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Il caso: Santambrogio non mollare! - "Addio mondo" ha twittato Mauro in tarda serata. Gara di solidarietà sui social network

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Mauro Santambrogio © BettiniphotoÈ notte. Siamo svegli, ma non per aspettare l'inizio di un'inutile corsa all'altro capo del mondo. Siamo svegli perché poco fa abbiamo letto un tweet dal sapore lugubre: "Addio mondo". A scriverlo, Mauro Santambrogio, che non usava questo social network da mesi, e che subito dopo ha aggiunto di non farcela più, in risposta a Enzo Vicennati (giornalista di BiciSport) che gli chiedeva cosa stesse succedendo.

Due messaggi che francamente hanno gelato il sangue, anche perché non sono stati seguiti da altri tweet di spiegazione o di rassicurazioni. Niente, son rimasti lì come due fredde rasoiate nella notte, a ricordare al mondo del ciclismo la vicenda di un corridore che in maggio toccava il cielo con un dito (con la vittoria di tappa allo Jafferau al Giro d'Italia e la susseguente ottima classifica generale), prima di cadere nella polvere di una positività all'EPO che ne ha spezzato il volo proprio sul più bello.

Da allora il silenzio, l'attesa dei risultati delle controanalisi che avrebbero potuto scagionarlo (si era parlato, nelle scorse settimane, della possibilità che tali controanalisi fossero addirittura negative), ma soprattutto la messa all'indice da parte di un ambiente che fa presto a fare spallucce di fronte a qualsiasi vicenda di doping. Perché forse a chi ha la coscienza sporca, la coda di paglia, la lingua si scioglie molto più facilmente (per pura necessità inconsciamente autodifensiva, diciamo) e allora ecco piovere la condanna facile, il biasimo di prammatica, la conseguente gogna mediatica.

All'improvviso, se un ciclista viene trovato positivo, diventa agli occhi della maggioranza delle persone (siano essi semplici tifosi o addetti ai lavori) un reietto, una merdaccia, degno di qualsiasi insulto, di ogni tipo di offesa, di parole pesanti che vanno ben al di là dell'effettiva colpa del soggetto. Insomma, parliamo sempre di quel giocattolino che è il ciclismo, ci vorrebbe un minimo di senso della misura; e invece per chi "sgarra" si usano toni apocalittici da regno del male. Come se il resto dell'ambiente fosse composto da educande. Ma non è questo ciò di cui vogliamo occuparci in questa notte strana.

Il caso di Mauro Santambrogio, il suo grido disperato, ha rapidamente smosso qualche coscienza. Alessandra De Stefano, giornalista Rai molto vicina ai corridori (e molto attenta nell'uso di Twitter in particolare), ha subito scatenato una catena di solidarietà nei confronti del ciclista. "Mandategli un messaggio, stiamogli vicini, la vita è il valore più grande", il senso dei suoi frenetici tweet che si sono susseguiti dopo le scarne comunicazioni di Mauro. Il timore di un gesto estremo da parte del ragazzo ha fatto il resto, e da lì il susseguirsi di messaggi di vicinanza e di incoraggiamento nei confronti di Santambrogio è diventato rapidamente un diluvio.

Malgrado l'ora tarda, sono state centinaia le persone che hanno indirizzato un tweet (o un post su Facebook, dove la cosa è subito rimbalzata) a @maurosanta84 (l'indirizzo per "taggare" il corridore su Twitter). Anche altri giornalisti, alcuni colleghi di Santambrogio, anche i suoi manager della Fantini, Angelo Citracca e Luca Scinto, con quest'ultimo che ha comunicato di aver poi sentito Mauro e di avergli confermato la vicinanza della squadra.

Quella stessa squadra che l'aveva brutalmente scaricato nel giorno della notizia della positività, e qui emerge in tutta la sua evidenza il gioco delle parti che soggiace all'ambiente del ciclismo, si capiva e si capisce che le parole di Scinto nel giorno del test non negativo (non le riportiamo per carità di patria) erano dettate da questioni di opportunità, e che dietro le quinte i rapporti tra le parti non erano certo quelli evidenziati dalle dichiarazioni ufficiali. Che tristezza di ambiente, questo ciclismo.

E che tristezza in generale il mondo, e viene da urlarlo alla luna di fronte a certi fatti, a certi eventi. Dov'erano tutti quelli che stanotte (e che certamente continueranno domani) stanno provando a rincuorare Santambrogio, dov'erano quando venne fuori la notizia della positività? Quanti di loro, all'epoca, l'avranno insultato, e quanti si saranno guardati bene dal difenderlo da certi eccessi verbali consumati via social network?

Noi li ricordiamo bene gli insulti, ricordiamo perfettamente le offese infamanti (anzi: infami), ricordiamo le parole - in linea con quelle regalate a Danilo Di Luca pochi giorni prima - e ricordiamo il modo in cui, per il semplice fatto di essere stato trovato positivo ad un test antidoping, un ragazzo come tanti venne trattato come se fosse il peggiore dei mostri esistenti sul pianeta.

E badate bene che, così come oggi non è il grido di dolore di Santambrogio a scatenare la catena di solidarietà, 4 mesi fa non fu tanto la positività di Mauro a scatenare la ridda di insulti. A smuovere tutte queste coscienze è l'insopprimibile tendenza al conformismo, la sempre viva vigoria del pecorone, l'innata necessità di farsi gregge, di poter dire - allora - "anch'io ho condannato Santambrogio!", così come oggi si potrà dire "anch'io ho contribuito a salvare la vita a Santambrogio!".

Tutto questo ci fa schifo, e lo diciamo senza mezzi termini e senza aver paura di venire sommersi da mail di proteste (o magari dagli stessi insulti che sempre abbiamo stigmatizzato). Chissenefrega. Il meccanismo dei social network si smaschera per quello che è, per la perversione che è insita in esso, per la ciclica necessità di avere oggi un mostro da abbattere, domani un'anima da salvare.

Tutti insieme, appassionatamente, e possibilmente col cervello ben spento. L'importante è fare gruppo, senza magari chiedersi i motivi che sottendono a determinate questioni, senza avere l'urgenza di approfondire questa o quella tematica, ma solo con lo spasimo di dover scrivere una frase più plateale di quella scritta dagli altri utenti, allo scopo di raccattare qualche decina di "Mi piace" e andare soddisfatti a farsi un aperitivo.

Chissenefrega se poi qualcuno può realmente essere sommerso da tanta superficialità (prima ancora che cattiveria). La banalità del male, hanno teorizzato in tanti nel corso dei decenni: oggi la ritroviamo in quel che apparentemente è un innocuo giochino bianco-blu che inizia per FB, o in quei cinguettii spesso insensati che condensano in 140 caratteri concetti che avrebbero bisogno di ben altri spazi per essere sviscerati.

Ora, mentre il profluvio di messaggi all'indirizzo di Santambrogio continua, non ci resta che sperare che Mauro si tranquillizzi, che riesca a razionalizzare quanto gli è accaduto (e gli sta accadendo), e che superi questo momento difficile. Fregandosene del ciclismo, al limite; e pure dei social network, per quanto possibile. Cercando di ritrovarsi al di là di un casco e di una bicicletta. Glielo auguriamo di cuore (e con inevitabile amarezza, sì): Mauro, non mollare. Nessuno merita un tuo sacrificio.

PS: la catena di solidarietà ha comunque sortito una risposta: poco dopo l'una, Santambrogio ha twittato un messaggio di ringraziamento a tutti, "ce la devo fare a vincere questa corsa". Per quello che conta, siamo con lui.

Marco Grassi

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