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Giochi Olimpici 2012: Vino, la fantasia di una carriera - Per Alexandre un oro che chiude 14 anni ad altissimo livello

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Un commosso Alexandre Vinokourov sul gradino più alto del podio di Londra 2012 © Bettiniphoto

 

Ha vinto come solo lui e pochi altri al mondo avrebbero saputo fare, con un'imboscata nel finale ed uno scatto ai 300 metri dall'arrivo, allorché solo Rigoberto Urán poteva contendergli la medaglia d'oro. Per Alexandre Vinokourov, detto Vino, da 14 anni nel ciclismo professionistico, da quasi 39 anni (li compirà il 16 settembre prossimo) al mondo, chiusura migliore con l'agonismo non si sarebbe potuta immaginare. L'oro olimpico conquistato come ci ha abituati lui, vedendolo vincere con un paio di scatti secchi che non lasciano spazio a repliche.

La carriera del gigante kazako, più volte caduto ma sempre rialzatosi, riassunta in meno di dieci chilometri. Apre le braccia, lo sfondo di Buckingham Palace, l'ideale tappeto rosso dell'asfalto del Mall, Urán e tutti gli altri alle sue spalle. E adesso può anche smettere di correre, dopo una vittoria cercata, voluta, sofferta, infine ottenuta. Lo scatto a seguire Urán ai -10 km, l'accordo dei due che ancora alla periferia di Londra vantano una quindicina di secondi sul primo gruppo inseguitore (la Gran Bretagna stellare di Wiggins e Cavendish s'è squagliata ed è a più di un minuto), il passaggio davanti alla residenza reale e dopo l'ultima curva un'occhiata a Urán, uno scatto piazzato bene ed ecco l'onoreficenza che più conta per Vino.

Pensare che il 17 luglio scorso il kazako aveva annunciato di volersi ritirare. Pare storia di anni fa, sono solo 377 giorni da oggi. Il 10 luglio, nella nona tappa del Tour de France, la Issoire-Saint-Flour, Vino cade. Non è una caduta come tante visto che compagni e massaggiatori lo ripescano da un burrone e la diagnosi è lampante: il femore s'è rotto. A 37 anni è dura riprendere l'attività. Infatti sul momento Vino decide di ritirarsi ed il 17 luglio dà l'annuncio ufficiale. La decisione di pancia viene presto soppiantata dalla ragione: con una stagione dinanzi ed un'Olimpiade a fine luglio Vino decide di prolungare la sua carriera, andare a caccia dell'oro, quindi entrare nel management dell'Astana.

In primo luogo continua a correre per portare quei punti alla sua squadra, l'Astana da lui voluta nel 2006, che altrimenti rischierebbe l'uscita dal World Tour. In secondo luogo per allenarsi, correre e disputare un buon Tour de France (senza pretese di classifica naturalmente) in ottica olimpica. È dopo Londra che Vino vuol appendere la bici al chiodo e, conoscendolo, non vorrà uscire in punta di piedi. Infatti lo conosciamo bene, lo ammiriamo dal 1998, era alla Casino (verranno poi Telekom, T-Mobile ed appunto Astana), e sappiamo che il leone kazako, seppur con i suoi anni sul groppone, avrebbe lasciato la zampata.

Già durante il Tour ci aveva strappato più d'un sorriso quando l'avevamo visto in fuga nelle fasi finali della Grande Boucle. A Le Cap d'Agde aveva provato ad anticipare la volata con Albasini e venne recuperato dal gruppo soltanto negli ultimi metri di gara. A Bagnères-de-Luchon restò in fuga tutta la giornata, in una frazione che presentava Aubisque, Tourmalet, Aspin e Peyresourde. L'avevamo rivisti, quegli occhi da tigre, ed anche se non avremmo scommesso troppo su una vittoria all'Olimpiade certo non ci si poteva aspettare un'uscita anonima da parte di Vino. Il canovaccio che ci si era prefigurato nella testa una settimana fa s'è realizzato oggi, con qualche modifica ma con il botto proveniente da Londra e diretto al Kazakistan, di lì in tutto il Mondo.

E dire che Vino, nativo di Petropavlovsk e pedalatore dall'età di 11 anni (ha corso anche nel ciclocross), il brivido a cinque cerchi l'aveva già provato nel 2000, a Sidney. Vino, 27enne, si trova in fuga con due tedeschi, Jan Ullrich ed Andreas Klöden; saranno rispettivamente oro e bronzo ma Vino, che come loro milita nella Telekom, collabora affinché la fuga vada in porto. L'argento olimpico lo proietta nella storia, è una leggenda dello sport nel suo Paese, ma ancora non gli basta.

La vittoria dell'Amstel Gold Race nel 2003, il sesto posto alle spalle di Bettini alle Olimpiadi di Atene 2004, la Liegi nel 2005 (la rivincerà nel 2010), la vittoria al Tour, sui Campi Elisi, sempre del 2005, anticipando di forza ed ancora di fantasia i velocisti, uscendo da ogni schema. Ancora, la Vuelta a España dominata nel 2006, le Parigi-Nizza.

Insomma, Vino non è un corridore che si fossilizza su una corsa all'anno ma sa vincere gare a tappe ed in linea, va in salita, su terreni vallonati ed a cronometro. Uno completo, che oltre alle notevoli capacità fisiche ci mette grinta, coraggio, passione e tutta quella fantasia che spesso spiazza gli avversari. Ha spiazzato anche oggi, in un'Olimpiade a cui, stando a quanto deciso un anno fa, non avrebbe dovuto prender parte.

Ha stupito tutti quelli che non lo conoscevano ancora, ha fatto tornare il sorriso a chi il ciclismo lo ama, le stoccate le vuole, a chi rifiuta che sia già deciso che una corsa si debba concludere in volata. Lo scatto sull'ultima Box Hill, con il fiuto del felino che sa di esser vicino alla preda; le tirate nel gruppo degli svizzeri e degli spagnoli, con Valverde a sognare e Cancellara ad infrangere i suoi sogni contro una transenna maledetta. Vino, imperturbabile, osservava e si preparava ad andar dietro al primo che sarebbe scattato alle porte di Londra. L'ha fatto Urán, vittima inconsapevole della fantasia, dell'istinto di Vinokourov.

Adesso Vino piange su quel podio, a dimostrare che sotto la corazza del duro c'è un uomo tenero e sensibile. Mercoledì correrà la cronometro, lì davvero senza troppe pretese, poi monterà sull'ammiraglia Astana, a manovrare come tanti bei burattini i suoi corridori.

Ci ha fatto divertire per 14 anni sui pedali, siamo pronti ad esaltarci per le gesta dei suoi in futuro. La fantasia al potere, gli scatti più o meno a casaccio a cui ci ha abituati, infine l'oro al collo del vecchio leone kazako a coronare una carriera alternativa, entusiasmante, imprevedibile, anarchica, talvolta discussa ed una condotta di gara fuori dagli schemi prestabiliti, volta a sorprendere. Tutto questo è quell'Alexandre Vinokourov che all'arrivo stringe i pugni, esulta, e dopo piange come il bambino che ad 11 anni iniziò a pedalare in quel di Petropavlovsk.

Francesco Sulas

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