette mitiche, una volta appurato che ogni singola tappa alpina sarà a rischio di soppressione? Chi prenoterà più un albergo a distanza di tempo, chi si prenderà le ferie per salire lassù in camper?

E i telespettatori, quelli che in settimana lavorano e aspettano le tappe della domenica per godersi un po' di sano ciclismo, di loro che ne facciamo? Li avviamo alla disaffezione, perché si sa che se mi deludi oggi e mi deludi domani, alla lunga mi dedico ad altro nel giorno della festa?

Ecco che quindi il caso Monte San Vicino è molto più importante di quanto anche gli stessi corridori non riescano a capire. Quei corridori che si punzecchiano l'un l'altro su Twitter, che sposano la causa dell'EWP come se dalla sua applicazione dipendesse il successo del ciclismo e quindi anche la salvezza dei loro stipendi, come al solito non hanno capito un tubo. Dovrebbero essere i primi a voler gareggiare sotto un po' di neve, o sotto un po' di vento, o sotto un po' di pioggia. Dovrebbero essere i primi a voler mettere la firma per avere condizioni ambientali che rendano tutto un po' più epico. Ma non sanno guardare al di là del loro naso: e onestamente non vediamo la novità, visto che sono decenni che questi ragazzi - per molti altri versi amabili e degni di stima e ammirazione - brillano per miopia.

 

Vegni e quelle dimissioni che non verranno
In definitiva, ci spiace dirlo ma è inevitabile, alla fine di tutta questa fiera dovremmo assistere al bel gesto di Mauro Vegni, alle sue dimissioni. Il pasticcio partorito in questi giorni è davvero troppo grosso perché resti privo di conseguenze. Il danno di credibilità al ciclismo tout-court e a quello italiano in particolare, è enorme. Ma accadrà qualcosa in tal senso? No.

Vegni resterà sulla tolda, tireremo a campare con lui per un altro po', finché logiche ben lontane da quelle dei risultati sportivi porteranno a un avvicendamento con qualcun altro (e non è detto che quel qualcun altro sia poi migliore di lui).

Dobbiamo chiarire che non abbiamo nulla di personale contro il direttore del Giro, l'abbiamo spesso difeso in passato, ci sta anche umanamente simpatico. Ma non è possibile che in questo paese (e in questo sport) non ci sia mai qualcuno che si assume le responsabilità per gli errori commessi, errori che poi ricadono su una moltitudine di persone. Non succederà neanche stavolta, ma noialtri abbiamo il dovere di scriverlo e di chiederlo: Vegni, a questo punto ci dimettiamo o no?

Marco Grassi

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