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World Cycling: Spicchi di gloria per il mandarino Gavazzi - Alla scoperta del ciclismo cinese con il bresciano dell'Amore & Vita che all'ombra della Grande Muraglia vanta 13 vittorie in 2 anni | Cicloweb

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World Cycling: Spicchi di gloria per il mandarino Gavazzi - Alla scoperta del ciclismo cinese con il bresciano dell'Amore & Vita che all'ombra della Grande Muraglia vanta 13 vittorie in 2 anni

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Mattia Gavazzi vince il maglia gialla al Tour of China II © Team-amoreevita.com

In questo finale di stagione la Cina è stata terra di conquista per tanti corridori italiani: il recente Tour of Taihu Lake, conclusosi domenica dopo ben nove frazioni, ha visto un podio finale non solo azzurro al 100%, ma addirittura tutto di marca bresciana visto che accanto al dominatore Jakub Mareczko (sette vittorie di tappa più la generale) sono saliti Andrea Palini e Marco Zanotti. Tuttavia non è passata inosservata l'assenza di un altro velocista bresciano che negli ultimi due anni proprio in Cina è riuscito a conquistare la bellezza di 13 successi: stiamo parlando del 32enne Mattia Gavazzi, portacolori dell'Amore & Vita.

Nel corso della sua carriera Gavazzi ha vinto tanto, anche in Italia ed in Europa, ma guardando il suo palmarès sembrerebbe quasi che più ci si allontana dallo stivale e più le sue possibilità di vittoria aumentino: Mattia infatti è riuscito a lasciare il segno negli Stati Uniti, in Messico, in Venezuela, in Argentina, in Malesia e appunto anche in Cina, quella che rapidamente è diventata la sua meta preferita. Chi meglio di lui quindi per raccontare l'esperienza di un ciclista giramondo e l'atmosfera che si vive in queste corse esotiche di cui poco sappiamo qui in Italia? Quando lo sentiamo, Gavazzi è giusto in partenza per l'ultima trasferta dell'anno...

La tua stagione non è ancora finita, cosa ti aspetta ancora?
«Sono di nuovo in partenza per la Cina dove da sabato e lunedì disputerò il Tour of Fuzhou. È l'ultima gara dell'anno e devo ammettere che negli ultimi 20 giorni ho un po' mollato, ho già fatto anche qualche camminata in montagna: ho cercato comunque di tenere duro il più possibile come forma di rispetto, anche perché qui l'anno scorso ho vinto l'ultima tappa, la terza, e gli organizzatori nell'invitare la squadra hanno richiesto espressamente la mia presenza».

La tua è stata una stagione molto positiva, dieci vittorie e sei anche tra i primi dell'Asia Tour.
«Il mio 2015 è stato molto buono e sono contento di essere arrivato a quota dieci vittorie perché era l'obiettivo che mi ero prefissato ad inizio stagione. Per quanto riguarda l'Asia Tour devo dire che non ce lo aspettavamo neanche noi ed è stato un peccato non aver potuto correre il Tour of Hainan ma soprattutto il Tour of Taihu Lake: sarebbe stato bello essere lì a lottare con gli altri bresciani, Mareczko è andato fortissimo ma penso che in qualche tappa avrei anche potuto batterlo e piazzandomi nella generale avrei potuto fare i punti per andare in testa alla classifica del circuito asiatico. Così invece Mareczko mi ha tolto anche il titolo di corridore italiano più vincente del 2015: mi restano i tre giorni del Fuzhou, ma la seconda tappa prevede un duro arrivo in salita che proprio non fa per me».

Cosa si prova a vincere per la prima volta in carriera la classifica finale di una gara a tappe?
«Per me quella del Tour of China II è stata un'esperienza completamente nuova, non mi era mai capitato in tanti anni in sella alla bicicletta. Nel 2009 in Malesia avevo vinto le prime tre tappe ed ero ovviamente in testa alla classifica ma poi sapevo che comunque c'era un arrivo in salita e quindi ero concentrato solo sulle singole tappe: in Cina invece ho vinto subito la prima tappa, ho preso la maglia e studiando le altre tappe ho capito che ce l'avrei potuta fare. Ma in quei giorni ho dovuto cambiare completamente il mio modo di correre: di solito sono abituato a mettermi in coda al gruppo in avvio di tappa per poi risalire negli ultimi 20 chilometri prima della volata, al Tour of China II dovevo essere sempre davanti per controllare le fughe, per fare gli sprint ai traguardi volanti ed essere pronto per la volata con la consapevolezza di non poter sbagliare nulla. È stata davvero una sfida affascinante perché con pochi secondi di differenza in classifica eravamo sempre in tensione: solo l'ultima tappa ero un po' più tranquillo perché con gli abbuoni Marini non mi poteva più superare, ma comunque siamo dovuti stare attentissimi perché in quelle condizioni se ti scappa una fuga anche solo per 20" tutto è compromesso. I miei compagni di squadra hanno fatto un grandissimo lavoro ed è stata una bellissima soddisfazione portare a casa quella maglia».

In Italia non sappiamo molto di queste corse, com'è il ciclismo in Cina?
«Il ciclismo cinese sta crescendo molto e sono convinto che ci siano potenzialità enormi, nel giro di qualche anno secondo me usciranno fuori dei bei corridori: adesso non hanno gente fortissima, ma due o tre te li trovi sempre davanti in queste corse e abbiamo imparato a non sottovalutarli; un corridore interessante è Wang che ha vinto una tappa al Tour of China I. Per fare un salto di qualità avrebbero bisogno dell'esperienza di un po' di tecnici europei perché da come mi hanno raccontato certi corridori vanno a fare ritiri in altura a quasi 4000 metri e poi sono capaci di restare due settimane intere in albergo a fare rulli. Per quella che è la mia esperienza sta crescendo molto anche l'interesse attorno a tutto il movimento ed il fatto che molte tappe siano dei circuiti nelle città aiuta la partecipazione del pubblico: anche solo da un anno all'altro ho visto che sono aumentati gli amatori che vengono a vederci in bicicletta, alcuni magari hanno una bici da migliaia di euro e poi sono vestiti con la tuta e una felpa, però dopo la corsa in tanti chiedono una borraccia, i guantini, un cappellino o anche se la squadra ha una divisa da vendergli».

E l'organizzazione com'è? Si corre in sicurezza?
«Ah, qui l'organizzazione è davvero spettacolare, ottima: i percorsi vengono chiusi dal primo all'ultimo chilometro fin dal mattino, a presidiare le strade c'è l'esercito che ha l'ordine di non far entrare nessuno sul percorso. Sono molto rigidi, forse anche troppo: l'anno scorso al Tour of Taihu Lake ero stato messo fuori corsa perché dopo una caduta e un incidente meccanico mi ero un po' aiutato con l'ammiraglia per tornare in gruppo, i giorni successivi quindi volevo approfittarne per allenarmi sul percorso visto che era in sicurezza, una cosa abbastanza normale ma mi hanno fermato e mi volevano sequestrate la bicicletta. C'è stato un po' di casino, un po' di incomprensioni e alla fine siamo dovuti andare a spiegarci in caserma. A parte quest'episodio io mi sono sempre trovato benissimo, forse sono un po' indietro con la logistica, ma bisogna considerare che in Cina le distanze da coprire tra una città e l'altra sono molto maggiori e quindi spesso capita di dover fare lunghi trasferimenti. Comunque all'arrivo della tappa l'organizzazione ci fa sempre trovare un albergo per fare la doccia e magari riposare un paio d'ore, poi si riparte in pullman per tre o quattro ore per raggiungere l'albergo della sera. È capitato anche di fare trasferimenti in aereo ed è stato impressionante, quattro o cinque voli per spostare tutta la carovana, precedenda al check-in, tutto davvero perfetto: considerate che certi organizzatori avranno circa 350 persone a disposizione sulla corsa. Le strutture sono ottime, gli alberghi sono molto belli e non ho mai avuto problemi con il cibo o altro: io mi trovo proprio bene e ci torno sempre volentieri, più che se devo andare in America».

Insomma, pare di capire che in Cina nel ciclismo le risorse non manchino...
«Decisamente no! Anzi, da quello che so loro vorrebbero organizzare una grande corsa a tappe di tre settimane e stanno parlando con l'UCI per avere il via libera: da quello che sentivo le possibilità sarebbero due, o allargare il Tour of Qinghai Lake per avere una corsa più dura, oppure creare un Tour of China III e poi unirlo agli altri due. Un altro motivo per cui in tanti sono contenti di venire a correre qui sono i premi, il Qinghai Lake mi pare abbia un montepremi di 500 mila dollari, che vengono sempre pagati in contanti oppure già una o due settimane dopo la corsa: il premi del Tour of China per esempio mi sono già arrivati, da altre parti magari ti tocca aspettare un anno intero, sempre se ti arrivano».

Con 13 vittorie in due stagioni, sei quasi una star del ciclismo cinese
«In corsa c'è grande rispetto e capita spesso che quei tre o quattro corridori cinesi più forti facciano di tutto per mettersi a ruota prima della volata. Ma lì in Cina ho un ottimo rapporto con molte persone, dai giornalisti agli organizzatori anche perché poi ci si ritrova sempre gara dopo gara e con alcuni riesco a tenermi in contatto anche quando sono in Italia: come detto, il Tour of Fuzhou ha fortemente voluto che ci fossi anche io e devo dire che è piacevole sentirsi così apprezzato. Devo dire che anche la livello di squadra con l'Amore & Vita abbiamo ottime relazioni con questo mondo: la squadra è stata una delle prime a credere fortemente in queste corse, ha dato fiducia agli organizzatori e ora che le gare sono cresciute molto la fiducia viene ricambiata con tutti questi inviti; poi l'Amore & Vita è una squadra che fa sempre la corsa, siamo quasi sempre davanti a controllare il gruppo e questo ci mette in evidenza ed infatti abbiamo avuto contatti con diversi potenziali sponsor cinesi, con qualcuno credo che concretizzeremo a breve».

Come è la vita del ciclista giramondo? Tra i tutti i viaggi che hai fatto sei riuscito a visitare un po' i luoghi in cui hai corso?
«Non è facile, fare tutte queste trasferte a volte pesa perché si resta molto tempo lontano da casa: prendiamo ad esempio la Cina, a fare tutte le corse una dietro l'altra si resterebbe fuori quasi due mesi. Però io mi sento molto fortunato perché il ciclismo mi ha dato la possibilità di vedere e conoscere dei luoghi fantastici che chi fa un altro lavoro non potrà mai visitare: i sacrifici sono tanti, ma spesso vengono ripagati. Purtroppo con le corse non è facile apprezzare appieno certi posti, ma io sono uno che cerca di approfittare sempre di ogni momento: se c'è un giorno libero di riposo non resto chiuso in albergo, ma prendo la bici e vado a girare, magari cerco quei mercatini dove puoi capire veramente come è la vita in quel posto. La Cina è bellissima, io mi sono assolutamente innamorato del Tour of Qinghai Lake e spero di poterci tornare ogni anno finché sarò un corridore: la fatica si sente perché magari ti capita una partenza in salita che da 1600 metri ti porta fino a 3900, ma i paesaggi sono spettacolari, sei al confine con il Tibet, c'è questo grande lago a 3200 metri di quota e poi i templi, i monaci, i colori... davvero fantastico! L'unico problema è se cambia il tempo, perché se non sei preparato a più di 3000 metri sono dolori».

C'è qualche tuo rivale che anche lui vive il il ciclismo girando in tutto il mondo e con cui ti confronti spesso in volata?
«Più di uno, anche perché ormai questa corse sono sempre più ambite. Con lo sloveno Kump ad esempio ci siamo trovati contro in Europa e poi anche al Qinghai Lake: su 13 tappe lui ne ha vinte 5, io ne ho vinte 4. Quello che conosco meglio però è il russo Boris Shpilevsky, abbiamo corso assieme per due anni nel 2007 e nel 2008, adesso lui corre con la RTS di Taiwan ma è uno di quelli che di gare in Cina non ne manca una e poi in volata è sempre lì davanti: prima era lui il dominatore, quest'anno gli ho un po' rubato la scena anche perché so che non è stato bene e ha avuto qualche problema personale, ma al Tour of China II quando ho vinto comunque c'era anche lui sul podio. Una cosa bella di queste corse è che c'è un po' meno stress e così essendo tutti negli stessi alberghi alla sera si parla, si scherza, ci si conosce e per questo si riescono a tenere certi contatti, come faccio con Boris: in Europa invece c'è più pressione, dopo cena spariscono tutti».

Oltre alla Cina quali altri posti ricordi con piacere?
«Senza dubbio la Malesia, ma anche l'Argentina perché il Tour de San Luis è una bellissima corsa e al ritorno eravamo riusciti a girare un po' per Buenos Aires. Però nel confronto dico Malesia perché ho visto posti bellissimi, quando arrivi in cima alla famosa salita di Genting Highlands ti trovi in un luogo fantastico, poi correre e vedere a bordo strada e sugli alberi le scimmiette che saltano è qualcosa di unico».

Hai vinto in Europa, in Asia ed in America, sia al Nord che al Sud: hai mai pensato di completare la "collezione" cercando successi in Africa ed in Australia?
«Sì, ci qualche volta ci ho pensato, ma non è facile perché deve capitare l'occasione giusta. Per quanto riguarda l'Australia è un po' più difficile perché le corse internazionali sono molto poche e quelle che ci sono difficilmente hanno interesse ad invitare delle Continental europee. Per quanto riguarda l'Africa invece già quest'anno s'era un po' parlato con Fanini della possibilità di andare a fare una serie di gare in Marocco tra marzo e aprile, in modo da mettere un po' di chilometri nelle gambe sfruttando il buon clima: però mi piacerebbe prima o poi provare l'esperienza di una corsa africana».

Viaggiare è bello, ma ti manca un po' il ciclismo europeo?
«Beh, mentirei se dicessi di no, la Cina è incredibile e sta crescendo ma il ciclismo vero è quello che c'è in Europa. Il sogno di tutti i corridori è di poter correre il Giro, il Tour, la Sanremo o la Roubaix ma bisogna essere realisti perché se non si è nel World Tour è quasi impossibile: io probabilmente mi sono giocato le possibilità di approdare in grande team con gli errori che ho fatto in passato e poi ora tra MPCC e altro è molto difficile che le squadre del World Tour ingaggino un corridore con una squalifica alle spalle. Io comunque sono molto soddisfatto, mi sono costruito una mia bella dimensione, giro molto, ottengo buoni risultati: certo, il sogno di correre ancora una volta il Giro d'Italia c'è, ma so che sarà molto difficile».

Adesso quindi Fuzhou e una meritata vacanza, per il 2016 hai già fatto programmi?
«Resterò ancora all'Amore & Vita, mi trovo bene, con la famiglia Fanini c'è un ottimo rapporto e poi è arrivato anche un nuovo direttore sportivo, Frassi, che all'inizio del 2015 ha preso in mano la squadra e dopo la fase iniziale di rodaggio direi che ci siamo lanciati molto bene in questo finale di stagione; c'è stata una squadra asiatica che si era fatta avanti, poteva essere una possibilità ma poi non siamo entrati più nei dettagli. A livello di gare penso che farò un calendario simile a quello di quest'anno, inizio al caldo in Messico e poi la Coppi e Bartali in Italia, una delle poche corse che ancora c'è e che ci invita, ci terrei a fare bene e magari vincere una tappa. In Toscana forse si sta muovendo qualcosa con un po' di organizzatori locali che potrebbero mettersi assieme per fare una gara a tappe, ma non so se già nel 2016. Con la questione delle Olimpiadi ad agosto e dei Mondiali ad ottobre, il calendario asiatico sarà un po' diverso: il Qinghai Lake sarà anticipato a luglio, le altre invece dovrebbero essere tutte una dietro l'altra e parlando con gli organizzatori abbiamo già avuto garanzie che le faremo praticamente tutte. In mezzo potremmo fare Agostoni e Bernocchi, saranno mesi molto intensi, con molti sacrifici e vedendo come è andata quest'anno mi piacerebbe concentrarmi sulla classifica dell'Asia Tour, iraniani permettendo...»

Sebastiano Cipriani

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