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Giro d'Italia 2013: Un tranquillo week-end di ciclismo... - Dalla glaciazione alla radiazione (di Di Luca)

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Danilo Di Luca durante il Giro d'Italia 2013 © BettiniphotoUn tranquillo week-end di ciclismo, di quelli eroici, di una volta, di quelli in cui la neve spazzava il Giro e faceva annullare le tappe, di quelli in cui le positività all'Epo irrompevano a spazzare l'orizzonte.

Fino a pochi giorni fa eravamo in una sorta di Eden, un Giro molto bello e con protagonisti importanti, la grande sfida tra Nibali e Wiggins gustata sin dalle prime tappe, la ribalta di alcuni giovani molto promettenti, la bellezza degli scenari, la voglia di dar battaglia anche in tappe intermedie, tutto concorreva a farci sentire finalmente e pienamente appagati, dopo tanto tempo, per lo spettacolo ciclistico. Non solipsisticamente noi, ma tutti, prova ne sia il riscontro di pubblico sulle strade e in tv.

Poi il maltempo, dopo alcuni giorni di pioggia (che hanno fatto fuori Wiggins), ha iniziato a rompere seriamente le scatole, con la neve e il gelo che nei giorni scorsi hanno condotto alla soppressione del passaggio sul Sestrière nella 14esima tappa, e degli ultimi 4 km di salita sul Galibier, domenica nella 15esima. Il tempo di una tregua, durata giusto mezz'ora, che le previsioni per il fine settimana hanno stravolto tutto, annunciando l'arrivo di una glaciazione sulle Alpi, e per una volta i figli di Bernacca ci hanno preso in pieno, visto che la neve è arrivata al momento giusto per causare il martirio della 19esima tappa (finalmente soppressa solo dopo averla fatta soffrire in tutti i modi, in un accanimento terapeutico che ha visto prima la cancellazione di Gavia e Stelvio, poi la presa d'atto che Tonale e Castrin erano ugualmente intransitabili, e infine la ferale decisione), e lo sventramento della 20esima.

La quale 20esima rimane così, come un simulacro di ciò che doveva essere (e cioè un vero tappone, 203 km con Costalunga, San Pellegrino, Giau, Tre Croci e Tre Cime di Lavaredo), ora che sono stati giustamente tolti tutti i passaggi sui colli, e lasciata solo la doppia ascesa finale a Tre Croci e Tre Cime. Da tappa decisiva, potrà risolversi in un orpello vezzoso a fine Giro, lo potremo ribattezzare "l'arrivo delle Treccine di Lavaredo". Purtroppo quest'anno è andata così, prendiamola con filosofia e al limite speriamo di non dover assistere domani a un altro annullamento, perché a quel punto l'ipoglicemia sarebbe il meno che potrebbe capitare all'appassionato medio.

Non si dica, però, che se domani Nibali si difenderà con successo alle Treccine (sempre ammesso - ripetiamo - che la tappa si faccia), la sua sarà la vittoria di un Giro dimezzato. Non è che i suoi avversari hanno fatto lo Stelvio e lui no, il percorso è stato uguale per tutti, e semmai è lui - che ha comunque dimostrato di essere il più forte in salita - a doversi dolere per le tappe smezzate o cancellate. Si potrà dire che in altre condizioni, qualcuno avrebbe potuto mettere nel sacco il messinese, se si fosse potuto svolgere il finale montagnoso previsto dagli organizzatori. Può essere (ma la probabilità che ciò avvenisse era onestamente scarsa), fatto sta che il meteo è un elemento del ciclismo, e anche questo - come il percorso - è uguale per tutti.

Ciò che non è uguale per tutti è il finale del Giro, perché per uno, Danilo Di Luca, la chiusura è carica d'amarezza e problemi: positivo all'Epo in un controllo preGiro, la notizia arriva oggi a consolarci dell'assenza della tappa: oh, è sempre il nostro caro amato Giro di una volta, quello che a un certo punto veniva frastornato dal doping!

Non ci importa, oramai, di star qui a fare disamine e disquisizioni, o di metterci a commentare le reazioni psicodrammatiche di questo e quello. Semplicemente, la legge è legge e Di Luca, nuovamente positivo ad un controllo, va incontro alla radiazione. Amen.

Certo fa specie questo ritorno al passato, o meglio, questa proiezione dal passato, perché è chiaro che il sistema antidoping è da rifondare (forse già "in via di rifondazione"), proprio per evitare situazioni spiacevoli come quella odierna, che sembrano provenire non dall'oggi, ma dalla realtà di 3-4-5 anni fa. La "positività" è un concetto che deve sparire dal vocabolario del ciclismo, è vecchiume che avanza, è frutto di un'impostazione deleteria per il nostro sport, di un approccio al problema cieco e menefreghista. Menefreghista nel senso che il problema non lo risolve, ma si limita a gravitarci intorno.

Dobbiamo arrivare a poter dire, grazie ai dati del Passaporto Biologico, "caro Di Luca, lei ha una situazione fisica non in linea con quel che dovrebbe essere, sia ciò per una malattia, o perché si è dopato, o perché s'è scolato una bottiglia di Barolo, fatto sta che si deve fermare, le diamo 2 mesi di tempo per rientrare nei parametri, dopodiché potrà tornare a correre oppure no". La pesante alterazione esogena dei propri parametri, in tal modo, sarebbe del tutto inutile, visto che a priori non ci si troverebbe in linea con quanto previsto dal proprio personale Passaporto Biologico, e quindi l'effetto del doping non potrebbe comunque essere messo a frutto. Tanto varrebbe, a quel punto, evitare pratiche rischiose o contra legem.

Ci arriveremo? Qualche segnale incoraggiante c'è, aspettiamo con fiducia che in settembre cambi qualcosa all'UCI: Pat McQuaid (già scaricato dalla Federciclismo irlandese) potrebbe non essere rieletto alla presidenza e qualche finestra ad Aigle potrebbe finalmente essere aperta, causando un po' di circolazione d'aria fresca in quegli uffici. Non c'è niente, al momento, di cui ci sia più bisogno.

Marco Grassi

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