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Liegi-Bastogne-Liegi 2013: Martin, losanghe non mente - Vince il nipote di Roche, JRO-Valverde a podio, bravo Scarponi

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Daniel Martin vince la Liegi, a Joaquim Rodríguez rimane lo sfondo © www.slipstreamsports.com

Che l'Irlanda, dopo i fasti dei Roche e dei Kelly, fosse rappresentata ai massimi livelli nel ciclismo d'oggi da un certo Pat McQuaid, dà la misura del declino in atto nel genere umano. Fortunatamente ogni tanto ci sono delle cesure, nell'inevitabile decadenza dei popoli, e oggi in una di queste s'è infilato Daniel Martin, 26enne nipote proprio di Stephen Roche (e quindi cugino dell'altro professionista Nicolas), il quale ha vinto la Liegi-Bastogne-Liegi, riportando un irlandese in vetta ad una classica monumento a oltre 21 anni dall'ultima volta (Sean Kelly e la sua doppietta Lombardia '91-Sanremo '92).

Ci è riuscito, Daniel, grazie alle proprie indubitabili doti, che l'avevano già portato a vincere diverse cose interessanti (a partire da una Tre Valli Varesine e da una tappa alla Vuelta, per finire con l'ultima Volta a Catalunya) oltre che a dimostrarsi abbastanza portato per le côtes della Doyenne (l'anno scorso qui fu quinto); e grazie all'aiuto di una squadra, la Garmin, che oggi è stata se non superiore numericamente alle altre, di sicuro molto più efficace, grazie anche alla presenza di quel Ryder Hesjedal che, con l'avvicinarsi del Giro, torna a vestire panni da protagonista. Panni che, parlando della squadra di Vaughters (uno dei personaggi più cool del ciclismo attuale), non possono che essere istoriati dalle ormai classiche losanghe che fanno sembrare le maglie del team golfini all'ultimo grido (o, a seconda dei punti di vista, pigiamini invernali...).

Martin si è inserito tra la declinante generazione degli spagnoli da Vallonia (per quante altre Liegi potremo vedere Valverde e Rodríguez nel gruppetto che va a giocarsi la corsa?) e quella rampante dei colombiani che domineranno in futuro (quanto va forte Betancur!), affermandosi come nome corsaro su cui puntare anche per i prossimi anni, vista la sua qualità e la capacità di rappresentare ben più che un outsider nel contesto delle classiche "da côte".

Ha vinto, l'irlandese, anche perché ad alcuni protagonisti attesi sono mancate le gambe sul più bello: in particolare a Gilbert (ma non si era già capito alla Freccia che l'iridato era in debito di condizione?) e a Nibali, il quale ha ammesso di non aver avuto quella brillantezza necessaria per ripetere quantomeno l'attacco in grande stile (pur perdente) dello scorso anno. Lo attendevamo, un assalto di Vincenzo che si innestasse su una corsa resa dura (anche per ovviare all'assenza della dirimente Roche-aux-Faucons), ma non abbiamo potuto avere il primo e di conseguenza non abbiamo avuto nemmeno la seconda. In compenso Scarponi ha conquistato un altro buon piazzamento alla Doyenne, e Gasparotto si è confermato nome di rilievo, a queste latitudini. Non è molto, ma piuttosto che niente, meglio piuttosto...

La corsa delle seconde linee
Non è che ci sia tanto da dire riguardo ai primi 210 km di gara, se non riconoscere il giusto merito ai 6 fuggitivi del mattino, messisi in marcia al km 7: Bart De Clercq, Vincent Jérôme, Jonathan Fumeaux, Pirmin Lang, Frederik Veuchelen e Sander Armee hanno guadagnato fino a 14'10" (toccati al km 50) e poi hanno difeso come hanno potuto quel margine dal ritorno delle squadre dei favoriti: Movistar (Valverde) e BMC (Gilbert) su tutte, ma anche Sky e Katusha, e poi Astana e Saxo, hanno dato una mano.

Sicché ci si è tuffati sulla Redoute (-40 dal traguardo) con la fuga ormai al lumicino e con una caduta, ai piedi della côte, che ha messo fuori causa Andrey Amador (frattura alla clavicola). Sulla salita simbolo della Liegi è stata la Sky (già in testa da diversi chilometri) a muovere la prima pedina: David López (compagno di Henao) è scattato e ha superato velocemente Jérôme (l'ultimo superstite della fuga), chiamando la reazione in primis di Fuglsang (compagno di Nibali) e Rui Costa (compagno di Valverde), che si sono subito portati sul nuovo battistrada.

E il gioco delle seconde linee è continuato col contropiede di Cunego (in squadra con Scarponi), Losada (gregario di Rodríguez), Fränk (coéquipier di Gilbert) e Bardet (che condivide con Betancur giovinezza e maglia AG2R). Il quartetto ha raggiunto in cima alla Redoute i tre che erano al comando, ma subito s'è capito che non era tempo di larghe intese, infatti l'accordo per spartirsi il lavoro e tirare dritto non è mai giunto. Cosicché è stato ancora López, sullo Sprimont (a -33) a proporre un altro allungo, a cui hanno reagito bene Cunego e Bardet; gli altri si sono un po' mischiati con i corridori che erano in avanguardia nel gruppo in forte rimonta, e più avanti (a 30 dalla fine) ancora Fuglsang, Losada e Rui Costa son rientrati, in compagnia dei sopraggiunti Fédrigo e Ten Dam, sul gruppetto Cunego. Per tutti non c'era comunque futuro, e a 28 km dalla conclusione il plotone tirato dalla BMC ha annullato definitivamente l'azione.

La corsa dei più forti
Già sulla Redoute Scarponi - incurante del fatto di avere Cunego davanti - aveva prodotto prima un forcing che aveva trovato la risposta di Gilbert, Valverde, Nibali e (grande novità!) Moser, e poi un piccolo allungo, senza che ciò scombussolasse troppe carte in gioco (certo, il gruppetto di Cunego avrà perso tre o quattro secondi, nell'occasione).

Sulla Côte de Colonster, invece, le cose hanno iniziato a prendere una piega diversa. A 20 km dalla fine, era praticamente impossibile che non prendesse corpo un qualche tentativo un po' più serio e duraturo delle scaramucce precedenti. Ecco allora che, su spunto di Giampaolo Caruso, ha preso vantaggio un gruppetto comprendente anche Urán, Gasparotto, Quintana, Contador, Van Avermaet, Betancur, Ratto (notevolissimo), Hesjedal, Dan Martin, De Weert e Lagutin. La non eccessiva durezza della salita inserita per sostituire l'intransitabile Côte de la Roche-aux-Faucons ha tenuto insieme una situazione tutto sommato fluida, col gruppo dei migliori sempre sul punto di piombare su questi attaccanti (e con Gilbert, Valverde, Nibali e Scarponi a occuparne le prime posizioni).

Allora Contador ha rilanciato, e ai 18 km è partito bene, con un'azione che è stata se non altro un promemoria a se stesso (della serie: io ci sono ancora), dopo le ultime opache prestazioni. Di converso, va ricordato che anche il grande rivale di Alberto, ovvero Andy Schleck, non ha impressionato ma ha almeno portato a termine la gara, facendosi spesso vedere nel drappello buono (e chiudendo al 41esimo posto).

Su Contador si sono portati Urán, Antón, Rui Costa, Caruso ed Hesjedal, il quale ha rilanciato l'azione mentre il gruppo - ripresi tutti gli altri - viveva l'unico momento in cui si vedeva Rolland, autore di un vano scatto ai 17 km. Anche l'esistenza del sestetto al comando risultava piuttosto vana, visto che solo Hesjedal e Urán si sono impegnati ad alimentare l'azione, con gli altri quattro passivi sulle ruote. E allora, stufo di tanta ignavia, il vincitore del Giro d'Italia 2012 è scattato da solo, ai 16 km, tentando un colpaccio simile a quello riuscito a Kreuziger sette giorni fa all'Amstel.

Il Saint-Nicolas e il sestetto buono, la vittoria di Martin
Il canadese ha avuto fino a 21" sul gruppo tirato a turno da Astana, Katusha e BMC, e per qualche chilometro ha avuto solide speranze di resistere, mentre invece gli altri attaccanti (Contador e soci, per intenderci) venivano raggiunti ai 10 km. Ma Hesjedal si è un po' piantato sulla Côte de Saint-Nicolas, la salita che spesso è risultata decisiva e che lo è stata sostanzialmente anche questa volta.

Daniel Martin, compagno di squadra di Ryder, provava a spezzare il ritmo in testa al gruppo nel primo tratto di ascesa, ma quando ai 5.8 km Betancur ha esibito un altro splendido scatto dei suoi (l'avevamo visto all'opera appena mercoledì alla Freccia), non è stato più tempo di cincischiare. Mollema, che era a ruota del colombiano, è rimbalzato malamente indietro; Weening ed Henao, che sembravano pronti a spiccare il volo in testa a quel che rimaneva del plotone, non hanno avuto gambe. Chi invece è stato brillante abbastanza da rispondere al giovanotto della AG2R è stato ancora Scarponi, che nel giro di 300 metri ha riportato su Betancur anche Martin e Joaquim Rodríguez (il cui compagno Moreno era caduto poco prima, ai piedi del Saint-Nicolas), e in quello stesso momento tutti e quattro hanno agganciato Hesjedal.

Gilbert, capito che il momento era quello topico, ha tentato di scattare per riavvicinare il trenino di testa, ma dopo due pedalate si è clamorosamente afflosciato, e anche Nibali non ha avuto la brillantezza per farsi trovare pronto per recuperare; cosa che invece Valverde è riuscito a fare benissimo, con un grande scatto che gli ha permesso di rientrare in brevissimo tempo sui battistrada, a formare quel sestetto che, senza più tentennamenti, sarebbe andato a giocarsi la vittoria finale. Il fatto che ci fossero due Garmin (Hesjedal e Martin) ha dato poi una marcia in più all'azione dei 6, con il canadese che - giocata in precedenza la carta sorpresa - si è messo a disposizione del compagno per respingere il tentativo ormai tardivo dell'Astana di annullare il gap: Nibali, a quel punto, si è anche messo a disposizione del più veloce Gasparotto, tirando in prima persona, ma - come si suol dire - i buoi erano ormai scappati dalla stalla.

Sullo strappo di Ans che conduceva al traguardo, Joaquim Rodríguez è partito secco a 1200 metri dalla fine. Il catalano ha preso un breve vantaggio e Scarponi, generoso come nei giorni migliori, ha operato per il ricongiungimento, ma senza fortuna; nulla ha poi potuto, Michele, quando Daniel Martin è scattato a sua volta in contropiede, riportandosi tutto solo su JRO, raggiunto ai 500 metri. Né ha potuto alcunché Valverde, che era alla ruota dell'irlandese ma ha dovuto vederselo sfuggire via.

Quando Martin ha raggiunto Purito, probabilmente quest'ultimo ha ricordato il recente Giro di Catalogna, nel quale l'irlandese l'ha impallinato a più riprese. E la storia si è ripetuta, con Daniel che ai 300 metri, praticamente sulla curva che immetteva sul rettilineo finale, è scattato una volta in più, prendendo il margine necessario per poter - nell'ordine - rendersi conto di essere a un passo dal successo più importante della carriera, lasciarsi andare all'esultanza del caso, tagliare il tanto sospirato traguardo con 3" sul valente capitano della Katusha.

Valverde - probabilmente esauritosi nello scatto per rientrare in testa in cima al Saint-Nicolas - non ha potuto far altro che accontentarsi del podio, vincendo la volata per il terzo posto su Betancur e Scarponi, a 9" dal vincitore; a 18", ulteriormente delusi, gli inseguitori sono stati regolati da Gasparotto (sesto dopo il terzo posto del 2012) su Gilbert, Hesjedal (raggiunto nel frattempo dopo essersi staccato nel finale), Rui Costa e Gerrans. Nocentini ha chiuso al 14esimo posto, Ulissi al 20esimo (ma a 56"), Nibali al 23esimo (a 1'), De Marchi al 25esimo (a 1'03"), Cunego al 30esimo (a 1'06"). Risultati non esaltanti per il ciclismo italiano, ma una gara in cui i nostri hanno finalmente ritrovato una certa centralità, dopo le impalpabili presenze delle precedenti classiche.

In definitiva, una Liegi che non si può certo definire spettacolare, visto che la corsa si è realmente infiammata solo negli ultimi 20 km (dopo altri 20 km di scaramucce); ma che lancia nel firmamento dei protagonisti delle classiche Daniel Martin, che da qualche anno era sempre lì lì per spiccare il volo, e oggi finalmente centra un bersaglio davvero grosso (non l'ultimo per la sua carriera, gli auguriamo). Si esaurisce con la Doyenne la fase delle più importanti corse in linea, da martedì - col Romandia - saremo già in clima grandi giri, non per la corsa svizzera in sé, ma perché le breve gara a tappe elvetica è il classico antipasto del Giro d'Italia: la corsa rosa è ormai veramente dietro l'angolo, e con essa la parte centrale - forse la più succosa - della stagione ciclistica.

Marco Grassi

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