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World Cycling: Il Giappone e il suo ciclismo che sogna il Giro d'Italia - Intervista a Flavio Valsecchi, unico italiano del J Pro Tour, movimento autarchico e seguitissimo | Cicloweb

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World Cycling: Il Giappone e il suo ciclismo che sogna il Giro d'Italia - Intervista a Flavio Valsecchi, unico italiano del J Pro Tour, movimento autarchico e seguitissimo

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Il podio della gara vinta da Flavio Valsecchi in Giappone © Nakao Akihiro

Non è un mistero che ogni anno RCS Sport riceva numerose candidature dall'estero per ospitare la Grande Partenza o anche solo una tappa del Giro d'Italia, ma l'indiscrezione rilanciata ieri da un sito belga è davvero clamorosa: dopo Washington e New York, infatti, sarebbe in fase di studio addirittura la possibilità che la corsa rosa prenda in via dal Giappone e più precisamente dalla città di Shizuoka. Impressionanti alcuni dettagli della notizia: si parla del 2017, di quattro tappe di cui una sul mitico Monte Fuji, un budget di 35 milioni di euro ed un bonus di mezzo milione a squadra per addolcire il peso dello stress che comporterebbe una tale trasferta.

Il direttore Mauro Vegni ha spento gli entusiasmi dichiarando premature le voci di una partenza del Giro d'Italia dal Giappone, impossibile nel 2017 viste le tempistiche ristrette (servono accordi speciali con l'UCI e con le squadre) e per il fatto che quella sarà la 100esima edizione della corsa rosa e che quindi si punterà a restare dentro i confini nazionali: tuttavia Vegni non ha smentito l'esistenza di alcuni contatti, alimentando il dibatto sulla fattibilità del tutto. Ma a parte il discorso economico ed il fascino della sfida organizzativa, la partenza di un Grande Giro da un paese in cui il ciclismo non è certo lo sport nazionale come il Giappone può essere un evento destinato ad avere un successo globale?

Nel 2016 il ciclismo giapponese avrà appena due corridori nel World Tour, Fumiyuki Beppu nella Trek e Yukiya Arashiro nella Lampre, più una formazione Professional come la Nippo-Vini Fantini che tra le proprie fila ne conterà altri tre o quattro. Parallelamente a questi pochissimi nomi noti agli appassionati europei, il Giappone può vantare comunque un movimento nazionale molto attivo che non possiamo trovare sui calendari dell'UCI e che non fa molto parlare di sé sui siti specializzati internazionali che fanno da punto di riferimento per i tifosi.

Nel 2006, ispirandosi a quanto fatto dall'UCI, la federazione giappone ha dato vita al J Tour che poi dal 2011 ha cambiato denominazione in J Pro Tour: questo circuito prevede un totale di 24 gare lungo tutto l'arco della stagione in cui si sfidano le 20 squadre più forti del paese, selezionate tra quelle iscritte all'UCI come Continental e quelle che hanno ottenuto i risultati migliori nell'anno precedente: l'edizione 2015 si è conclusa proprio lo scorso weekend con la vittoria del 30enne Yusuke Hatanaka che ha totalizzato 16017 punti contro i 12757 dello spagnolo José Vicente Toribio che aveva trionfato nel 2013 e nel 2014; Hatanaka è riuscito ad eguagliare così il record di Shinri Suzuki, ancora in gruppo nonostante i quasi 41 anni di età e unico altro corridore in grado di aggiudicarsi per tre volte la classifica finale del J Pro Tour.

Questi sono solo semplici dati che si possono trovare con un breve lavoro sui motori di ricerca e con l'aiuto di un traduttore automatico, ma per andare a scoprire più a fondo questo mondo sconosciuto delle due ruote ci siamo affidati a Flavio Valsecchi, corridore brianzolo classe 1989, unico italiano che nel J Pro Tour ci ha gareggiato facendo parte per più di un anno di formazioni giapponesi.

La prima curiosità è ovviamente come ha fatto un giovane corridore brianzolo a finire a correre dall'altra parte del globo?
«Tutto è iniziato a settembre 2013, facevo parte del Velo Club Mendrisio e la squadra è stata invitata a correre il Tour de Hokkaido. La squadra è abbastanza conosciuta da queste parti, in corsa mi sono comportato bene e da lì sono nati i primi contatti con Team Ukyo, la squadra dell'ex pilota di Formula 1 Katayama, che poi mi ha offerto la possibilità di provare quest'avventura».

Qui in Europa si conosce poco o nulla del J Pro Tour e del ciclismo giapponese, che mondo hai trovato?
«Quando sono partito non avevo minimamente idea di quello che mi aspettava perché una settimana di corsa al Tour de Hokkaido è troppo poco per conoscere questa realtà. Le gare sono generalmente molto ben organizzate, alcune strade sono un po' strette o pericolose quando si entra nei paesi ma bene o male è così ovunque. Le corse su strada hanno dei chilometraggi che vanno dai 120 ai 150 chilometri, ma un formato molto comune sono le gare in salita, le "Hill Climb", dove si parte tutti assieme ai piedi di una montagna e la gara termina una volta arrivati in cima, un specie di cronoscalata ma di gruppo. E poi ci sono i Criterium che vengono divisi in due parti: al mattino c'è la qualifica con un centinaio di corridori, poi i migliori 50 passano alla gara vera e propria del pomeriggio; arrivi alla sera che sei veramente devastato perché i chilometraggi sono ridotti, una quarantina di chilometri al mattino e poi 80 al pomeriggio, ma si parte con i rulli di riscaldamento, poi si gareggia a tutta dal primo metro, poi di nuovo rulli e infine la finale dove tutti corrono con il coltello tra i denti».

A livello di squadre invece?
«Come detto, io all'inizio ho corso prima con il Team Ukyo (che ha vinto la classifica a squadre del J Pro Tour nel 2013 e nel 2015, ndr) e poi con la Ciervo Nara-Merida: io ho lavorato spesso per i miei compagni, ma nelle giornate di libertà sono riuscito a vincere un criterium a Kyoto e ad ottenere alcuni piazzamenti. Per gli allenamenti ci gestiamo da soli noi corridori, ma all'inizio dell'anno la squadra ci dà una tabella degli obiettivi con le gare più importante o comunque quelle di maggior interesse. Qui le competizioni nazionali sono molto sentite, c'è molta rivalità pur in un contesto di grande rispetto ed alcuni team magari preferiscono queste gare più che uscire dal paese per fare una gara di seconda categoria dell'Asia Tour: quando un criterium si disputa nella città di uno sponsor, o se sono presenti molti tifosi, pressioni e motivazioni aumentano e a volte vengono fuori corse davvero spettacolari. Una cosa bellissima è che spesso anche le squadre più piccole hanno dei gruppi di appassionati che si presentano alle corse con striscioni, gigantografie e adesivi da tutte le parti, dal punto di vista ciclistico il Giappone sta crescendo molto e sta aumentando anche il numero di tifosi: in questo oltre alla visibilità dei media aiuta anche il fatto che prima di tutte le gare c'è una presentazione delle varie squadre, si crea un bell'ambiente».

Come venite visti voi pochi corridori europei del gruppo?
«In gruppo c'è grandissimo rispetto nei nostri confronti e spesso sono gli stessi corridori locali a chiederci dei consigli in corsa o durante gli allenamenti. In più i media e i tifosi sono molto attratti da noi corridori europei quindi riceviamo attenzioni che ci fanno sentire apprezzati per quello che facciamo: Cunego è un vero e proprio idolo qui e pensate che poco tempo fa ho portato a Salvatore Commesso un fumetto sul ciclismo in cui è raffigurato anche lui, anche adesso che non corre più da tanti anni è ancora un personaggio conosciuto e stimato per quello che ha fatto... gli ho detto che una volta dobbiamo venire in Giappone assieme e di prepararsi perché ci saranno da fare un sacco di autografi».

Le gare sono distribuite su tutto il paese o ci sono regioni dove il ciclismo è più sentito?
«Tra il J Pro Tour e tutte le altre gare si finisce per girare un po' tutto il paese, alcune volte abbiamo affrontato delle trasferte molto impegnative con parecchie ore di trasferimento, altre volte invece per i viaggi più lunghi ci siamo spostati direttamente in aereo, in particolare quando si va a correre sulle altre isole, come ad esempio a Okinawa o Hokkaido».

Tu hai corso tra i dilettanti in Italia, si possono fare dei paragoni con il Giappone?
«No, sono due realtà abbastanza diverse. Nelle gare in Giappone trovi ragazzi che si staccano subito, ma ci sono anche corridori come alcuni spagnoli, francesi o anche gli stessi giapponesi che arrivano da esperienze con squadre World Tour e la differenza si vede subito: magari sono in pochi ad andare forte, ma quei pochi vanno forte sul serio. Uno molto interessante che potrebbe far bene anche in Europa è il mio vecchio compagno di squadra Kuboki (il prossimo anno correrà nella Nippo-Vini Fantini, ndr), è un velocista ma tiene bene anche in salita perché qui quando ti dicono che un criterium è pianeggiante non ti devi fidare, c'è sempre qualche strappo. In Italia invece le gare sono diverse ed il livello è più equilibrato, in comune c'è solo il grande agonismo».

Siamo a novembre e molti ciclisti sono ancora senza contratto: consiglieresti di provare un'esperienza in Giappone?
«Certamente, non è facile ma ne vale la pena. All'inizio sarà dura per la lingua, per la cultura, per il cibo e per un modo di vivere completamente diverso: io sono riuscito ad adattarmi abbastanza in fretta e devo dire che le squadre sono serie e affidabili, lo stipendio è buono e certe corse hanno anche una bella tabella di premi in denaro. Certo, qui di pasta quasi non se ne vede...».

Per concludere, quali sono i tuoi progetti attuali?
«Quest'anno sono rientrato in Italia e ho corso metà stagione con la Palazzago perché mi era scaduto il visto giapponese. Ora sono tornato, non ho ancora firmato nulla ma vorrei riuscire a proseguire questa bella avventura e, chissà, magari riuscire a disputare anche gare come il Tour of Japan o la Japan Cup che non ho ancora fatto. In Giappone ho comunque un ottimo rapporto con tante persone e mi piacerebbe riuscire ad aprire qui un mio negozio di biciclette: ne ho già uno a Meda, la mia città, e sarebbe fantastico collegare l'Italia con quella che sta iniziando a diventare quasi la mia seconda casa».

Sebastiano Cipriani

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