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GiroBio 2012: Un bel progetto su cui lavorare - Bilancio sulla corsa di Brocci: cosa va e cosa no

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Un eclettico Giancarlo Brocci - Foto da Girobio.com

dal nostro inviato

Che cos'ha di diverso il GiroBio da tutte le altre corse a tappe del calendario internazionale? Nelle intenzioni del patron Giancarlo Brocci, l'eroico per antonomasia, il GiroBio dovrebbe rappresentare un ritorno al passato, inteso come genuinità, e bisogna ammettere che già il nome ne chiarisce benissimo le intenzioni. Secondo i critici il GiroBio è rimasta l'ultima corsa a tappe per Under 27, una categoria inesistente per l'Unione Ciclistica Internazionale ma che rimane viva per le contorte logiche federali.

Ma cosa succede veramente nei 10 giorni di questa corsa che ormai si ripropone ininterrottamente da quattro anni? La prima cosa che balza all'occhio è la presenza di un gruppo di lavoro che opera a stretto contatto con gli organizzatori e con gli atleti, i tutor. Il loro lavoro è coordinato dal dottor Forzini, uno psicologo che sta costruendo la sua tesi di dottorato sul modello sperimentale del GiroBio, con la periodica somministrazione di test agli atleti (qual era il tuo compito oggi? quanto ti ritieni soddisfatto della tua prova da 1 a 11? qual è un aggettivo per descrivere il tuo stato d'animo? Queste le domande che ricorrevano al termine di ogni tappa) da mettere poi in relazione con le loro prestazioni effettive e i livelli di tre ormoni - in particolare il cortisolo, l'ormone dello stress - che sono stati monitorati all'inizio, nel mezzo e alla fine dei dieci giorni di corsa. Lodevolissima l'intenzione di una corsa-laboratorio che si rende protagonista di studi universitari, ma spesso sono stati gli stessi tutor le vittime principali dello stress dovuto ad orari di lavoro difficili da sopportare e che quindi non sono stati messi in condizione di operare nella massima efficienza. Insomma, ottima idea ma da organizzare meglio la prossima volta. Bella anche l'idea della dietista che interagisce con i ristoranti e gli atleti per una corretta alimentazione ma alla fine della fiera ci è parso che i ragazzi mangiassero quanto e quello che pareva loro, come avrebbero fatto in qualsiasi altra corsa.

Altra particolarità: gli atleti, tranne poche eccezioni, hanno abitato tutti assieme in dei campeggi, ritrovandosi a cena in ampie tavolate a ridere e scherzare sugli episodi di corsa, improvvisando all'occasione un momento goliardico o un karaoke e contribuendo a far respirare un clima veramente piacevole. Ma col favore delle tenebre qualche personaggio vicino alla squadra (massaggiatori o direttamente direttori sportivi, anche se a questi ultimi era categoricamente vietato entrare dopo una certa ora) sono stati visti aggirarsi tra i bungalow dei propri atleti. Per fare cosa? Probabilmente per istruirli sulla tattica di corsa del giorno successivo... Anzi, qualche tecnico (di qualche atleta di alta classifica), vista la distanza tra Valeggio (dove pernottavano gli atleti) e Folgaria (dove erano situati gli alberghi loro assegnati alla vigilia del Gavia) ha pensato bene di prenotare una camera proprio lì, in quel bel campeggio in riva al Mincio... Ora, è difficile pretendere che il buon Brocci si metta a fare la ronda notturna per evitare questi episodi ma, che si sappia, per questo aspetto il GiroBio non è poi troppo diverso da qualsiasi altra corsa. 

Altro aspetto: i trasferimenti. Da Google Maps: Campoforogna-Perugia 2h20' dopo la quarta tappa, Figline Valdarno-Monticelli Terme ancora 2h20' prima della settima, Ponte di Legno-Asiago 2h30' prima dell'ultima fatica. Questi i più impegnativi che hanno suscitato parecchi mugugni da parte degli atleti e del personale costretto agli straordinari. Anche qui il GiroBio ha cercato di distinguersi secondo la sua filosofia. Alcuni spostamenti sono stati organizzati in carovana, tutti i mezzi delle squadre con a bordo gli atleti sono stati incolonnati e, scortati dalla polizia, si sono diretti verso la destinazione di turno. In qualche occasione, invece, sono stati predisposti dei pullman per il trasporto atleti, mentre il personale ha potuto spostarsi liberamente. In entrambi i casi non sono mancati i furbetti: atleti di 2-3 squadre di alto livello erano da tempo a Monte Urano quando è arrivata la carovana, così come un atleta di alta classifica ha costretto il pullman Sora-Ovindoli ad aspettarlo invano per diverso tempo dopo l'arrivo della terza tappa. Sanzioni per i contravventori? Nonostante le minacce fatte allegare ai comunicati ufficiali, nessuna. 

Ad essere letteralmente cacciato dalla corsa è stato invece Devid Tintori (Idea Shoes), colpevole di essersi lamentato (con toni molto poco urbani, va detto) della scarna colazione fornita agli atleti da consumare in viaggio nel trasferimento verso Monticelli Terme. La sua opinione era peraltro largamente condivisa dal gruppo che però nell'occasione ha preferito i mugugni agli sbraiti plateali. 

Andiamo sui percorsi e qui c'è davvero poco spazio per le critiche. Paesaggi splendidi, dalle colline marchigiane all'Appennino abruzzese e laziale, dai saliscendi toscani al fantastico arrivo sul Passo di Gavia. C'erano le occasioni per i velocisti, per i cacciatori di tappe, per gli scalatori, forse troppo breve la cronometro (poco più di 11 km, troppo pochi per compensare Terminillo e Gavia). Tutto sommato un Giro ben disegnato, che strizzava l'occhio agli scalatori puri, con tanti colpi di scena, parecchie vittorie d'autore e con un punto fermo: lo sterrato. Nella tappa di Gaiole Dombrowski ha seriamente rischiato di compromettere tutto il Giro per una foratura e tra i big anche Bongiorno e Barbin sono incappati nello stesso inconveniente. La domanda è sempre la solita: in una corsa a tappe è giusto affidare al caso (leggasi: foratura su un terreno non proprio adatto alle bici da corsa) le sorti della classifica generale? Le opinioni sono ampiamente discordi e il pubblico degli appassionati è diviso anche dopo illustri precedenti (basta ricordare Montalcino 2010 al Giro dei grandi o la tappa di Arenberg al Tour dello stesso anno). Chi ha pagato il fio di questa tappa, affrontata peraltro a spron battuto, sono stati i 31 atleti (altri 6 non hanno concluso la prova) che per pochissimi secondi sono finiti fuori tempo massimo. A nulla sono servite le proteste, specie di quei ragazzi (conosciamo i casi di Bocchiola e Marcelli, ma ce ne saranno stati certamente anche altri) che si sono trovati in quel gruppetto per mera sfortuna (una foratura nel momento sbagliato e l'assistenza del cambio ruote che ha tardato ad arrivare): i giudici sono stati inflessibili, tutti a casa e squadre decimate. Un tratto di sterrato ampiamente evitabile ma aggiunto all'ultimo momento al tracciato della tappa successiva è stato quello di Lajatico, nel passaggio accanto al Teatro del Silenzio di Bocelli. Sicuramente ci sarà qualche centinaio di euro dietro alla decisione della ASD Giro Bio e in momenti come questi guai a sputarci sopra, ma il fondo stradale di quei 3 km affrontati dai ciclisti era veramente improponibile, con tanti pericolosi sassi affioranti e ghiaia che ha costretto i meccanici a un lavoro supplementare certamente evitabile.

Tornando in tema di decisioni opinabili della giuria ha fatto specie anche la neutralizzazione del distacco della fuga che aveva sbagliato strada nella tappa di Lonato. In questi casi i precedenti parlano chiaro: chi sbaglia strada, per qualunque motivo, non ha il diritto di riprendere la via con vantaggio immutato. Poco chiaro il motivo per cui i giudici hanno fatto un'eccezione. Nessuna deroga invece è stata concessa al povero Balykin che avrebbe usufruito di una scia prolungata di un'ammiraglia dopo un guaio meccanico nelle prime fasi del tappone alpino. Niente da eccepire: regolamento applicato alla lettera! Peccato che qualche ora dopo diversi suoi colleghi abbiano percorso l'intero Gavia (e più di qualcuno anche diversi pezzi di Tonale e Campo Carlo Magno) trainati dal carro scopa e da altre moto e vetture al seguito. Per loro nessuna squalifica e l'indomani hanno potuto beatamente lottare (e qualcuno ha ottenuto pure dei bei piazzamenti) per la vittoria di tappa alla faccia del povero Ivan e di quelli che il Gavia l'hanno fatto con le proprie gambe.

Insomma, in questi dieci giorni il GiroBio ci è parso un'idea sicuramente innovativa e con ottime possibilità di fare strada (e scuola) ma per parecchi versi, per ora, non è una corsa troppo diversa dalle altre, ancora lungi dall'essere modello di genuinità e ciclismo fatto solo di pane, acqua e fatica.

Giuseppe Cristiano

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