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DéTour 2014: Dead teams riding, il dramma delle squadre condannate a morte - Anche la Cannondale chiuderà i battenti

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La Cannondale procede zigzagando verso un incerto futuro... © BettiniphotoA vederlo dalla lente deformante del Tour de France, il ciclismo mondiale sembrerebbe un'entità che scoppia di salute. Un'infinità di persone a bordo strada a seguire la corsa, l'attenzione dei media di tutto il mondo, ottimi ascolti televisivi, uno spettacolo che si rinnova come ogni anno e che non conosce flessioni d'interesse e di livello qualitativo.

"Caspita", direbbe l'amico quadrumane e pluriocchiuto sbarcato ieri da Marte, "questo vostro ciclismo è una gran figata! Ci investo subito 10 milioni di euro e faccio uno squadrone vincente!". L'amico scoprirebbe poi a proprie spese che a) il ciclismo fuori dal Tour non è sempre questa gran figata; b) con 10 milioni si può allestire una buona squadra ma non è detto che sia poi vincente, visti i budget dei team più forti (si parla di 20-25 milioni per realtà come BMC o Sky); c) nel ciclismo quello di "marziani" è uno status che si presta a troppe ombre...

Che il nostro amato sport viva da tempo una crisi strutturale è un dato che il Tour de France può giusto mascherare per 3 settimane, ma che poi si ripresenta nella sua gravità e in una quotidianità fatta di corse che chiudono per non riaprire, storia e tradizione che così si disperdono, baricentro dell'attività complessiva che si sposta dall'Europa ad altri lidi, solo che quei lidi non offrono la "solidità della consuetudine" che si può trovare nei paesi in cui il ciclismo è storicamente radicato. Il doping è un problema quasi secondario, ormai, a fronte di una crisi economica che spazza via diversi organizzatori, e a fronte di altre questioni quali la sicurezza di chi va in bici, o l'ormai cristallizzata disaffezione/disattenzione dei media di alcuni paesi che sulla carta dovrebbero fungere da traino.

In questo elenco di lamentazioni non abbiamo ancora affrontato il guaio delle squadre che chiudono (e, come molte corse, poi non riaprono più), che era invece l'occasione scatenante di questo scritto. Stiamo assistendo in queste settimane estive ad un balletto che abbiamo già visto e subìto lo scorso anno. Tra sponsor che non rinnovano (e altri che riducono l'investimento), e soluzioni d'emergenza, il margine operativo del World Tour si fa sempre più risicato.

Nel 2013 avevamo 19 team nel WT. Un paio di sponsor si son tirati fuori a fine stagione (RadioShack e Argos) ma sono stati sostituiti dalle aziende fornitrici di bici (rispettivamente Trek e Giant), una soluzione interna che ha offerto ai manager delle due squadre altri 12 mesi d'ossigeno. Altri due sponsor invece (Euskaltel e Vacansoleil) sono usciti e le formazioni che sostenevano hanno chiuso del tutto. Solo l'ingresso nella massima categoria del Team Europcar (già attivo da anni tra le Professional) ha permesso di mantenere a 18 il numero di sodalizi nel WT.

Già un anno fa si raschiava il fondo del barile, insomma. Oggi le cose proseguono ad andare male, e quindi de facto vanno sempre peggio (perché questo "male" si somma a quello dell'anno scorso, e di due anni fa, eccetera). Sky pare che voglia investire meno nella squadra; sponsorizzazioni come Giant sono in bilico o hanno già annunciato il proprio disimpegno, e a queste va aggiunta la Belkin, che ritirerà il logo dalle maglie della squadra olandese che un tempo (fino ad appena 2 anni fa) fu la storica Rabobank.

Disastroso il destino dell'attuale Cannondale, che andrà a fondersi con la Garmin, a cui fornirà le biciclette. Alcuni dei corridori (pochi: forse solo 8) attualmente in organico confluirebbero nella formazione americana, tra gli altri qualcuno ha certamente molto mercato (Sagan su tutti), ma per molti si profila una lunga e fonda notte. E tra questi c'è ovviamente il personale "non pedalante" della squadra (a partire da team manager e direttori sportivi, per proseguire con meccanici e massaggiatori), che resterà a spasso visto che l'attuale Garmin ha già un suo staff che continuerà a lavorare.

In tutto ciò, una squadra che era nata italiana, confluisce in un team americano, e di fatto scompare. Lo stesso percorso seguito da Trek e Giant era già stato battuto dalla nostrana Liquigas, salvata due anni fa dalla sponsorizzazione della Cannondale, e oggi però destinata a veder finire la propria storia.

Al di là del fatto che all'Italia rimane così un solo team in prima fascia (la Lampre. Nel 2004, ultimo anno pre-riforma, avevamo 6 team GS1, ovvero in "serie A", a cui peraltro se ne aggiungevano 8 tra i GS2: 14 team professionistici attivi, contro i 3-4 che nel prossimo anno avremo tra WT e Professional), il discorso che qui voleva essere affrontato andava oltre la tragica situazione del nostro movimento, e andava a interrogarsi su quanto convenga investire nel ciclismo, oggi.

Un tempo avevamo la certezza che una sponsorizzazione ciclistica avrebbe messo le ali all'azienda che l'avesse attuata. Motorola e Mapei, Banesto e Fassa Bortolo (per citarne giusto qualcuno), marchi diventati centrali nei rispettivi settori, fatturato moltiplicato n volte, benefici a tutto spiano (nel caso italiano, anche a livello fiscale c'era modo di curar bene i propri interessi...). Oggi è ancora così? L'investimento necessario per "entrare", come detto, è diventato molto pesante. Anche per questo motivo molti si defilano prima ancora di provarci.

E chi rimane deve comunque sempre fare i conti con l'oste, ovvero con costi gestionali che per i team di primo livello sono altissimi, e giustificano sempre meno i soldi immessi nel circuito: se devo investire 2 per avere 8, lo farò sorridendo; se devo investire 6 per avere 9, ci penserò bene; ma se devo investire 9 per avere 10, beh, magari mi cerco un qualcosa di meno impegnativo e di più garantita remuneratività.

Il momento è talmente complicato che anche chi vorrebbe entrare nel WT e si sta impegnando in tal senso (è il caso di Fernando Alonso e del suo ancora misterioso FACT, ovvero il team in fase di allestimento ma di cui nessuno sa ancora niente), trova grandi difficoltà a coinvolgere sponsor nell'ambizioso progetto. E stiamo parlando di un personaggio che è conosciuto in tutto il mondo e che "mastica" quotidianamente ricche sponsorizzazioni. Se non ce la fa lui a convincere qualche facoltoso investitore c'è di che demoralizzarsi definitivamente.

Il concetto di squadre più snelle e quindi più economiche - presente nel progetto di nuova riforma messo al momento in stand-by dall'UCI - è un buon inizio ma ancora non basta, perché alla lunga riproporrebbe le stesse distorsioni del sistema attualmente in essere. L'unica vera mutazione genetica del ciclismo dovrebbe riguardare la partecipazione dei team alla divisione della torta dei diritti televisivi e degli altri introiti garantiti dal ciclismo nel suo complesso. Sarebbe una rivoluzione copernicana, epperò andrebbe contro gli interessi di alcuni soggetti che attualmente detengono quei proventi (gli organizzatori, ASO su tutti).

Nell'attesa di assistere prima o poi a un lungo braccio di ferro tra le parti, prepariamoci a leggere per mesi di squadre in sofferenza, di realtà che chiudono, di persone - lavoratori - che rimangono a spasso. Prospettiva niente male, vero?...

Marco Grassi

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