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La riflessione: Dopo quante pippate si diventa mostri? - Il caso Paolini e i troppi che si sconvolgono per vicende del genere

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Un perplesso Luca Paolini © Bettiniphoto

Mentre il Tour prosegue la sua corsa verso i Pirenei, qualcuno si è fermato allo stop. E non stiamo parlando di quel segnale ottagonale che si vede sulle strade, ma di quel simbolo esagonale che in chimica indica un pezzo di molecola di una sostanza: in questo caso, la cocaina.

Gran brutta bestia, la "bianca". La peggiore delle dipendenze, per chi ne è dipendente: ovvero non tutti quelli che la assumono, i quali possono anche essere consumatori più o meno occasionali: da festa, da un tiro a settimana, da uno al mese... Sono tante le modalità di utilizzo di questo additivo, e sono tanti anche quelli che tale utilizzo lo fanno. Più di quanti qualcuno possa o voglia immaginare.

 

È una precisazione che teniamo a fare perché, a leggere o sentire certi commenti in giro, parrebbe che Luca Paolini (che come tutti sanno è il protagonista di questa storia) sia destinato a finire buttato in un vicolo cieco del Bronx con una siringa nel braccio...

"E pensare che sembrava così serio, che faceva pure attività nel sociale, chi l'avrebbe mai detto?". Nell'attesa delle controanalisi (che potrebbero pure smentire il primo test, tanto per la cronaca), vorremmo segnalare a queste anime candide (che sempre prendono la ribalta in queste occasioni) che se uno una volta nella vita (o 10 volte, o 100 volte) ha tirato della cocaina, ciò non ne fa automaticamente un mostro, o un alieno.

 

Ci abbiamo a che fare tutti i giorni con queste persone, i consumatori occasionali di cocaina li abbiamo intorno a noi, e non è che siano circondati da un alone viola: conducono un'esistenza abbastanza normale, hanno un lavoro come tanti (anche quello di ciclista, alcuni) e una vita relazionale e sociale più o meno simile a quella di tutti gli altri.

E allora, perché porre all'indice un uomo perché talvolta gli capita di usare questa droga? Ci sentiamo tanto migliori di lui perché non abbiamo vizi, o solo perché i nostri sono più accettati socialmente? O perché magari sono pure peggiori ma siamo noi ad essere come al solito severissimi con gli altri e indulgenti al massimo con noi stessi?

 

Chi scrive detesta la cocaina, proprio a livello ideologico. Ma trova insopportabile l'ipocrisia di chi non l'ha mai vista, non glien'hanno mai offerta, non ha mai avuto un amico che ogni tanto la usava. L'ipocrisia di chi è sceso da Marte e preferisce vivere con gli occhi chiusi, e che si autoconvince che le brutture siano sempre lontane, riguardino sempre altri.

 

Ora, è pure sin troppo facile dare sfogo a queste riflessioni parlando di uno simpatico come Paolini, molto amato, apprezzato, ammirato anche (tranne quando lancia allarmi maltempo per far neutralizzare le tappe del Giro: ecco, in quei casi gli daremmo un anno di squalifica, non per quattro metaboliti della cocaina).

Ma il concetto sarebbe identico se riguardasse il più antipatico e odiato dei corridori. Posto che la leggerezza a livello professionale c'è (innegabile: c'è sempre, quando un corridore si fa beccare a qualsiasi sostanza), che titoli ha il tifoso medio di ciclismo (o l'addetto ai lavori) per giudicare come un reprobo uno come tanti?

 

E va bene, se le controanalisi lo confermeranno, Paolini ha assunto in qualche modo cocaina. Forse per sbaglio, attraverso l'acqua o chissà in che altro modo; o forse in maniera consapevole, perché voleva divertirsi o evadere o per altri motivi suoi. Ci riguarda in qualche modo la sua vita privata? Ci riguarda il fatto che lui possa considerare tutto ciò un problema? Ci riguarda che lui possa voler voltare pagina, o piuttosto proseguire come ha fatto finora? No.

È inutile e financo puerile parlare di esempio da dare ai giovani, perché dobbiamo dirlo una volta per tutte: l'idolatria verso chicchessia, sia esso uno sportivo o un cantante, è sempre ingannevole. E se qualcuno, da questa vicenda, è stato riportato alla cruda realtà della vita, gli dedichiamo una citazione che forse già facemmo una volta, parlando di doping; come disse Albertone in quel film: ormai hai 21 anni, è tempo che tu sappia di chi sei figlio.

Marco Grassi

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