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Giochi Olimpici 2012: Bettini, cinque cerchi alla testa - Un grande Nibali, una squadra sbagliata

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Vincenzo Nibali, tra i più impegnati ad animare la prova olimpica di Londra 2012 © Bettiniphoto

Se non vogliamo credere alla chimera di una medaglia nella prova a cronometro di mercoledì, nella quale Marco Pinotti potrà ambire a una top ten ma non ad un podio, possiamo già tracciare un primo bilancio della spedizione azzurra a Londra.

L'Italia, nel complesso, non ha disputato una cattiva gara, oggi tra Londra e il Box Hill. Ha piazzato immediatamente un uomo nella prima fuga, proprio Pinotti; con Nibali ha alzato il livello dello scontro, iniziando a dare cattivi pensieri ai britannici che forse erano convinti di poter gestire a piacimento la prova su strada. E con Paolini ha completato il contingente azzurro (ma in maglia bianca, molto bella) nel gruppo di testa, fino al piazzamento finale del corridore della Katusha, che ha chiuso al nono posto, migliore dei nostri e unico ad essere rimasto nel primo gruppo inseguitore.

Le dolenti note: Viviani è stato invisibile, se non per una caduta nei primi chilometri, caduta che non gli ha lasciato danni, ma che avrà fatto tremare Marco Villa, ct della pista, che ha in Elia l'unico uomo da schierare la prossima settimana sull'anello londinese. Al traguardo è stato 38esimo, appena 12esimo della volata dei delusi. Modolo, invece, si è fatto vedere principalmente nel tentativo di rientrare sui migliori all'ultimo giro del circuito, in cima alla rampa di Box Hill. Ma Sacha non è riuscito a imitare i Cancellara e i Vinokourov, e la cosa non sorprende certo. Fosse rimasto a ruota di quelli che si riportavano sul gruppo Nibali, avrebbe dato una svolta decisa alla gara azzurra, andando a giocarsi il bronzo con Kristoff e Phinney (a parità di tutte le altre evenienze).

Ma la distanza tra quel che poteva essere e quello che è stato non è così risicata come potrebbe sembrare da questa sommaria descrizione. Al contrario, è molto più marcata di quel che vorrà far credere il ct Bettini. Il quale si è dimostrato buon capitano in corsa (giovandosi però della prova maiuscola di un Nibali che conferma quanto di buono fatto al Tour e nelle corse in linea di questa stagione, riaffermandosi nel ruolo di uno dei migliori ciclisti al mondo); ma che, alla luce di quello che ha detto la gara di Londra, dà l'impressione di aver sbagliato qualche scelta.

Il punto è notorio, se ne dibatte da settimane, e l'andamento della prova olimpica conferma le previsioni dei più pessimisti. Il nodo principale è l'assenza, nel quintetto azzurro, di almeno un vincente. Laddove per vincente intendiamo qualcuno che, in stagione, abbia dimostrato di avere il colpo del ko, ad alto livello ovviamente, su percorsi almeno simili a quello inglese.

Inutile girarci intorno, i nomi sono quello di Moreno Moser e Andrea Guardini o Roberto Ferrari. Ovvero il più convincente uomo da classiche (insieme a Nibali, che però non ne ha vinte), in grado di mettere in campo una sparata notevolissima, e oltre a ciò anche veloce in volata; e i velocisti che al Giro hanno fatto piangere Cavendish, ovvero colui che partiva oggi come favorito assoluto. Nella fattispecie, Guardini dava più garanzie allo sprint, Ferrari ne dava di più sulla tenuta.

In ogni caso, Bettini ha preferito non convocare nessuno dei tre, optando per uno schieramento onesto ma non benissimo assortito. Modolo e Viviani, non lo dimentichiamo, vengono dalla negativa esperienza azzurra di Copenhagen; e non è che quest'anno ci abbiano fatto lustrare gli occhi, tutt'altro. In più, Viviani lo si sarebbe dovuto lasciare concentrato sull'Omnium, prova molto difficile in cui tra pochi giorni sarà chiamato a rappresentare l'Italia in pista.

Scegliere di organizzare la squadra con due velocisti significa quantomeno non aver letto nel migliore dei modi le caratteristiche del percorso, non aver valutato che la volata generale non sarebbe stata facilissima da imporre. Ma anche quando si fosse giunti allo sprint, che garanzie davano, oggi, Modolo e Viviani, di far meglio di Cavendish, Greipel, Goss, Farrar, Hutarovich, Démare, Boonen, Ventoso, Sagan, Bozic, Boasson Hagen...? Pochine, lo sapevamo sin dall'inizio.

Questione Moser: forse in Italia solo Bettini non si era reso conto del potenziale di Moreno già prima del Giro di Polonia. Grave, come cosa, per il commissario tecnico. L'insipida, per quanto volenterosa, prestazione di Pinotti, in fuga sì dopo 20 km, ma appassito e staccato troppo presto, ci fa avere qualche rimpianto. Perché un Moser supportato da Paolini e Nibali nella seconda metà di gara poteva rappresentare tutt'altre possibilità per l'Italia.

Non volendo arrivare al corridore della Liquigas, possiamo ricordare che in panchina languiva Trentin, che è di natura più attaccante di Viviani e Modolo ma anche di Pinotti, ha un bello spunto veloce e, visto che è ancora poco conosciuto a livello internazionale, poteva anche contare sul fattore sorpresa.

Tanti se, è vero; ma pure tanti ma. Perché, chiaramente, si sente dire "l'Italia ha ottenuto il massimo che poteva, con quegli uomini", e questa affermazione non si discosta dalla realtà; ma chi ha deciso che dovessero essere proprio quelli, gli uomini in gara?

Non abbiamo scritto, in questa dissertazione, degli assurdi veti della Federazione di Di Rocco, che ha di fatto obbligato Bettini a non convocare l'uomo che da un anno sapeva che sarebbe stato il capitano a Londra, ovvero Pippo Pozzato. Non avrebbe vinto, d'accordo; ma pochi mesi fa il vicentino si piazzava al secondo posto al Giro delle Fiandre; e oggi, tra Vinokourov e Urán, non è per nulla detto che non ci potesse essere posto per un Pozzato in giornata di vena. (Non parliamo del veto su Petacchi, in quanto AleJet si è infortunato al Tour e non avrebbe comunque potuto essere della partita).

Speriamo che, in vista dei Mondiali di Valkenburg, il ct non si faccia demoralizzare dall'emicrania che gli rimarrà da queste Olimpiadi, e anzi si imponga in Federazione e contro assurde disposizioni provenienti dal Foro Italico (vogliamo parlare di un Di Luca nella prova iridata?).

Quanto a oggi, in fondo un nono posto ai Giochi rappresenta - ancora per il momento - più o meno quel che conta nel mondo il ciclismo professionistico italiano, che tra un picco (targato Nibali, piazzato in tutte le corse importanti che ha disputato prima di oggi) e una voragine, si dibatte lì a mezz'aria tra le stalle e le stelle. Si attende che nuovi talenti esplodano compiutamente (il già citato Moser), ma per il momento si naviga a vista in attesa che passi 'a nuttata. Programmazione? Difficile vederne. Ma non c'è problema, del resto il nostro presidente Di Rocco ha già vinto la sua Olimpiade, sfilando in pole position nella cerimonia inaugurale, esibendo il suo sorriso in mondovisione, ottenendo una sospirata fotografia da esporre nella bacheca dei successi personali. I quali, purtroppo, di rado corrispondono ai successi del ciclismo italiano.

Marco Grassi

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