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Il personaggio: Ferrand-Prévot, l'iride come una seconda pelle - Dopo strada e ciclocross, Pauline vince il Mondiale nella MTB. È una tripletta storica | Cicloweb

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Il personaggio: Ferrand-Prévot, l'iride come una seconda pelle - Dopo strada e ciclocross, Pauline vince il Mondiale nella MTB. È una tripletta storica

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A Vallnord Pauline Ferrand-Prévot conquista la maglia iridata nella MTB © Vallnordworldchampionships.com

Trovare posto nella storia di uno sport come il ciclismo è impresa riservata a non così tanti atleti. Riuscire a trovarlo addirittura nella leggenda per aver realizzato imprese in cui mai nessuno era riuscito a spingersi è un qualcosa che può essere resa possibile da pochissimi, se non addirittura sconfinando nell'unicità. Di Pauline Ferrand-Prévot già tanto si è scritto e non solamente per quell'esteticità che la rende anche mediaticamente appetibile, quanto per quel talento fuori dal comune che la rende atleta per tutte le stagioni come nessun'altra al mondo. Francese come un'autentica leggenda vivente del pedale in rosa come Jeannie Longo, l'instancabile fuoriclasse che ha saputo portare ai limiti estremi qualsiasi considerazione sulla longevità (col rischio, assolutamente fondato, di sconfinare nell'ossessione) dopo aver vinto tutto quello che era possibile vincere soprattutto su strada. Poliedrica come Marianne Vos, vale a dire il più straordinario talento che il ciclismo femminile abbia mai visto e che finora aveva costituito il baluardo più significativo e luminoso della multidisciplinarietà, che l'aveva portata a vincere praticamente tutto su strada e a conquistare ori mondiali e olimpici anche su pista e nel ciclocross.

Dopo queste ultime considerazioni si potrebbe quasi fare a meno di proseguire qualsiasi discussione, sicuri di aver raggiunto ormai l'Empireo. Proprio qui invece si colloca Pauline, giunta a delle ideali colonne d'Ercole che l'hanno proiettata ad un mare aperto di sfide che nell'iperspecializzato ciclismo d'oggi rasenterebbe il limite della follia anche solo ad immaginarle. Non ci vogliamo volutamente azzardare in paragoni né con la Longo né con la Vos (che pure, nonostante in questa stagione abbia aleggiato sul gruppo come un fantasma pronto a tornare e a gettare nell'incubo qualunque avversaria, rivedremo grandissima protagonista tra qualche mese) proprio perché ha saputo conquistarsi e meritarsi la propria unicità, mettendo a segno un'impresa che possiamo, senza mezzi termini, definire sensazionale: conquistare tre maglie iridate in dodici mesi in tre diverse discipline (strada, ciclocross e MTB) e di riuscire a detenerle contemporaneamente. A dire il vero le maglie di campionessa del mondo sono quattro, aggiungendo quella conquistata nel Team Relay agli albori della rassegna iridata di Vallnord ma questo non fa che aggiungere ulteriore luminosità allo sfavillante 2015 della transalpina.

 

Quando scrivi maglia iridata e leggi Ferrand-Prévot

Se il titolo mondiale conquistato nella prova a staffetta (assieme a Jordan Sarrou, Victor Koretzky e Antoine Philipp), in cui una buona Italia (specialista di questo tipo di prova) ha saputo mettere in cascina il bronzo, poteva essere messo in preventivo, ben più arduo sarebbe stato prevedere un successo nella prova di Cross Country in cui la concorrenza era, al solito, elevatissima e si schierava al via colei che era stata l'autentica dominatrice della stagione e che, in teoria, avrebbe addirittura potuto ancora partecipare alla prova riservata alle Under 23: stiamo parlando di Jolanda Neff, già avversaria di Pauline in diverse occasioni sugli sterrati e con cui, nonostante un anno diviso sotto la stessa bandiera della Rabo-Liv nel 2014, vi è stato un rapporto di odio-amore (più avanti scopriremo il perché).

Difficile prevedere che la bionda e riccioluta svizzera andasse a cannare proprio la giornata più importante ma nella Mountain Bike colpi di scena simili sono sempre dietro l'angolo e possono giungere quando meno ce lo si aspetta. Così, dopo un inizio a bomba che lasciava presagire l'ennesima giornata trionfale, la Neff (che pure quest'anno ha fatto vedere di poter dire la sua anche se volesse intraprendere una carriera da stradista) è andata pian piano ad ingolfarsi già verso la fine del primo giro per poi andare a rimbalzare bruscamente indietro, costringendosi ad una gara in cui l'unico obiettivo plausibile diventava la salvaguardia dell'onore nei confronti della manifestazione e delle avversarie.

A questo punto le pretendenti al trono non mancavano, visto che di campionesse con esperienza da vendere ve ne erano mica poche (dall'iridata uscente Pendrel all'inossidabile Spitz, dalla leggendaria Dahle alla coriacea polacca Wloszczowska, passando anche per la costante Kalentieva). Invece la scena è andata a prendersela di nuovo lei, Pauline. A Ponferrada, circa 12 mesi or sono, in un finale che non ha mancato di far discutere aveva stroncato tutte con una volata mortifera; in gennaio a Tabor aveva saputo involarsi attraverso il fango di una rigida giornata ceca e andare a detronizzare la Vos anche da lì. Adesso lo scenario dei monti di Andorra in una gradevole mattinata in cui in un percorso tecnico ed insidioso a tratti suggeriva di non abbassare troppo la guardia ha celebrato un trionfo costruito giro dopo giro, con un'azione irresistibile che ha costretto pian piano tutte quante alla resa ed ha condotto la sua treccia bionda ancora una volta verso il gradino più alto del podio, dove al tripudio si è unita la commozione per aver realizzato qualcosa di grandissimo e difficilmente ripetibile. Quasi un minuto (58" per la precisione) inflitto ad Irina Kalentieva, 1'36" alla giovane e altrettanto promettente ucraina Yana Belomoina che pure aveva cercato di fare la voce grossa nel primo giro, quindi distacchi superiori ai due minuti alle varie Dahle, Pendrel, Wloszczowska che pure non se ne sono state a guardare, nel mentre l'ennesima circostanza sfortunata (sottoforma d'incidente meccanico) impediva ad Eva Lechner di concludere con un'onorevole top-ten, facendola precipitare in 23esima posizione.

 

Strada e MTB: binomio per pochissimi ma possibile

Con Pauline che con assoluta fierezza è andata a rimettersi l'ormai amatissima e affezionatissima maglia iridata, si è inevitabilmente aperto il dibattito sul quale sia il limite massimo a cui poter ambire nella multidisciplinarietà. Partiamo innanzitutto da una considerazione fondamentale: oltre al talento e ad una professionalità encomiabile è fondamentale sentire la bicicletta come mezzo attraverso il quale cercare il divertimento, l'adrenalina pura, la voglia di mettersi in gioco, dal momento che porsi un obiettivo con eccessiva ossessività risulta solamente controproducente e può portare anche a preoccupanti overflow. Ambizione sì quindi ma senza dimenticare il piacere della pedalata e della competizione.

Detto questo occorre evidenziare come mentre l'alternanza strada-ciclocross sia più fattibile, anche per il periodo in cui quest'ultima attività viene praticata (e che finisce anche per essere ottimamente preparatoria all'attività su strada in vari casi), alternare l'attività su strada ad altissimi livelli ad un'altrettanto elevata attività in Mountain Bike a livelli più che soddisfacenti è un qualcosa a cui possono ambire ben pochi atleti e che risulterebbe ben più facile in senso inverso, soprattutto se consideriamo il settore maschile (da Evans a Hesjedal per giungere anche a Peraud e Vuillermoz sono stati in diversi a diventare ottimi stradisti dopo essere stati biker di gran livello), dove forse il solo Peter Sagan, qualora volesse mettersi in gioco, sarebbe in grado di sostenere una doppia attività simile. Quali sono quindi i fattori che consentono ad un talento cristallino come Pauline di poter giungere a simili risultanze (che non sarebbero precluse né ad una Vos, né alla sopracitata Jolanda Neff)? Innanzitutto la base di partenza: la Ferrand-Prévot, nonostante si sia dedicata sempre con più maggiore frequenza alla strada non ha mai completamente abbandonato l'attività in Mountain Bike, dove pure era stata una potenziale campionissima già nelle categorie giovanili (due successi iridati per lei anche nella categoria juniores), ma ha continuato regolarmente a confrontarsi con le più grandi specialiste del fuoristrada, restando così abituata a quel tipo di sforzo e cimentandosi in una disciplina nella quale è necessario avere una capacità di guida della bici non indifferente.

Ciò le ha permesso, attraverso una serie di prestazioni convincenti in tutte le più importanti competizioni (campionati nazionali, prove di Coppa del Mondo, Europei per poi giungere ai mondiali) di acquisire punteggi elevati che nella Mountain Bike si traducono in un fattore assolutamente impossibile da trascurare: la posizione di partenza in griglia, che in caso di alto punteggio nei ranking consente di partire in posizioni assai prossime alla prima fila, riducendo così il rischio di restare pericolosamente intruppati nel giro di lancio e di essere costretti ad un dispendiosissimo inseguimento che potrebbe compromettere più avanti la prova. Ripresentarsi ogni volta brillanti e pimpanti, dopo aver preparato magari una Freccia Vallone o un Giro Rosa, rappresenta quindi uno sforzo fisico e mentale notevole da sopportare ma a cui si può tranquillamente sopperire più volentieri se c'è la reale voglia di utilizzare l'una attività in funzione anche dell'altra. Di certo in molti, dal momento che più si corre e più aumentano i rischi d'inconveniente (specie se ci si deve districare in qualche single track di MTB), al giorno d'oggi storcono il naso e pongono un deciso veto alle proprie atlete di vertice che pure potrebbero praticare con successo ulteriori attività ma la lezione della Ferrand-Prévot (e della Vos in passato) è il miglior spot che non solo il settore femminile ma il ciclismo tutto possano offrire e va, pertanto, assolutamente preservata.

 

Determinazione e cattiveria: Giro Rosa ed Olimpiadi i prossimi target

Dietro gli exploit di Pauline si nascono però ulteriori aspetti da cui è impossibile prescindere: chi segue con una certa frequenza anche le categorie giovanili sa bene che all'apparire della biondina sulla scena internazionale, già in tanti avevano la sensazione di trovarsi di fronte ad una predestinata e questa sensazione non è scemata neppure quando le varie ragazze prodigio di Salvoldi riuscivano a metterla nel sacco esattamente come le più grandi riuscivano a fare con la Vos (ci riuscirono Cecchini e Trevisi agli Europei e Callovi al mondiale juniores). Si sa però che per quanto ci si possa impegnare, è impossibile arginare all'infinito chi ha un talento superiore alla media e così già in quel di Offida fu Pauline a vestirsi d'iride per la prima volta su strada, negando la gioia del successo a Rossella Ratto.

Strada, ciclocross e mountain bike erano già pane quotidiano per Pauline, che poi ha avuto un'ulteriore svolta della carriera proprio nel momento in cui Marianne Vos intuì le sue grandi potenzialità e la volle con sé alla Rabo Liv per costituire assieme ad Anna Van der Breggen, Kasia Niewiadoma, Lucinda Brand e via dicendo il vero e proprio dream team del ciclismo femminile. Una fase in cui la Ferrand-Prévot è stata bravissima nell'approfittare delle occasioni, rimanendo anche al suo posto nel momento in cui le logiche di squadra lo imponevano (il Giro Rosa 2014, senza ordini di scuderia, sarebbe probabilmente stato suo senza intoppi). Proprio nella strapotenza dello squadrone olandese sono emersi alcuni dei punti di forza della francesina classe 1992, al di là della ben nota duttilità: la determinazione nel focalizzare l'obiettivo e la grande cattiveria agonistica, che l'ha portata in qualche caso ad avere atteggiamenti al limite. Non ci riferiamo a quel giorno in cui andò praticamente a togliere un successo di tappa alla Van Der Breggen all'Emakumeen Bira dello scorso anno, quanto piuttosto al duello rusticano a cui diede vita con Mara Abbott in conclusione di Giro Rosa 2014, con l'americana stritolata in una morsa micidiale dalla francese e dalla Van Der Breggen quasi ai limiti del regolamento, lungo la salita del Ghisallo. Che dire poi del rocambolesco finale dell'Europeo Under 23 di mountain bike sempre lo scorso anno, in cui approcciò l'ultima curva con tale impeto assieme a Jolanda Neff da provocare la caduta di entrambe, salvo poi rialzarsi immediatamente e andare a conquistare la vittoria (da qui il rapporto di odio-amore accennato in precedenza)?

Ne consegue quindi che Pauline ha tutto ciò che serve per poter essere una vera e propria leader carismatica del gruppo e con i recenti successi ha inevitabilmente scalato ulteriori gradini nella considerazione delle proprie avversarie. Proprio per questo appare fin troppo semplice tracciare i prossimi grandi obiettivi a cui ambire: al di là delle maglie arcobaleno da riconfermare a Richmond su strada e a Zolder nel ciclocross, indubbiamente è il Giro Rosa a chiamarla all'opera per cercare di poter finalmente portare a casa la più importante gara a tappe del calendario femminile, a cui in questa stagione non si è presentata nella migliore condizione anche a causa di un malanno fisico scaturito proprio dopo l'attività in mountain bike, dovendosi pertanto accontentare di un successo di tappa. Il 2016 sarà però anche l'anno delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, dove si presenterà un'invitante e forse irripetibile possibilità: centrare nella stessa edizione l'oro olimpico sia su strada che nella mountain bike per scrivere così un'altra pagina leggendaria di una carriera che, se vogliamo, è ancora nella sua fase iniziale. Il tutto ovviamente con Vos e altre avversarie permettendo, visto che in entrambe le prove la concorrenza sarà agguerritissima e forse, proprio per questo, stimolante nel confronto.

 

In Italia l'esempio è Eva Lechner. E in futuro...

Dopo aver assistito con una certa compiacenza (poiché il talento va sempre riconosciuto e ammirato) nelle ultime stagioni alle gesta di Marianne Vos ed ora di Pauline Ferrand-Prévot è lecito chiedersi se anche l'Italia potrà avere un giorno un'atleta capace di occupare i vertici della specialità in più discipline. Il primo esempio che ci viene in mente è senza dubbio quello di Eva Lechner, che nonostante la sfortunata prova di sabato scorso è riuscita a chiudere la rassegna iridata con una nuova medaglia (di bronzo) nel Team Relay, che si affianca alle tante conquistate nelle scorse stagioni e all'argento nel Cross Country arrivato in luglio a Chies d'Alpago nel campionato europeo, dove fu preceduta solo dalla Neff. Sappiamo bene che la bolzanina ha nella mountain bike l'attività preferita ma ormai già da qualche stagione è divenuta la nostra atleta di punta anche nel ciclocross, dove ha saputo giungere fino all'argento iridato, conquistato due anni fa. Il tutto praticando saltuariamente anche l'attività su strada, che la portò nel 2007 anche a laurearsi campionessa italiana.

Se c'è la volontà tutto è possibile ed anche la pratica di determinate attività anche solo come allenamento può essere più che funzionale all'attività di stradista: nelle categorie giovanili soprattutto Valentina Scandolara è stata un esempio di grande polivalenza, capace di eccellere in ogni tipo di terreno, nel fuoristrada e nella pista; in tempi recenti abbiamo visto come si possa affiancare ad un'attività su strada di grande livello anche quella di pistard altrettanto valida, come ci ha dimostrato Elena Cecchini mentre un'altra Elena (parliamo della cremonese Bissolati) ci ha svelato che si può essere anche validissime velociste da pista oltre che da strada. Senza contare poi i tanti esempi che cominciano a venirci anche da ciclocross e dalla mountain bike, con varie ragazze che potrebbero dire la loro se si mettessero alla prova seriamente in un certo tipo di attività. Per scaramanzia con i nomi ci fermiamo qui ma il messaggio che, ancora una volta, lanciamo è chiarissimo: fare una multiattività ad altissimo livello è assolutamente possibile. La straordinaria parabola di Pauline Ferrand-Prévot e del suo iride inseparabile sta lì a dimostrarcelo.

Vivian Ghianni

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