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Giro d'Italia 2014: Cataldo si consola con lo Stelvio - Dario va in fuga e fa sua la Cima Coppi. Colombiani protagonisti | Cicloweb

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Giro d'Italia 2014: Cataldo si consola con lo Stelvio - Dario va in fuga e fa sua la Cima Coppi. Colombiani protagonisti

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Dario Cataldo passa per primo sullo Stelvio innevato © Bettiniphoto

Giornate come quella odierna sono fatte apposta per raccontare storie, di quelle che un tempo avrebbero tenuto i ragazzini in cerchio ad ascoltare il padre, il nonno o il vecchio saggio del paese che rimembrava ciò che tanto tempo prima aveva ammirato con i propri occhi e quindi avrebbe potuto un dì tramandare ai posteri. Sono quei giorni in cui tutti coloro che decidono di salire sopra la propria bicicletta per cercare di portare a termine una durissima tappa di un Giro d'Italia appaiono splendidamente al pubblico, che avrebbe tanto bisogno di tornare in massa sulle strade e applaudire i valorosi pronti quotidianamente a combattere la propria personale battaglia. Se poi, in una tappa già dura di suo, si aggiungono condizioni climatiche pressoché estreme si capisce come il racconto rischi di sfociare nell'epica.

Sono le giornate in cui si vorrebbe dedicare almeno una parola a tutti coloro che riescono a tagliare il traguardo, dopo quasi 5 ore di avversità, freddo intenso e anche nervi a fior di pelle. Nello specifico qui ci si concentrerà su alcuni che la tappa han voluto viverla da protagonisti in prima persona, sfidando le intemperie e il mostruoso dislivello inseguendo il sogno di poter concretamente lasciare un segno tangibile su questa edizione. Partiamo da Dario Cataldo, uno che questo Giro voleva addirittura provare a vincerlo o, quanto meno, occupare una bella posizione in top ten: galeotto fu il famigerato ruzzolone di Montecassino, pagato caro nel giorno di Montecopiolo con quel Carpegna in primis troppo indigesto. Ritardo troppo ampio, addio bella classifica ed ennesima occasione per dimostrare di valere un posto da capitano in un grande giro sfumata amaramente. Dopo una giornata del genere chiunque potrebbe abbattersi, trascinarsi svogliatamente nei gruppetti giorno dopo giorno e dare qualche menata se l'occasione lo consente. Beh, la persona in questione non è certamente il buon Dario, scorzaccia dura abruzzese di nascita lancianese e di vissuto miglianichese, tra colline in cui non è raro trovare olio di qualità e buon vino. Già, perché nonostante si sia trasferito in Svizzera ormai da tempo (a Mendrisio per la precisione), la testarda ostinazione che solo chi abita la terra "forte e gentile" per antonomasia sa farla venir fuori anche quando tutto sembra remar contro. Come quel giorno a Cuitu Negru, arrivo micidiale della Vuelta 2012, dove su pendenze estreme pochi avrebbero puntato qualche euro sulla buona riuscita dell'azione, temendo la reazione scatenata del gruppo.

La classifica è andata? Pazienza, le occasioni per lasciare un bel ricordo di sé in questa edizione rosa ci sono eccome e una tappa si può comunque provare a vincerla. Un primo scatto bello deciso nel finale di Sestola, non per provare a raggiungere Weening che è già bello che andato ma per testarsi. Lo prendono negli ultimissimi metri ma è un ottavo posto ben augurante. La vera occasione arriva però nella tappa di Oropa, su una di quelle salite che hanno contribuito a divulgare lo sconfinato mito di Marco Pantani: in certi momenti sembra giocare con gli avversari, soltanto il colombiano Pantano (che in salita è pur valente ma come finale di cognome ha un o e non una i) sembra in grado di tenergli testa, tutti gli altri staccati pian piano. Inizia un gioco psicologico, tra avversari che rientrano (Polanc e il tignoso Timmer) e il traguardo che si avvicina sempre più. Sembra la volta buona, affianca il colombiano, lo supera col suo spunto più veloce ma...ma proprio negli ultimi 50 metri quel diavolo d'un Enrico Battaglin col suo spunto da portento lo affianca e quasi lo svernicia. Secondo, come a L'Aquila, nel suo Abruzzo, nel 2010 quando il sapore della beffa si chiamava Evgeny Petrov in una giornata che pure è passata alla storia della corsa rosa. Secondo ed anche questa volta anche il più ottimista potrebbe buttarsi giù.

Il Giro è ancora lungo però e l'occasione per riprovarci può capitare nuovamente, basta farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. E Dario, ancora una volta ci si fa trovare: mentre la discesa del Gavia volge verso il termine tra temperature polari, lui si accoda al drappello di testa, tra colombiani scatenati (ne parleremo dopo) e gente con tanta voglia di mettersi in gioco come Franco Pellizotti. Parte la prima sostanziosa fuga di giornata, se dietro c'è controllo può essere quella decisiva. Inizia lo Stelvio, altri venti chilometri che in simili giornate diventano puro masochismo ciclistico ma in cui si può diventar giganti. Inizia la serie di tornanti da leggenda, il paesaggio torna ad imbiancarsi ai bordi ed anche i fiocchi tornano a scendere verso quota 2758 metri. Scene da una Cima Coppi, dove la storia segue il percorso della farfalla, che da crisalide evolve, spicca il volo e diviene leggenda. Mancano 3 chilometri alla vetta e Dario Cataldo decide che il modo giusto per iscrivere il suo nome nella storia di questo Giro esiste e consiste nel fare propria una delle cime più ambite: scatta, lascia gli inseguitori, compreso il compare Matteo Rabottini, altro esempio di tenacia abruzzese in cerca d'avventura, e s'invola tra la neve. Lo Stelvio è suo, nessuno gli è dietro a piazzargli uno scattino beffardo, nè Chalapud nè tantomeno l'ormai noto Pantano e così il quadro che ne consegue e si stampa negli occhi degli appassionati è quello di un ragazzo che avrebbe meritato miglior fortuna ma che di certo non molla mai. Chissà poi che una simile azione non risvegli presto anche la sua vena artistica e dargli lo spunto per tornare a far cantare l'aerografo.

C'è però ancora una discesa molto lunga da fare, affrontata con la massima determinazione e un lungo tratto di pianura e falsopiano verso Val Martello. Il gruppo maglia rosa è lontano, gli inseguitori con un Quintana deciso a scrivere la sua personale storia rosa si avvicinano pian piano mentre Dario si esalta in una delle sue posizioni predilette, quella del cronoman che già gli han portato anche un titolo italiano. Val Martello, altri 20 chilometri e le pendenze che martellano le gambe. Il sogno di una vittoria finisce di nuovo, a 18 chilometri dal traguardo ma la voglia di provare a tener duro ancora una volta è troppo forte e per qualche minuto Cataldo si concede ancora alle telecamere, in compagnia di Quintana, Rolland e il tenace Hesjedal. Quando il ritmo si fa impossibile saluta tutti, aspetta il gruppo maglia rosa per cercare di stare almeno in compagnia di esso e si avvia a concludere con un'onorevole 17esima posizione, non importa se a quasi 11 minuti. Oggi gli applausi li ha meritati veramente tutti e chissà che prima di Trieste l'appetito non venga ancora.

Bravissimo lui e bravissimo Sebastian Henao, 21 anni da compiere ad agosto. Anche lui, che dell'Henao più famoso è cugino ed ha la stessa passione per le salite da camosci, veste la maglia della Sky e da questo Giro d'Italia porterà dietro una grandissima esperienza. Intanto però oggi ci ha mostrato che la voglia di non essere semplicemente "il cugino di..." c'è tutta, anzi: in discesa nelle prime battute ci aveva provato anche lui ad allungare, per poi mantenersi costantemente nel gruppo buono. Quando la corsa diventa un inferno lui, sornione, è ancora poco dietro e conclude in ottava posizione, a 4'11", anche se i fotografi hanno occhi tutti per Uràn che conclude al suo fianco, depredato della rosa da quell'ossesso straordiNairo mentre tutt'intorno monta la polemica su chi doveva fare o non doveva fare cosa.

Gavia e Stelvio sferzati dalla neve e dal vento gelido, con le loro altitudini siderali che richiamano i picchi colombiani dove l'ossigeno si affievolisce ed il cielo sembra volerti abbracciare. Naturale che in una tappa così a voler recitare il ruolo dei protagonisti, siano loro, gli escarabajos cresciuti a pane e salita. Sant'Apollonia e il suo famoso 16% sono ormai realtà, dopo neanche 10 chilometri di tappa, e Robinson Chalapud, nome d'avventuriero e spirito di sopravvivenza, s'inerpica da audace cavaliere nero, contando sulla compiacenza del plotone. In fondo cosa importa, vai pure tu a sfidare quel mostro da oltre 2600 metri d'altitudine. Del resto a lui situazioni simili sono sempre garbate parecchio e, con un po' di fortuna, si può riaprire pure la lotta alla maglia blu. Chi ovviamente su quella maglia ci ha puntato tutta la seconda parte di Giro è ovviamente Julián Arredondo, spavaldo al fianco di Quintana e pronto a scattare, come poi avviene, in prossimità del GPM, per conquistare i preziosi punti per rafforzare la leadership. Chalapud fa suo il Gavia, Arredondo si prende comunque 20 punti e a nulla vale il tentativo di Pantano di contrastarlo per favorire il compagno.

Soltanto che poi qualche conto non torna per il simpatico atleta della Trek, una delle rivelazioni di questo 2014, che lungo la discesa verso Santa Caterina Valfurva prima e Bormio poi, ci resta letteralmente di ghiaccio, andando incontro ad un destino che somiglia più a quello di Van Der Velde nel 1988 che a quello di chi in una giornata simile deve mettere una seria ipoteca sulla leadership degli scalatori. Se però il tenace olandese che su un Gavia pesantemente innevato passò per primo 16 anni fa e si arrese nella discesa verso il traguardo, il buon Julian deve ancora sciropparsi tutto lo Stelvio e tutta la salita di Val Martello e così anche la sua tappa diviene presto un calvario: termina nel gruppone dei velocisti, a oltre 44 minuti da Quintana che nel frattempo s'è già vestito di rosa e lo champagne se l'è gustato da un pezzo. Anche Chalapud accuserà parecchio le pendenze della strada, ormai esausto, strada facendo mentre molto meglio va a Pantano, coriaceo al punto da finire 12esimo a "soli" 4'59" dal vincitore.

Una giornata che ci ha detto molte cose insomma, tra l'abnegazione di Vuillermoz e Dupont, in caccia con la speranza di poter aprire degnamente la strada a Pozzovivo a quell'Alexandre in maglia FDJ che proprio sullo Stelvio ha cercato di tirar fuori il suo colpo di...Geniez. In tutto questo applausi scroscianti anche a Diego Rosa e alla sua sofferenza capace di scaldare i cuori fin dal giorno in cui il ruzzolone di Montecassino (sempre lui!) gli ha lasciato in dote un tatuaggio indimenticabile, che l'ha trasformato in splendido possessore di tenacia e perseveranza. Il suo scatto e la sua grinta, non importa se per sé stesso o per Pellizotti, sono un'altra delle immagini da conservare piacevolmente al termine della giornata. La clessidra del tempo, al suo giungere al traguardo, si può pure frantumare, non ha importanza. Quelli come lui che questo Giro l'ha vissuto più nelle retrovie che a prendere vento in faccia in testa al plotone hanno vinto. Anche quest'oggi.

Vivian Ghianni

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