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L'intervista: Finalmente Rossella ritorna a sorridere - La Callovi si racconta: lo stop, la paura, il rientro, le ambizioni

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Rossella Callovi ritorna in gruppo dopo un anno di stop © vecchiafontana.itSpesso per descrivere una persona si utilizza un aggettivo vago e dall'aspetto positivo: "solare". In pochi casi però si ha davvero in testa ciò che si intende con quella parolina diventata ormai una sorta di moda, da buttare sul tavolo come fosse un jolly. Ecco, se si vuol comprendere meglio chi incarni la tipica figura della ragazza "simpatica e solare" bisogna prendere la via del Trentino e conoscere Rossella Callovi. Questa giovane della Val di Non vive a Termon di Campodenno, è nata a Cles il 5 aprile 1991 e corre nella Pasta Zara-Cogeas-Manhattan di Maurizio Fabretto. Di Rossella colpisce molto la bellezza interiore, anche se i capelli biondi, gli occhi azzurri ed un sorriso splendido e quasi perenne, meraviglioso come un'opera d'arte del Louvre, potrebbero permettere alla trentina di vestire tranquillamente i panni della miss. Per inciso, Rossella è un talento: di bravura sulla bici, di modestia a ruote ferme («Non so se mi merito quest'intervista, in fondo nella scorsa stagione non ho combinato nulla», ci ha ripetuto spesso): nel 2009 tra le Juniores vinse molto, laureandosi Campionessa del Mondo a Mosca. L'anno successivo passò tra le Élite vestendo ancora i colori della Vecchia Fontana e coronò la stagione con la convocazione per i Mondiali di Melbourne, dove ottenne un posto da titolare ed aiutò Giorgia Bronzini a portare a casa il titolo iridato. Di lei Edita Pucinskaite, nel suo italiano pressoché perfetto, disse all'epoca: «Assomiglia tantissimo Vos».
Non sempre però talento e doti naturali bastano per arrivare in alto. Talvolta la sfortuna ci mette lo zampino e così Rossella, dopo un 2011 in cui stava veramente esplodendo, entrò in un periodo nero: stanchezza, impossibilità di sostenere gli allenamenti, un virus strano, delle cure che non si trovavano. Qualcuno pensava all'ennesimo talento italiano andato perduto. Invece Rossella ha tenuto duro e dopo un 2012 passato ai box è tornata a correre quest'anno. Ricominciando tutto da capo, rimettendosi totalmente in discussione, ricostruendosi - lei così naturale in tutto - mattoncino dopo mattoncino, senza esagerare, perché un anno senza bici si fa pur sempre sentire. Una prova del fuoco che Rossella parrebbe aver superato, anche se è presto per dirlo troppo forte. E allora il ritorno alle corse ce l'ha raccontato a modo suo, tra una risata e l'altra (a tal proposito: i consueti "ride" messi in parentesi sono stati volutamente evitati, vista l'abbondanza che ne sarebbe derivata), con la voce pacata ma serena di chi quest'anno raccoglierà tutto quanto di buono potrà giungere con il solito, bellissimo sorriso.

Rossella, finalmente quest'anno sei tornata ad attaccare il numero sulla schiena.
«Già, ho iniziato con la Vuelta a Costarica, proseguendo con la Vuelata El Salvador. Sin dalle prime corse mi sono sentita abbastanza bene fisicamente e un po' mi sono sorpresa. Certo, non avevo molta brillantezza ma la tenuta era buona; alla fine della giornata, della tappa, non ero mai finita. I chilometri li sopportavo, insomma. Poi riattaccare il numero sulla schiena dopo tanto tempo è sempre bello, anche se in queste prime gare ho cercato di non strafare, né ho cercato il risultato, anche perché la squadra non mi ha chiesto nulla. Le ho interpretate come un bell'allenamento. Poteva capitare la semitappa in cui si arrivava in volata ed allora mi buttavo, per provare. In Costarica è andata bene ed ho chiuso con un quarto posto. Però, ecco, ritornare è sempre bello».

Rossella Callovi in fuga durante la Vuelta El Salvador © teampastazara.comDuole fare un passo indietro, per capire da cosa ritorni.
«Da un anno buio, un 2012 in cui i medici non riuscivano a capire che cosa avessi. Ho fatto mille visite, ogni medico dava la sua diagnosi, persino a me sembrava ingiusto dire a chi mi chiedesse cosa avessi di non sapere nulla. Sono andata un po' in crisi. Poi quando sei debole ti ammali più facilmente ed è come una catena. Non ne esci più».

Alla fine s'è capito qual era il tuo problema?
«È stato molto complicato. Subito stavo male e non riuscivo a percorrere due chilometri in bicicletta. Ma non dico per dire, era proprio così! Mi hanno trovato un problema a livello metabolico che mi portava all'ipoglicemia. Con un calo di zuccheri diventava difficile gestire l'allenamento. Questo generava tutta una serie di problemi a catena, come il citomegalovirus che mi è stato riscontrato. Tante analisi ma nessun medico che capisse da dove partiva il problema. Sono diventata un'esperta in medicina, durante quest'anno...».

E la paura di dover smettere con il ciclismo?
«C'è stata, eccome. Dopo che mi hanno ricoverata nel reparto di endocrinologia a Ferrara, nei primi mesi del 2012, mi hanno trovato un microadenoma all'ipofisi. Niente di maligno, molti con il mio stesso problema conducono una vita regolare. Alcuni dottori mi hanno detto che dovevo smettere. Sono scoppiata a piangere. Mi sono rivolta a diversi endocrinologi ed il loro parere era che il problema, fosse congenito o meno, non mi precludeva di continuare a correre in bici. Eppure continuavo a stare male. Allora Diana Ziliute, la mia ds che mi è rimasta sempre vicinissima, mi ha consigliato un medico di Sacile dove era stata anche lei quando gareggiava. È un omeopata, secondo lui il problema dell'insulina era legato all'intestino. Abbiamo iniziato con cure omeopatiche ed una dieta, mi ha tolto alcuni alimenti. Lo scopo era disintossicare l'intestino. Ha funzionato, infatti da lì in avanti ho ripreso a star bene e, pian piano, ad allenarmi come prima».

Rossella, qui in Nazionale, è sempre allegra e sorridente © vecchiafontana.comHai ricominciato da zero, in pratica.
«Diciamo di sì, perché dopo che stavo male e non riuscivo a gestire l'allenamento ho lasciato la bici per quattro, cinque mesi. Una volta ripresa l'attività, gli allenamenti sono stati graduali. Ora dopo ora ho ricominciato ad allenarmi. In inverno ho praticato anche la corsa a piedi, sono andata in palestra, ma i chilometri nel vero senso della parola li ho accumulati a El Salvador».

Cosa t'ha lasciato quest'anno, anno e mezzo, d'inattività?
«Di sicuro ho imparato tante cose, è stata una lezione di vita. Penso di essere cresciuta un sacco dal punto di vista mentale, ora approccio gli allenamenti e le gare in un altro modo rispetto a prima. Riesco a capire meglio il mio fisico, mi conosco e so gestire i miei sforzi. Comprendo i miei limiti e mi regolo di conseguenza, è qualcosa di fondamentale per un'atleta. Magari prima dello stop, quando molte cose mi riuscivano facilmente, procedevo in un modo, senza pormi troppe domande. Ora sicuramente è un'altra storia. Inoltre ho imparato che quando vinci hai tante persone attorno, quando invece gira male il cerchio di chi ti resta vicino si stringe».

Sicuramente nella ristretta cerchia va messo Maurizio Fabretto.
«Certo, lui ha sempre creduto in me e nel mio ritorno. Devo ringraziare la Pasta Zara-Cogeas-Manhattan che mi ha dato la possibilità di continuare, senza lasciarmi a piedi. Come dicevo, finché vai forte non hai problemi con le società ma quando stai ferma, come è capitato a me, può diventare difficile. Avere qualcuno che crede in te, nonostante non avessi corso e non fossi allenata, è stata una grande prova di fiducia che la squadra ha dimostrato nei miei confronti. Fiducia che spero di poter ripagare prima o poi. Tra l'altro su Fabretto ho un piccolo e divertente aneddoto...».

Prego.
«Era lo scorso agosto, cominciavo a stare un po' meglio e lui è venuto a casa mia, a Termon, a trovarmi per vedere come mi sentissi. Aveva con sé una bottiglietta di vetro: acqua di Lourdes... È entrato in casa ed in pratica ha benedetto le pareti: "Ghe penso mi va', benedico questa casa e porto via questa sfortuna...". A parte quest'aneddoto divertente, gli sono davvero grata. Non mi sta mettendo fretta ma vuole che recuperi al meglio».

Rossella Callovi in un momento di relax a El Salvador © Facebook Cos'è stato più facile alla prima corsa dopo un anno ferma e cosa invece più difficile?
«Sicuramente mi sono stupita in positivo della mia tenuta alla fine di ogni tappa. Non ho concluso la Vuelta El Salvador perché, dopo un anno senza corse, avevo già disputato dieci tappe tra Costarica ed El Salvador, quindi meglio non sforzare il fisico. Non le avevo fatte nemmeno quando stavo bene così tante tappe ravvicinate... Le difficoltà maggiori le sento ancora in salita, anche perché nel 2012 ho accumulato qualche chilo di troppo. Comunque anche su questo versante sto facendo netti progressi».

Il progetto è riprendere quest'anno per poi tornare forte come prima nel 2014.
«Speriamo! Comunque sì, l'idea è questa. In Sudamerica avevo giorni in cui mi sentivo benissimo ma ho avuto anche giorni in cui accusavo molto la stanchezza. Ho cercato di non sfruttare troppo il mio fisico, anche perché dopo un anno senza gare si ha sempre la paura di avere una ricaduta. Vediamo come andrà questa stagione. Se tutto filerà liscio il progetto è fare a tutta il 2014, preparandomi a puntino. Ora penso a riprendermi per quest'anno, alla fine tirerò le somme, valuteremo come mi sono ripresa e spero che nel 2014 potrò fare le cose per bene».

Hai detto di essere cresciuta mentalmente. Però quando non si gareggia come la si vive?
«È durissima. Vedi le altre che corrono e tu che sei a casa e nemmeno riesci ad allenarti. Quando ho iniziato a star bene ho sentito subito una grinta pazzesca. Si hanno tanti stimoli e tanta voglia di fare. Se uno supera scogli come questo, arrivare in cima ad una salita è nulla, questo è il succo».

Le stagioni 2010 e soprattutto 2011 stavano filando molto bene per te.
«Nel 2011 soprattutto andavo forte. Quell'anno ero partita bene, subito settima in Qatar, poi seconda a Fermo ed ancora seconda in Coppa, a Valladolid, dietro alla Vos che era uscita come una cannonata... Eppure ad aprile avevo già avuto degli alti e bassi, ed avevo dovuto rifiatare. Mi ero ripresa per il Giro Donne, subito miglior italiana ma già alla seconda tappa caduta e ritirata. Il Giro è andato così... Agli Europei di Offida le gambe non giravano come avrebbero dovuto e così non riuscii ad andare oltre un decimo posto. Io penso che già da quell'anno ci fosse qualcosa che non andava nel mio fisico. Ad aprile non stavo bene, poi mi ero ripresa, successivamente sono andata a Livigno, in ritiro con Guderzo, Tagliaferro e le altre. Da quando sono scesa è stato l'inizio della fine: a Plouay non andavo, all'Holland Ladies Tour mi sono ritirata perché non tenevo le ultime».

Rossella Callovi conquista la maglia bianca di miglior giovane al Giro del Trentino 2011 © Ambrogio RizziQuanti rimpianti per esserti dovuta fermare proprio allora?
«Sinceramente, adesso lo vedo più sotto una luce positiva, questo stop. Nel senso che so di poter arrivare a certi risultati se mi gestisco bene: allenamenti, recupero, alimentazione, ora con l'insulina è fondamentale per me. Ritorno alle corse perché so che se ho ottenuto determinati risultati non è stato un caso. Quindi voglio provare a tornare a quei livelli».

Per questo 2013 preferiresti una vittoria, magari nel tuo Trentino o al Giro, oppure una convocazione in Nazionale?
«Quest'anno per me sarebbe già tanto vincere e basta, ma è una cosa tutt'altro che semplice. Ho parecchio da lavorare, sarebbe bello ottenere un buon risultato al Trentino, oppure al Giro o ancora ai Campionati Italiani, anche se la concorrenza è molto agguerrita. Però credo che una convocazione al Mondiale, quest'anno che tra l'altro si correrà in casa nostra, non possa essere paragonta a nessuna vittoria».

Te la vuoi proprio riprendere, questa Nazionale.
«Piano. Dopo un anno di inattività credo di dover tornare a dimostrare con i risultati il mio valore prima di parlare di Nazionale. Ad ogni modo con Dino (Salvoldi, commissario tecnico, n.d.a.) sono sempre in contatto, vuole vedere come procede il mio recupero e come sono le mie sensazioni in queste prime gare».

E se tutto filasse liscio quest'anno a cosa punteresti per il 2014?
«Fare programmi sul 2014 non è semplice ma se tutto dovesse andar bene, senza intoppi, se insomma riuscissi a trovare un buon livello di forma mi piacerebbe puntare a vincere una prova di Coppa del Mondo, come il Trofeo Binda di Cittiglio. Poi vorrei far bene al Giro d'Italia, senza perder di vista i Mondiali, perché ricevere una convocazione in Nazionale è sempre un obiettivo importante».

Nel 2009 Rossella Callovi si laurea Campionessa del Mondo tra le Juniores a Mosca © mauriziofondriest.comDeduciamo che la tu corsa dei sogni sia...
«Il Mondiale, esatto! L'ho già vinto da Junior, nel 2009 a Mosca, ma sono convinta che ottenere quella maglia da Élite abbia tutto un altro valore e significato, che non può esser paragonato a quello delle Juniores».

A proposito di Juniores ed Élite, molte atlete soffrono il salto di categoria. Per te com'è stato?
«Io ho la mia idea a riguardo. Il cambiamento si sente, ma paradossalmente il mio primo anno da Élite è forse stato il migliore... D'accordo, i chilometri di corsa aumentano, passi da 80 a 120, ma è solo un primo ostacolo. La questione è confrontarsi con un mondo diverso rispetto a quello delle Juniores. Sia nella gestione delle gare, sia nel dover entrare in un'ottica di squadra. Un'Élite si deve arrangiare, insomma, mentre magari da Junior tutti ti corrono dietro. Ecco, da Élite non trovi più nulla di pronto. Tolti questi aspetti, il problema del passaggio è relativo. C'è un altro ritmo di corsa e nelle prime gare si soffre di più. Una volta però che ci hai fatto l'abitudine riesci ad espirmerti bene».

È però innegabile che molte ragazze forti da Junior spariscano una volta passate Élite.
«Certamente. Un problema del femminile è che manca la categoria di mezzo, le Under 23, che permetterebbe di fare un passo alla volta nella crescita anziché salire un gradone. Ciò che gioca moltissimo nel passaggio è però il fattore mentale, secondo me. Mi spiego: sei una professionista, ti dedichi al cento per cento a questo sport, tieni duro, ti alleni ogni giorno e via dicendo. C'è chi è disposto a fare questi sacrifici... Che poi, sacrifici fino ad un certo punto, perché se il ciclismo è la tua passione viene molto più facile sacrificarsi. Comunque dicevo, c'è chi riesce a fare sacrifici e chi vede tutto in un'ottica più individualista. Se si fanno dei bei risultati da Junior non vedo peché non li si possano ottenere da Élite. Le Élite sono un altro mondo, non c'è appagamento, non c'è nulla che ti venga facile. Se ci si impegna con costanza e si era forti da Junior, i risultati arriveranno anche da Élite. Chiaro che si devono fare dei progressi, perché se ci si allena con gli stessi chilometraggi di una Junior ma si vuol correre tra le Élite non ci siamo. A qualcuna, poi, manca la pazienza. Magari le prime gare non vanno bene e così ci si allena senza motivazione, senza volersi migliorare. Di solito finisce che si smette, in questi casi. Altre devono mettersi al servizio di atlete più esperte e non possono ottenere risultati personali, e non tutte sono disposte a lavorare per una capitana. Infine, c'è da dire che il fisico di ognuna di noi reagisce diversamente: c'è chi si adatta subito al mondo delle Élite, chi impiega un po' di più. Bisogna avere pazienza, aspettare che il fisico sia pronto, sennò si va a fare dell'altro. A 19 anni comunque non si ragiona così, tante arrivano e vorrebbero spaccare il mondo. Se invece ti mettono a tirare per una capitana più esperta e non si ha la pazienza di attendere il proprio momento, succede quello che abbiamo detto».

Rossella Callovi, ancora Junior, sul podio con Viviana Gatto e Rossella Gobbo alla Giornata Rosa di Nove 2009 © vecchiafontana.itDopo un bel 2010 ancora in Vecchia Fontana nel 2011 passi alla MCipollini-Giambenini.
«È stato un bell'anno, quello, anche se poi è finito come sappiamo. La MCipollini è una squadra dove mi sono trovata bene, ha una presidentessa importante, Alessia Piccolo, appassionatissima di ciclismo femminile. Ecco, per noi avere una figura come lei, che si trova a capo di un gruppo importante come Giordana, è davvero importante».

Però l'anno dopo passi alla Pasta Zara.
«Sì, alla MCipollini mi ero trovata bene ma quando ho ricevuto l'offerta di Maurizio Fabretto e di Diana Ziliute ho subito avuto l'impressione che da una come Diana avrei potuto imparare moltissimo. Mi ha illustrato il progetto e mi si sono illuminati gli occhi. Era un treno che non potevo lasciarmi sfuggire. Purtroppo quando Diana era ds non ho corso mentre ora che sono rientrata lei è impegnatissima con il settore sportivo di Diadora, di cui è responsabile. Eppure nel mio periodo nero mi è stata vicinissima soprattutto a livello psicologico. Ha cercato sempre di farmi reagire. Inoltre Diana è una che ha corso, che conosce le esigenze di un'atleta, i suoi meccanismi mentali. Non sembra ma una figura così è molto importante per noi ragazze».

Sei crescuta con un modello, un punto di riferimento?
«Sicuramente Maurizio Fondriest, praticamente un mio compaesano. Non mi fa mai mancare i suoi consigli, mi conosce da quando ero piccolissima. Ho iniziato a correre a 6 anni, categoria G1, nell'Anaune Cristoforetti Fondriest, che è proprio la sua squadra. Quindi è il mio punto di riferimento ed avere consigli da lui è fondamentale. Da Esordiente sono passata con l'Adriana di Bolzano dove c'era Renato Valle, altra figura importantissima per me; mi ha seguita come preparatore anche da Junior, nella Vecchia Fontana, ed è restato con me nel primo anno da Élite. Purtroppo nel 2011, quando le cose hanno iniziato a non andare più nel verso giusto, è mancato il suo supporto nei miei confronti, forse proprio nel momento in cui ne avrei avuto più bisogno; così da allora le nostre strade hanno preso vie diverse. Per me anche Renato è stato comunque una figura fondamentale nella crescita sportiva ed umana. Poi ci sono atlete del gruppo che ammiro; non una in particolare ma cerco di prendere i migliori spunti da diverse ragazze. In Italia abbiamo grandi cicliste come Giorgia Bronzini, Tatiana Guderzo, Noemi Cantele dalle quali c'è solamente da imparare. Specie quando si corre un Mondiale, la loro esperienza diventa fondamentale».

Rossella Callovi insieme a Giada Borgato, Campionessa Italiana in carica e nuova compagna di squadra alla Pasta Zara-Cogeas-Manhattan © FacebookUn po' ti abbiamo conosciuta ma che tipo di corridore pensi di essere?
«Come detto, dopo lo stop del 2012 mi sto un po' riscoprendo. Comunque sono un'atleta che tiene sulle salite di media lunghezza e nelle volate, specie se ristrette, so difendermi. Se poi la strada tira leggermente all'insù, non troppo, ma un pochino, ecco, quelli sono gli arrivi adatti a me».

Sei stata una delle 66 atlete a portare a termine il Trofeo Binda quest'anno.
«Sì, e che giornata. Ero talmente fradicia ed infreddolita che non riuscivo a levarmi i guanti in hotel, mi hanno dovuta aiutare... A parte il freddo e la pioggia, la gara di Cittiglio è stata importante per me per testarmi con le più forti al mondo. Sto migliorando, lo sento. La base c'è, l'ho costruita in Sudamerica. Non ho ancora quella brillantezza che mi permetterebbe di scattare in salita e provare a tenere il passo delle migliori ma ci sto arrivando. In questi giorni sto svolgendo lavori di qualità: in salita, al medio con variazioni di ritmo ed in pianura, sulla frequenza della pedalata. Di solito, quando stavo bene, dopo i lavori di fondo, svolti i lavori di qualità mi sentivo decisamente più brillante. Vedremo quest'anno».

Hai corso anche su pista. Intendi continuare nei prossimi anni?
«Magari non con la frequenza di qualche anno fa ma sicuramente non la voglio accantonare. Oltretutto è una disciplina che mi piace e quando bisogna svolgere un certo tipo di allenamento è più utile rispetto alla strada. Sicuramente sarò ai Campionati Italiani: Inseguimento Individuale, Corsa a Punti e può darsi Inseguimento a Squadre, con l'Esercito: penso che correrò con Valentina Scandolara e Vania Rossi. Ad ogni modo non accantonerò la pista».

Esercito in cui sei entrata nel 2011.
«E che voglio ringraziare, proprio come la mia squadra di club. Già mi vedevo a lavorare fuori dal ciclismo...»

Rossella cerca la giusta concentrazione la sera prima del Trofeo Binda di Cittiglio, che porterà a termine © teampastazara.comMagari in prima linea...
«No, le donne non possono andare in prima linea, però avrebbero potuto mandarmi in un ufficio, invece hanno avuto la pazienza di aspettare che mi rimettessi e che tornassi a correre, per questo non posso che ringraziarli».

Abbiamo parlato di te in bici, ma quando non pedali chi sei?
«Una ragazza come tante altre, con i miei amici qui a Termon, un gruppo di sette ragazzi, praticamente una piccola famiglia. Mi piace divertirmi quando non ci sono gare. Amo andare in discoteca e, come ogni donna, fare shopping: vestiti, scarpe, e via dicendo. Devo dire davvero grazie ai miei amici, se sono uscita dall'anno scorso lo devo anche a loro, che hanno provato con successo a distrarmi quando i medici non capivano che cosa avessi ed io pensavo di dover smettere».

Che tipo di musica ascolti?
«Di tutto, non ho un genere né un cantante preferito. Posso passare dalla musica da discoteca al rock, fino ad arrivare a sentire i cd dei Nomadi, per dire... La musica mi aiuta molto a concentrarmi prima di una gara. Per esempio prima di una crono, quando tanti attorno a te ridono e scherzano, io ho bisogno di trovare il mio spazio, la mia concentrazione. E così ascolto qualsiasi cosa, ma preferibilmente dell'house pesante, mi aiuta tantissimo».

E se non avessi fatto la ciclista?
«Avrei fatto l'infermiera. Infatti sono iscritta all'Università...».

Medicina, quindi.
«No, Scienze politiche. Entrare a Medicina mi sarebbe piaciuto ma purtroppo non si conciliava con il ciclismo, così ho ripiegato su Scienze politiche. Ho concluso il primo anno, ora sono in un periodo di stallo. Non tutte le materie mi piacciono, ma penso sia normale».

Rossella Callovi insieme ad Elena Cecchini ai tempi della Vecchia Fontana. Le rivedremo insieme? © vecchiafontana.itLe tue compagne di squadra alla Pasta Zara-Cogeas-Manhattan, invece, ti piacciono tutte?
«Certo, vado con tutte molto d'accordo. Pare una banalità ma è così grazie al mese che abbiamo trascorso insieme a El Salvador. È stato come un lungo ritiro che è servito a conoscerci meglio. Ho legato molto con Giada Borgato, naturalmente, l'unica italiana oltre a me, ma sono unita anche con le altre».

E poi ci sono i nuovi acquisti, che proveranno a prendere il tuo posto.
«Eh già, devo stare attenta... C'è Addy (Addyson Albershardt, classe '94 statunitense, n.d.a.) che è meticolosa, precisa e fortissima. È molto attenta in tutto quello che fa, ha voglia di imparare ed in questo soprattutto Amber Neben le sarà di grande aiuto. Si sta impegnando, per esempio, con l'italiano. Un giorno è venuta in camera mia con il disegno di una bici e mi ha chiesto di aiutarla ad imparare i nomi italiani dei singoli componenti. Poi c'è Veronique Fortin, una dottoressa canadese, fa l'anestesista. La Vuelta El Salvador è stata una sorta di vacanza per lei. E che dire di Martina Ruzickova, una matta, ma in senso buono. In El Salvador, sarà stato per il caldo, non faceva che ripetermi "Rossella...altro mondo!". Senza dimenticare tutte le altre. Insomma, è un bel gruppo e non c'è una ragazza con cui vada più d'accordo. Siamo tutte molto unite».

Siete parse molto unite anche come cicliste italiane nell'incontro con Di Rocco a Cittiglio. Secondo te cosa serve principalmente al ciclismo femminile per crescere?
«Sicuramente visibilità. Affiancare manifestazioni femminili a corse maschili sarebbe auspicabile, all'estero lo stanno già facendo. Inoltre ogni squadra dovrebbe avere un settore femminile, un po' come la Vini Fantini, che ha la MCipollini. All'estero però troviamo molti esempi, ed importanti; basti solo fare i nomi di Orica e Rabobank. Qui da noi c'è ancora molto da fare».

Dove ti rivedremo in gara nell'immediato?
«Riprenderò il 14 aprile con il Trofeo Vannucci e poi il 17 correrò la Freccia Vallone, in Belgio».

La Freccia non ha bisogno di presentazioni, invece il Vannucci l'hai già vinto da Junior, potresti anche...
«Potrei anche piantarmi... No, scherzi a parte, avendo ricominciato dopo un anno ferma devo un po' valutare. Chiaro che ho anch'io i miei obiettivi, come detto, ed a giugno, tra Trentino e Campionati Italiani, spero davvero di sbloccarmi. E prenderò tutto ciò che otterrò di buono».

Chiudendo con un ricordo di quand'eri Junior, ti piacerebbe correre da Élite con Elena Cecchini, la "gemell" alla Vecchia Fontana?
«Altroché, un sacco, e credo che piacerebbe anche a lei. Io sto benissimo qui dove sono ma chissà che un giorno le strade mie e di Elena non si incrocino nuovamente. La mia esperienza dell'anno scorso insegna che nella vita non si può mai sapere cosa ti accadrà. Da parte mia lo spero davvero».

Francesco Sulas

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