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Tour Down Under 2015: Questa corsetta piace sempre più - Miglioramenti di anno in anno, siamo quasi all'optimum

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L'abbraccio tra Cadel Evans e Rohan Dennis al termine del Tour Down Under 2015 © TourDownUnder.com.auÈ finito oggi il Tour Down Under, corsa che alla 17esima edizione ha raggiunto un miracoloso equilibrio tecnico-sportivo e per la quale le lodi sperticate in cui ci produciamo non sono influenzate dall'astinenza di ciclismo su strada che fatalmente si sconta in gennaio. Ricordiamo bene le insipide prime edizioni di questa gara, sequele di volate e classifiche decise dagli abbuoni, e ricordiamo pure la contrarietà all'idea che il Pro Tour, alla sua introduzione, si potesse aprire con quella insulsaggine che era il TDU ancora alla metà degli anni 2000.

Però bisogna riconoscere che con la partecipazione fissa di tutti gli squadroni di prima fascia, e con l'approdo, nella regione sudaustraliana, di tanti campioni impegnati (volenti o nolenti) nella corsa, gli organizzatori hanno capito che dovevano cambiare marcia. Ecco allora, dal punto di vista del marketing e della comunicazione, l'arrivo della diretta tv, che rimbalza via streaming in tutto il mondo e che disseta la voglia di ciclismo che riarde nei cuori degli appassionati.

 

Un percorso sempre più tecnico
Ed ecco - a livello tecnico - l'introduzione di uno snodo fondamentale come le salite: prima quella di Willunga Hill, che nelle prime edizioni era solo lambita; ora, quest'anno (e si spera che la cosa venga confermata in futuro), la bella novità del traguardo sulla rampa di Paracombe.

In totale, nell'edizione andata in archivio oggi, su sei tappe ne abbiamo avute due con arrivo in salita (certo non parliamo di colli alpini, ma per questa fase della stagione bastano e avanzano le côte intorno ad Adelaide), una con arrivo veloce che tira un po' all'insù (quella ormai classicissima di Stirling) e tre da volata (una delle quali, però, molto mossa: e infatti vi è arrivata la fuga, il primo giorno).

Aggiungere una crono per completare del tutto il quadro? Tutto sommato non servirebbe, perché una tappa contro il tempo sbilancerebbe troppo il risultato a favore dei cronoman (a meno di non fare giusto un prologo di 3 km... ma torniamo allo stesso discorso: servirebbe poi a qualcosa?).

Il Tour Down Under edizione 2015 si è insomma confermato un gioiellino. Il pubblico è stato numeroso e caloroso (ma rispettoso) come sempre, il clima ottimo, lo spettacolo non è mancato, i colpi di scena neanche (e in più c'è stato - per questa specifica edizione - il valore aggiunto di un Cadel Evans che ha praticamente terminato qui la sua gloriosa carriera con un meritatissimo podio).

 

Cosa si può ancora migliorare
Difficile immaginare un avvio di stagione ciclistica in cui tutti questi elementi possano convivere in maniera più efficace e convincente di quanto non avvenga al Tour Down Under. Un solo consiglio ci sentiremmo di inviare agli organizzatori sudaustraliani (ai quali va anche il merito di aver lanciato quest'anno una versione - ancora non targata UCI, ma sicuramente lo sarà in futuro - del TDU femminile, dopo quattro edizioni disputate in forma di doppio criterium più prova in linea): se l'orario di gara venisse spostato anche solo di un paio d'ore in avanti (con arrivi intorno alle 17 locali), qualche appassionato in più riuscirebbe a seguire le tappe in diretta dall'Europa. Ci pensino, se vogliono continuare la meritoria opera di valorizzazione di una corsa alla quale qualche anno fa non avremmo dato un centesimo di credito e che invece oggi brilla di luce propria nel calendario internazionale.

Marco Grassi

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