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L'intervista: «Bresciani sbaglia, da me solo aiuto» - Gianni Sommariva, vicepresidente FCI, parla di Brixia Tour e non solo

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Gianni Sommariva, vicepresidente della Federazione Ciclistica Italiana © BettiniphotoChiamato in causa nei giorni scorsi da Giuseppe Bresciani, organizzatore del Brixia Tour che senza troppi giri di parole l'ha accusato di essere tra i responsabili del declino della gara a tappe bresciana (che per quest'anno salterà), Gianni Sommariva, vicepresidente della Federciclismo, non l'ha presa per niente bene, e ce lo dice con franchezza.

«Se vi diceva che non ho una gamba che facevate, lo scrivevate? Non dovevate prima verificare che fosse vero?».

La chiamiamo appunto per avere la sua versione sulle cose dette da Bresciani.
«Se uno ammette che non aveva i soldi per pagare le spese previste dalla FCI, e dichiara che gli sponsor l'hanno abbandonato, per me basta e avanza come spiegazione per il fatto che la corsa non si fa. Io non ho mai boicottato Bresciani né il Brixia, semmai sono stato proprio io a far sì che l'edizione 2011 venisse disputata: non è stato Di Rocco, sono stato io a inventare l'escamotage per far partire il Brixia 2011, dando all'UCI le garanzie sulla sicurezza che venivano richieste. E a Bresciani l'ho anche detto: "Non inimicarti tutti, sennò l'anno prossimo che fai?"; ora voglio vedere chi lo aiuterà in futuro».

Ma non è vero che l'anno scorso telefonò all'assessore di Brescia affermando che la corsa non si sarebbe fatta?
«Assolutamente no. Ci ho pure parlato, con quell'assessore, e si è meravigliato: "No, lei non mi ha detto niente di tutto ciò"».

È interessato alle date del Brixia per spostare la sua Settimana Lombarda in luglio?
«La Settimana Lombarda la organizzo da 42 anni, e non ho alcun bisogno di spostarla in luglio. Quella data - e quella corsa, il Brixia - tra l'altro le ho inventate io, da presidente del Comitato Regionale, con Angelo Francini, che può confermarlo. Metà della gente che collabora alla sua realizzazione è "gente mia", e son contento di questo fatto, perché sono sempre contento se si fa ciclismo. E lo sono perché questa per me è una passione, una cosa di cui mi occupo con amore, da sempre, da quando organizzavo gare in tutta Italia, anche al sud... la Corsa del Sole, la Settimana Pugliese, il Giro di Sicilia... Ho dato tutto per il ciclismo, per cui se uno mi dice che ho remato contro, vado a tirargli le orecchie».

Ci aspettavamo che qualche tiratina d'orecchi la riservasse anche al presidente Renato Di Rocco, al consiglio federale di Trento qualche giorno fa, invece non è successo.
«Non credo che questo sia il momento giusto per parlare, ci sono le Olimpiadi dietro l'angolo. Dopo i Mondiali, vediamo un po' cosa si può dire e fare. Io dal 1977 ho dato tutto alla FCI, ma mi rendo conto che forse non serve più di tanto. E in consiglio non parlo più anche per non sentirmi dire che remo contro».

Su quali argomenti sarebbe accusato di remare contro?
«Ad esempio su alcuni regolamenti calati dall'alto... la scelta di bloccare l'attività su strada la seconda domenica del mese: per le regioni meridionali è una proposta che va anche bene, perché ci sono poche gare e non è un grosso problema spostarne alcune di una settimana. In regioni come Lombardia e Veneto, invece, questa decisione ha provocato il caos. Oppure la regola che prevede non si diano più premi ai ragazzini: c'è stata una rivolta della base contro questa norma, io l'avevo ben detto che andava a finire così, ma Di Rocco mi convinse: "Stiamo uniti, vediamo come reagisce la base e poi al limite faremo le nostre valutazioni". Ma ripeto, di questi argomenti parlerò al momento giusto e nelle sedi opportune».

È vero che in seno alla Federciclismo di Di Rocco c'è poca democrazia? Non è anche per questo motivo che si sono dimesse ben quattro commissioni - tra cui quella per il settore tecnico - negli ultimi tempi?
«C'è un po' di maretta perché quello che si fa in commissione poi magari viene del tutto ignorato. Non dico che non ci sia democrazia, ma che debba essere data maggiore fiducia ad altri, questo sì. E non vorrei più sentire "ho dovuto mettere quella persona in quel ruolo per dare un premio politico", ecco, se mettiamo in posti cardine delle persone che devono essere premiate politicamente, questo è un problema».

La Federciclismo negli ultimi tempi ne sta avendo diversi, di problemi. Il caso Pozzato, ad esempio: avrebbe potuto essere gestito peggio?
«Di quella vicenda parla e risponde il presidente, non il Consiglio Federale. Certo, la gestione del doping è soggetta a forzature, qualcuno dovrebbe avere il coraggio di interrompere questa spirale. Siamo i più puliti perché siamo quelli che fanno più controlli, eppure continua a sembrare a tutti che il ciclismo sia lo sport sporco. Non lo so, forse siamo più deboli di altre federazioni per il nostro essere più fedeli al CONI».

Vogliamo parlare del caso Bianco?
«No, non voglio parlarne, anche se ho apertamente dichiarato il mio disaccordo ad un'iniziativa pesante come il commissariamento di un Comitato Regionale: se anche le motivazioni fossero state giuste, non prendi una simile misura a 6 mesi dalle elezioni federali. Io a Bianco dissi "stai calmo, tra un po' ti ripresenti come presidente del CR Puglia", ma lui ha voluto seguire altre strade, col ricorso al TAR. Ma quella in cui avvengono cose del genere, in cui viene commissariato un Comitato Regionale, non è la mia FCI: io discuto con tutti, sempre lealmente».

Quali documentazioni ha presentato Di Rocco quando ha sottoposto al Consiglio Federale la questione Bianco, in aprile?
«Nessuna».

Nessuna? Nessun documento?
«Ci siamo fidati della sua parola, ci disse che c'erano gravi responsabilità amministrative nel CR Puglia».

Ma un'iniziativa così grave - come lei stesso la definisce - può essere presa senza verificare i documenti? A cosa serve allora un Consiglio Federale se non controlla nemmeno le "carte" relative a un commissariamento?
«È vero, era nostro compito controllare, avremmo dovuto vedere le carte. Abbiamo sbagliato».

Marco Grassi

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