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Giro d'Italia 2014: Quanto ci piace partire dall'estero? - Tanti i pro, ma c'è anche qualche contro

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Un esempio della calorosa accoglienza che Belfast ha riservato al Giro d'Italia © BettiniphotoLa domanda più sentita negli ultimi giorni è stata - i lettori lo potranno confermare - "come mai il Giro d'Italia parte dall'Irlanda?". Solita questione, che si ripropone ormai ogni due anni, ovvero seguendo la cadenza che gli organizzatori di RCS Sport hanno dato alle partenze dall'estero. Tra i tanti che chiedono per pura curiosità (la spiegazione è sempre: perché l'Irlanda del caso ha pagato profumatamente per ospitare le prime tappe), c'è anche chi alla domanda in esame dà un'accezione maliziosetta.

Comprensibile, nonostante l'abitudine ormai sedimentata a questi pellegrinaggi del Giro in giro per l'Europa, che qualcuno fatichi ancora a digerire la scelta degli organizzatori. Le ragioni che giustificano una simile tendenza sono molteplici, proviamo sinteticamente ad elencarne alcune.

- La già citata possibilità di far cassa: soprattutto in tempi di crisi, è manna dal cielo che qualche comitato di città estere investa centinaia di migliaia di euro sul Giro d'Italia. Al netto di tutto, si tratta di entrate che permettono una più serena vita (e non: sopravvivenza) alla corsa che tanto amiamo.

- La possibilità di dare sempre più una veste internazionale al Giro: da un decennio la corsa rosa è vista sempre più come uno degli appuntamenti irrinunciabili del calendario UCI, laddove in passato è stato a volte interpretato come un campionato italiano a tappe. In quest'ottica, mostrare al mondo che il mondo (scusate il bisticcio) ama il Giro, è un'ottima mossa di marketing: il grande calore che gli irlandesi hanno riservato alla corsa rosa è un esempio anche per altri investitori, che hanno avuto un'ennesima, rinnovata riprova di quanto il Giro sia un "prodotto" di forte richiamo a tutte le latitudini. E ciò vale ovviamente anche per i corridori più affermati, che sono più propensi a misurarsi in una gara dal forte appeal internazionale, quale il Giro ha dimostrato di essere nei giorni scorsi.

- Discorso collegato al precedente: un pubblico che si ritrova il Giro "in casa", sarà più propenso a seguirne gli sviluppi anche in seguito. Insomma, portare il Giro all'estero significa anche coinvolgere nuove platee, che risulteranno inevitabilmente più fidelizzate rispetto alla semplice visione della corsa in tv.

- Discorso collegato al precedente, parte seconda: dal punto di vista sportivo, è comunque bello che un evento dell'importanza del Giro vada a farsi "gustare a domicilio" da tanti appassionati che una corsa del genere in casa non ce l'hanno. Magari alcuni di quelli che hanno affollato le vie di Belfast lo scorso week-end li ritroveremo in camper sulle Dolomiti l'anno prossimo.

- Discorso collegato al precedente, parte terza: l'affetto smisurato per il Giro che si è respirato per le piovose vie irlandesi è stato un toccasana. Andare a cercare un bagno di entusiasmo quando (e dove) possibile fa sempre bene al cuore di chi un evento del genere lo organizza, ma anche di chi semplicemente vi partecipa.

- Col Giro che va a cercarsi sbocchi in altri paesi, magari ci saranno più televisioni internazionali disposte a trasmetterlo, a pagarne i diritti, ad alimentare quindi (con euro sonanti) quella ricerca di qualità necessaria da parte di chi produce le immagini (nel nostro caso la Rai).

- E infine: il Tour lo fa senza problemi, avranno mica qualcosa da imparare gli organizzatori francesi?

Pur sull'onda dell'entusiasmo per la bella riuscita (pioggia a parte) della tre giorni irlandese, non possiamo comunque trascurare di ricordare qualche contro, a fronte di tanti pro.

- L'avvio della corsa, con la cesura che incombe dopo tre tappe (il necessario trasferimento, con annessi scampoli di riposo), risulta frammentario, e in Italia pare dimostrato che l'evento sia meno sentito finché non tocca il suolo patrio. Da domani, col Giro che riparte da Bari (anzi, da Giovinazzo), magari si parlerà di più della corsa rosa (anche sui media generalisti) rispetto a quanto accaduto nei giorni scorsi. E magari cresceranno pure gli ascolti televisivi...

- Il rischio dei climi nordici: già il maltempo ci mette spesso la coda, nelle tappe importanti (in questi giorni non si sa ancora se si riuscirà a transitare sulle montagne più importanti, nella terza settimana: c'è neve); andare a cercarsi altro maltempo, portando il Giro in paesi dal clima rigido (l'Irlanda in questo caso, in passato siamo stati in Danimarca, Olanda, Belgio...), potrebbe esporre la corsa a maggiori rischi correlati appunto alle intemperie: cadute, incidenti et similia (e se quest'anno siamo stati quasi fortunati in queste prime tre tappe, abbiamo pur sempre perso immediatamente un protagonista atteso come Daniel Martin, caduto nella cronosquadre bagnata di Belfast). Con conseguente impennata dello stress da primi giorni.

- La coperta geograficamente corta: se fai tre tappe in Irlanda, è chiaro che qualche regione italiana resterà scoperta e non vedrà il passaggio della carovana rosa. In genere, ciò capita sempre con il sud d'Italia, che ad esempio quest'anno viene solo lambito dal Giro (la Puglia ha due partenze e un arrivo, la Basilicata un arrivo, la Campania una partenza, il Lazio - che è già centro - un arrivo e una partenza; niente per Abruzzo, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna. Ma da questo Giro - oltre che la piccola Valle d'Aosta - è rimasta clamorosamente fuori pure la ciclistissima Toscana).

- I notevoli problemi logistici: spostare una macchina mastodontica come quella del Giro ha costi non indifferenti, anche dal mero punto di vista della "fatica". Al di là dell'organizzazione e del seguito (stampa e quant'altro), bisogna ricordare che pure le squadre hanno il loro bel daffare in questi casi: organizzare doppio equipaggiamento (parte da mandare in Irlanda, parte da spedire a Bari in attesa del rientro in Italia), mezzi, uomini, insomma non è uno scherzo. In più, quest'anno c'è stata anche la grana dei visti, rilasciati con non poche difficoltà dalle ambasciate del Regno Unito a diversi corridori rimasti in dubbio fino alla vigilia (anzi, qualcuno ha proprio dovuto rinunciare a partecipare alla corsa rosa).

- Il rischio che si parta da luoghi poco significativi. Non è assolutamente il caso della Belfast 2014, così come non è il caso della Amsterdam 2010. Ma già Herning 2012 fu un piccolo flop, non per la risposta del pubblico di casa (che fu numeroso), quanto proprio per il fatto di prendere il via da una cittadina piuttosto anonima. Insomma, se si parte dall'estero, che ciò avvenga da una città importante!

In definitiva, i temi sono in fondo sempre questi, da diversi anni a questa parte. Abbiamo fatto un piccolo riassunto; appuntamento per una nuova pagina di questo dibattito al 2016, quando presumibilmente il Giro vedrà la luce in qualche altra capitale europea.

Marco Grassi

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