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Liegi-Bastogne-Liegi 2014: Lacrime amare, quelle di Caruso - Giampaolo e Pozzovivo combattono. E gli altri italiani?

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Giampaolo Caruso e Domenico Pozzovivo in azione verso Ans © Tim De Waele

Era un 25 aprile, festa della liberazione, ma per Giampaolo Caruso era qualcosa di diverso. In quel 25 aprile 2010 il corridore di Avola esordiva in maglia Katusha. A quasi trent'anni, con alle spalle una squalifica e tre stagioni scarse nella Ceramica Flaminia-Bossini Docce, cambiava aria: ora diventava Katusha, prendeva parte alla sua terza Liegi. Sarebbe stato 45°. No, il ritmo gara dei migliori ancora è lontano. E poi c'è da fare il gregario ad Alexandr Kolobnev, che sarà 2°, prima ancora che a Joaquim Rodríguez. Era sereno, quel giorno, Giampaolo, con l'aria di chi è felice di tornarci, alla Doyenne, senza pensare al risultato personale.

Oggi invece, tutta un'altra storia. Perché Giampaolo, ad essere lì davanti all'ultima curva, quando si svolta di novanta gradi verso sinistra, il traguardo laggiù, ci aveva pensato e ripensato. Sacrifici, allenamenti duri, come sempre, più del solito. E poi attacchi in gara, già all'Amstel di domenica, giusto per far capire che la Katusha, in caso fosse mancato Joaquim Rodríguez, aveva una più che valida alternativa. In pratica, un sogno lucido: trovarsi in testa alla Liegi, dopo aver attaccato sul Saint-Nicolas, la côte degli italiani. E dopo anni in cui i nostri, sul Saint-Nicolas, si vedevano a stento, oggi si sono messi davanti in due: Giampaolo Caruso, appunto, e Domenico Pozzovivo.

Caruso è più veloce, Pozzovivo più scalatore, tanto che già sulla Roche-aux-Faucons ha provato ad andar via con Arredondo, colombiano. Pozzovivo è del sud, lucano, Caruso pure è del sud, più del sud: siciliano. Caruso è più fresco ed affamato, Pozzovivo leggermente meno in forze ma non meno affamato del compagno di fuga. Entrambi ci credono, ma forse per convinzione, forse per miglior gamba, è Caruso l'ultimo a desistere. Istruzioni per vincere una Liegi: essere davanti nel finale, è scontato. Avere una buona gamba, e ci siamo. Entrare nell'azione giusta, dare il colpo finale, imboccando per primo il rettilineo in leggerissima salita di Ans.

Fino alla svolta Giampaolo Caruso avrebbe tutte le carte in regola per vincere, poi esce Valverde che insegue il Katusha. Lo mette nel mirino, lo passa, viene a sua volta superato da Gerrans, e la prima Doyenne finisce in Australia. Lacrime, quelle di Caruso, che sono solo una diretta conseguenza di quanto accaduto in gara. Ci credeva, c'è andato a tanto così e nemmeno è riuscito a salire sul podio. Occasioni da oggi o mai più. Se da una parte c'è il bel gesto atletico di Giampaolo Caruso, dall'altra l'ottima prova di Domenico Pozzovivo.

Pollicino le ha provate tutte. Andar dietro a Julián Arredondo sulla Roche-aux-Faucons, spendendo di fatto energie che sarebbero tornate utili nel finale, ma ci sta. E poi c'è il Saint-Nicolas, la côte che lo lancia insieme a Caruso. Pozzovivo non tira troppo (o meglio: prende maggiormente l'iniziativa Caruso), ma dopo una gara così dispendiosa come biasimarlo? Arriva quasi in cima ad Ans, poi Daniel Martin lo passa e Pozzovivo si preoccupa più di contenere quelli che rientrano. Del resto, come fa a sapere che l'irlandese campione uscente cadrà all'ultima curva e che lui potrà andare a cogliere un 5° posto mica male? Mica male per uno come lui, non dotato di spunto veloce, obbligato a tentare l'azione sulle ultime côtes, a fare il vuoto. Bene, lo fa eccome, si spreme, arriva al traguardo esausto, ma ha intepretato ottimamente la corsa. Per chi a 31 anni esordiva su queste côtes, in questa gara, non c'è di he rammaricarsi.

Caruso e Pozzovivo va bene, hanno caratterizzato il finale, hanno dato un barlume di speranza. Riportare la Doyenne in Italia dopo 7 anni (l'ultimo dei nostri a festeggiare ad Ans fu Danilo Di Luca nel 2007). Ma gli altri? Fuori dai dieci. A cominciare da Enrico Gasparotto, che correva in un'Astana con Vincenzo Nibali a provarci (e Jakob Fuglsang a dare più di una mano), è rimasto con i migliori fino alla fine, ha mancato la volatina finale. Occasione, per il friulano, difficilmente ripetibile, ed è un peccato. Il 12° posto non si butta, arrivare a giocarsela è un'altra cosa. Per quanto riguarda Nibali, ha provato un paio di allunghi dei suoi (non proprio dei suoi), dopo la Roche-aux-Faucons, a ruota di Kreuziger, ed anche successivamente. Mai è risultato davvero pericoloso, ha chiuso la prova al 30°, staccato di 51".

Damiano Cunego è giunto alle spalle di Gasparotto, 13°. Che dire, davanti era davanti, ma non è quasi mai entrato nelle azioni decisive, probabilmente per mancanza di gambe. Il solito veronese, che è lì, è davanti, ma a cui manca quel cambio di passo, talvolta quella fortuna, per tornare a vincere una monumento. Ad oggi è un'impresa più impossibile che difficile, per il corridore Lampre-Merida. Detto di Nibali, c'è da registrare un Ivan Santaromita 40°, a oltre due minuti, in affanno nel finale.

A fronte di coloro i quali, per differenti motivi, sono finiti lontani dai primi, vale la pena soffermarsi sulla prestazione di Diego Ulissi. Posto che il ragazzo è ancora giovane - nato nel 1989 - ha iniziato alla grande la stagione: vittoria a Stirling nel Down Under, piazzamenti qui e là, altro centro al GP Città di Camaiore. Da allora, 6 marzo scorso, non è più entrato nei primi dieci, né ha troppo convinto. È uno da Ardenne, si diceva (si dice). Lo è, peccato patisca quelle distanze.

E però anche in corse più brevi, ad esempio la Freccia Vallone, dove il ragazzo di Cecina aveva ottenuto alla seconda partecipazione un incoraggiante 9° posto (nel 2012), non è parso troppo brillante. È stato 13° lo scorso anno, 17° mercoledì. Alla Liegi, chiusa ben oltre il settantesimo posto sia nel 2011 che nel 2012, lo scorso anno aveva centrato un bel 20° posto. Oggi invece lo si è visto solo quando è andato in testa per poi staccarsi. Ha chiuso 66° a 3'33". Ora, va bene che la Lampre-Merida ha perso strada facendo Rui Costa, mentre Cunego, quel colpo vincente, non ce l'ha, ma vuoi vedere che il migliore dei blu-fucsia è stato Matteo Bono, per 230 km in fuga?

Se Cunego, come ammette lui stesso, «alla mia età cosa volete che cambi», riferendosi alla preparazione, su Ulissi e le sue distanze c'è sicuramente da lavorare. Possibilmente senza spremere. Aspettando che i nostri futuri ardennisti - e ci buttiamo dentro anche Fabio Felline, oggi buon gregario - si sintonizzino sulle giuste frequenze, non ci resta che gustare la quasi impresa di Pozzovivo e Caruso. Che quel 25 aprile 2010 non era stato sfiorato affatto dal pensiero di arrivare ad Ans, un giorno, lacrime agli occhi, dopo essersi giocato, e perso, la Liegi. Cose che succedono, se ci si crede. Poi vada come vada.

Bilancio ardennese: prima di oggi non ce la ridevamo affatto, con l'8° posto di Gasparotto all'Amstel come miglior risultato, una Freccia Vallone con il primo (Nibali) 14° - e ci sta pure - e poco, pochissimo altro. Caruso e Pozzovivo riportano su, almeno come morale, il nostro pedale. Il fatto che si debbano attendere tempi e uomini migliori, in un futuro più o meno prossimo, è pacifico.

Francesco Sulas

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