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Diario d'Algeria: Tra ai ventagli a tempo di musica - Marco Fiorilla in gara al Tour d'Algerie. Finita anche la 2a tappa!

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Il nostro Marco Fiorilla durante un rifornimento in corsa © Team Greens

Il mio amico Geoffrey Pizzorni, sublime e superbo cantore disincantato di questo meraviglioso sport, prima di partire per l'Algeria mi aveva scritto testuali parole: "Ocio ai ventagli". Li per li ho pensato a una delle sue solite baggianate ma invece il buon Geoffrey, da navigato partecipante ai Campionati Mondiali di ciclismo riservati ai giornalisti, ci aveva visto lungo. Oggi la tappa più lunga del Tour, 170 km di su e giù tra l'entroterra algerino e la costa mediterranea, mi ha infatti messo di fronte a questa piaga del ciclismo.

Sopravvissuto all'unica seria asperità di giornata, 3 km abbastanza ripidi spuntati all'improvviso dopo una curva secca, dopo un lungo inseguimento sul filo dei 60 orari siamo riusciti a riportarci sul gruppo grazie all'aiuto di alcuni validi giovani belgi e di un paio di ragazzi del Team Gragnano. Giusto il tempo di prendere un po' di respiro, ci siamo ritrovati nel tratto che fiancheggiava la costa dove spirava un fastidioso vento laterale. Se alla stanchezza mia e di altri corridori incapaci come me di risalire il gruppo (bisogna lottare tantissimo anche per provare a farlo) aggiungiamo il ritmo serratissimo tenuto da non so quale squadra (intravedo sempre figure in testa al gruppo che si agitano ma non capisco per cosa) il risultato è che ti ritrovi sul ciglio della strada in fila indiana ad aspettare che ti stacchi o che qualcuno davanti molli creando un buco irrecuperabile. La seconda opzione tra le due mi ha in un primo tempo colto di sorpresa e costretto a un recupero mostruoso insieme ad altri corridori ma una volta rientrati ho visto che ci attendeva uno strappo abbastanza lungo che avrebbe decretato il mio definitivo saluto al gruppo principale.

Alzata bandiera bianca ho avuto il piacere di ritrovare nel mio gruppetto le stesse facce stravolte di ieri. Due miei compagni di squadra, James l'architetto e Jeffrey l'infermiere, un paio della Continental di Singapore, l'olandese volante, il francesino incazzato con me non si sa per quale motivo, il sosia eritreo di Berhane, un giovanotto di Dubai e il suo vicino del Barhein più qualche altro europeo. Non trovando la collaborazione di tutti, io, i miei compagni e altri due corridori con qualche briciolo di forza in più ci siamo avvantaggiati: la spada di Damocle del tempo massimo aleggia sempre sopra di noi, dal momento in cui perdiamo le ruote del gruppo fino all'arrivo. Stavolta rispetto alla prima tappa arriviamo in pompa magna, sicuri di aver fatto un buon tempo ed è una doccia fredda quando ci dicono che la tappa è stata neutralizzata nel finale per via del traffico impazzito attorno alla zona dell'arrivo. Tanta fatica per nulla. Cedo l'ultimo gel rimastomi in tasca a un giovane algerino in bici venuto a chiedermi se ero arrivato tra i primi e se avevo una borraccia per lui.

A questa piccola delusione fa da contraltare però la consapevolezza di aver fatto bene. Temevo questa tappa per la lunghezza e per i dolori alle gambe del post prima tappa. L'elicottero militare che volteggiava su di noi per tutto lo svolgimento della corsa mi faceva tornare in mente un ritornello cantato da Jim Morrison che più che altro per me era un subdolo presagio: "This is the end, my only friend, the end". Ma per fortuna a farmi compagnia durante la corsa ci sono altre canzoni. Non so se capita a chiunque gareggi, ma a me mi risuonano in testa e nelle orecchie certe canzoni che non riesco a stoppare completamente. In questi due giorni in particolare Money e Time dei Pink Floyd, ma è normale perché negli ultimi due mesi ogni mio allenamento solitario partiva con tutti i 42 minuti di The dark side of the moon. Quello che mi inquieta è invece sentirmi ronzare continuamente una canzone di Mario Venuti dal titolo "C'è stato un momento" e in particolare il ritornello dove il cantautore siciliano dice che "fa troppa luce la parola sempre". 

Qualche scia per non perdere il gruppo @ Team GreensSpero di riuscire a stoppare questa canzone fastidiosa così come spero di vincere la paura del rifornimento. Anche oggi sono stato più volte tentato nei primi 50 km ad andare fino alla mia ammiraglia per prendere una borraccia. E proprio quando mi ero deciso ecco una bella "strappata" (mutuo dal gergo che capto dai corridori del Team Gragnano) del gruppo per cui da oggi in poi la borraccia la sostituisco solo se affiancato dalla macchina e quindi una volta staccato dal gruppo principale. È triste un po' dirlo ma preferisco così. Sono un corridore sui generis, anzi non sono un corridore. Non lo sembro neanche. Non curo il mio aspetto esteriore con accessori adeguati: oggi il verde del mio kit era letteralmente spezzato dai guanti gialli della Farnese Vini  2012 che mi diede l'amico Cristian Benenati al termine di un Giro di Turchia, e dai calzini arancioni del Team Toscano Giarre, glorioso sodalizio giovanile siciliano del quale avevo preso in cura la comunicazione in passato. Anche le borracce raccattate da varie squadre Pro Tour non migliorano il quadro. Se poi aggiungiamo che gli occhiali li ho comprati alla Lidl, completiamo il tutto (a proposito, questa settimana con poche euro si comprano pompa con manometro e dei comodi attrezzi quindi devo incaricare qualcuno per l'acquisto). La cosa più tecnologica che posseggo è il Polar, computerino che funge anche da cardiofrequenzimetro e da conta pedalate, peccato che non riesco più a cambiare la batteria del cardio e non lo uso più per pigrizia da due anni. Mi rimaneva il conta pedalate come valido aiuto per gli allenamenti ma anche lui è andato ko qualche mese fa dopo un impatto con una delle tante buche maltesi. Per prepararmi ho fatto affidamento solo sulle mie sensazioni e su qualche dritta datami da un ragazzo che corre tra gli Under in Piemonte,  Antonino Lollo. I suoi consigli sono stati indispensabili così come è stato fondamentale l'aiuto del padre di Damiano Caruso che appena ha saputo di questa mia avventura non ha esitato a cedermi una borsa portabici firmata Cannondale.

Insomma non sono un granché come corridore o sotto certi aspetti del "fare il corridore". In fondo sono ancora un giornalista che scrive di ciclismo e a ricordarmelo oggi è stato il mio amico fotografo di Cycling Asia Mike Murano, venuto dalla Malesia (dove lo conobbi al Langkawi 2010) per seguire la corsa algerina. Mentre eravamo a cena mi ha indicato un corridore della squadra di Singapore, tale Ahmad Anuawar, dicendomi che quando ho seguito quell'edizione del Langkawi lui era in corsa col team Marco Polo. La cosa mi ha fatto un po' un certo effetto e sono andato da Anuawar a raccontargli il curioso caso. Ha sorriso anche lui e ha detto che magari lui un giorno diventerà giornalista televisivo. Io glielo auguro davvero per due motivi: in bici si fa troppa fatica e soprattutto passando dalla bici alla tv si può finire per diventare commissari tecnici della nazionale.

Marco Fiorilla

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