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Nuove frontiere: Asia Minore, ciclismo maggiore - Dubai, Qatar, Oman: cresce l'interesse

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Cheng Ji, Sagan, Cancellara, Kittel, Phinney, Tony Martin, Rui Costa, Rodríguez e Cavendish sullo sfondo del Burj al-Arab di Dubai © BettiniphotoQuando nel 2002 fece la sua comparsa in calendario il Tour of Qatar, non furono pochi quelli che si fecero una risatina, pensando che una corsa del genere non avrebbe avuto un futuro, in quanto priva di alcune caratteristiche che in genere sono necessarie per fare la fortuna di una gara: da un lato, un valido contenuto tecnico (non si ha notizia di salite - seppur minime - affrontate in 12 edizioni); dall'altro, un pubblico.

L'altimetricamente facilissima corsa araba è però sopravvissuta anche senza tifosi a bordo strada, e a inserire un minimo di pepe dal punto di vista sportivo ci s'è messo, a volte, il vento del deserto. Inutile però negare che il motore degli eventi, in tutto questo tempo, sia stato uno, verde e frusciante: i petrodollari degli sceicchi che patrocinano l'iniziativa. Tanto vi si sono appassionati, alla materia, che ora organizzeranno pure un Mondiale in casa loro, e per farlo pare che faranno costruire una salita artificiale da inserire nel circuito iridato. L'anno in cui vedremo il Campionato del Mondo in Qatar è il 2016. Nel frattempo, tante altre cose sono successe, dal punto di vista ciclistico, nella penisola arabica.

Tanto per cominciare, ASO, cioè la società che organizza il Tour de France e che a inizio anni 2000 fiutò l'affare e fece nascere il Tour of Qatar, ha capito che la pista araba andava battuta in lungo e in largo. Nel 2009, ad onta del fatto che a quelle latitudini sia considerato abbastanza immorale che una donna (perdipiù scosciata!) vada in bici, è stato creato il Ladies Tour of Qatar, ovvero la versione femminile dell'identica corsa maschile.

Non ancora soddisfatta del suo espansionismo nella zona, ASO estrasse dal cilindro, 12 mesi più tardi (siamo nel 2010) anche il Tour of Oman, corsa gemella della capostipite qatariota, ma molto più intrigante dal punto di vista tecnico, visto che offre una notevole varietà di percorsi. Sicché, se nella prima si sono alternati nell'albo d'oro velocisti come Alberto Loddo, Robert Hunter, Tom Boonen (il plurivincitore: 4 edizioni per lui), Mark Renshaw e Mark Cavendish, alternati a qualche passista di vaglia (il Lars Michaelsen della situazione), il Tour of Oman è stato conquistato, nell'ordine, da Fabian Cancellara, Robert Gesink, Peter Velits e nientepopodimeno che Chris Froome l'anno scorso.

Intanto, con l'avanzamento da fine gennaio a inizio febbraio del Tour of Qatar, e il successivo affiancamento con quello dell'Oman (le due corse si svolgono in rapida sequenza), ha iniziato a prendere forma quella che è diventata una vera e propria "campagna desertica", ovvero un periodo di gare nello stesso scenario, in una determinata zona geografica, nel nostro caso per l'appunto la penisola arabica. A far da cornice e da completamento, l'approdo sulle televisioni di tutto il mondo, che oggi (da pochi anni) offrono una copertura prima assente.

Cosa mancava allora? Mancava che anche RCS Sport, la corrispettiva italiana di ASO, tentasse di entrare nelle grazie di qualche sceicco, e di conseguenza nell'affare. Detto fatto, sotto la gestione di Michele Acquarone ci sono stati i primi contatti, e successivamente si è concretizzato il grande (per la società in questione) progetto del Dubai Tour. Una terza gara a tappe che va ad aggiungersi alle altre due, e che domani vivrà il suo battesimo.

4 giorni di gara, composti da una crono di 10 km in apertura, due brevi piattoni alla seconda e alla quarta tappa, e una frazione dal finale un po' mosso al terzo giorno (dalla costa, dalla città di Dubai, ci si sposta verso l'interno, andando a cercare una salitella da affrontare due volte nel finale di frazione). Non stiamo parlando del Giro d'Italia e nemmeno della Tirreno-Adriatico, questo è chiaro e financo scontato. Ma la corsetta degli Emirati Arabi può trovare una sua buona dimensione, valorizzata moltissimo proprio dalla vicinanza con le due già affermate consorelle.

Il clima caldo, che facilita l'affinare della condizione in vista di appuntamenti più importanti (e che è senz'altro preferibile ai rigori dell'inverno europeo continentale), completa l'appeal di queste corse, che peraltro sono anche geograficamente non complicate da raggiungere (non occorre sciropparsi 12 ore di volo come quando si va a correre il Tour de Langkawi, ad esempio): a Dubai, tanto per dire, saranno in gara 11 formazioni del World Tour (oltre a 5 Continental), e nomi quali Nibali, Sagan, Rui Costa (all'esordio stagionale), Pozzato, Hushovd, Hesjedal, Valverde, Cavendish, Tony Martin, Kittel, Rodríguez, Cancellara, danno la misura del livello altissimo della startlist. Poi, è chiaro che diversi di questi corridori pedalicchieranno in classe turistica, giusto per fare un po' di gamba, ma ci sono corse storiche in Europa che si svenerebbero (e non possono farlo) per mettere insieme un cast del genere.

RCS Sport non fa mistero della natura sostanzialmente economica di questa operazione (ci si fa pagare dal comitato locale per il supporto organizzativo, e si entra in contatto con eventuali - e munifici - sponsor per le altre proprie corse), che vuol essere un primo passo sulla via dell'internazionalizzazione degli interessi della società milanese. Per gli appassionati, che obiettivi porsi? In primis la speranza che la gara risulti gradevole (siamo pur sempre a inizio febbraio, non ci si può aspettare lo spettacolo senza fiato che si gode in appuntamenti più centrali della stagione); quindi citiamo l'ovvia possibilità di iniziare a familiarizzare con le nuove maglie presenti in gruppo; e infine - non nascondiamocelo - l'immancabile immedesimazione con quei luoghi esotici, per calarsi per quattro giorni nel clima del paese in cui si costruiscono grattacieli altissimi e isole artificiali a beneficio di turisti e speculatori immobiliari...

Marco Grassi

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