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Giro d'Italia 2012: Fin qui una corsa più grigia che rosa - Poco spettacolo, tanta paura

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Tutti in gruppo intorno alla maglia rosa: un'immagine che speriamo di non vedere sulle Alpi © Bettiniphotodal nostro inviato

Decolla o non decolla, questo Giro d'Italia? Ci dispiace ammetterlo, ma, dopo 13 tappe, dobbiamo dire che non decolla. Non ha ancora preso il volo, non ha ancora chiamato alla pugna i corridori più attesi, non ha ancora proposto - se non l'attacco di Domenico Pozzovivo a Lago Laceno - una vera azione da parte di corridori potenzialmente di classifica. E le volate di Cavendish, memorabili quanto si voglia, non bastano a colmare il gap di spettacolo; né basta aver scoperto un grandioso personaggio (Taylor Phinney) per bilanciare la carenza di carisma esibita da altri.

Venendo al percorso: le tappe in cui si sarebbe potuto inventare qualcosa non sono mancate, tutt'altro, è semmai mancata la volontà di provarci. Perché? Perché in gruppo c'è una paura nera dell'ultima settimana.

In quello che qualcuno aveva dipinto come un Giro facile, da domani a sabato prossimo ci saranno 5 tappe di alta montagna in 8 giorni, e questa prospettiva, a quanto pare, terrifica molti corridori: altro che facile, il finale tutto alpino della corsa rosa lascerà senza fiato parecchi, e per sicurezza si è teso, fino a oggi, a non spendere più del necessario. Il che si è tradotto in poca voglia di attaccare, di battagliare, di rischiare.

13 tappe di poco spettacolo sono una sconfitta per gli organizzatori, che potrà certamente essere bilanciata da una seconda (o terza, se vogliamo) parte di corsa rosa scoppiettante; certo però che se l'attendismo continuerà a prevalere, saremo costretti a inserire questa edizione del Giro tra quelle meno divertenti degli ultimi anni. Il che significherebbe porsi qualche domanda sulla scelta di tenere ravvicinati diversi tapponi di montagna, nel finale di gara. È una scelta che paga, o non produce piuttosto una sterilizzazione di troppe tappe, nell'attesa di quello che sarà?

Il recupero in un GT è tutto, e forse dare la possibilità agli atleti di poter puntare su più giorni "tranquilli" tra una tappa decisiva e l'altra, li aiuterebbe ad avere più coraggio. È, questo, un pensiero che ci pesa fare, ma ad essere onesti già ce li vediamo, domani, i nostri eroi, andare su di conserva sul Col de Joux, non rischiare l'osso del collo sulla successiva discesa, e rinviare tutte le questioni a una volata di tre chilometri verso Cervinia: sarebbe un bel disastro, per una tappa in cui 50 dei 70 km finali sono in salita. Il punto è: chi rischierebbe di saltare, attaccando da lontano al primo giorno di Alpi, quando ancora non si conoscono bene i valori in campo?

Considerando poi che l'indomani ci sarebbe un'altra frazione molto difficile, con tanto di arrivo in quota ai Piani dei Resinelli, questo timore diventa quasi terrore.

Purtroppo il ciclismo contemporaneo ci ha abituati a queste processioni di regolarità e grigiore nelle tappe più attese; ogni tanto arriva qualcosa a rischiarare la scena (le Alpi all'ultimo Tour, per esempio, sono state incredibilmente spettacolari, a distanza di mesi ancora si fatica a credere all'impresa fatta da Andy Schleck sul Galibier e a quella tentata da Alberto Contador verso l'Alpe d'Huez), ma in generale sono più le occasioni in cui si rimane con tanto di rimpianto, che quelle in cui si benedice il ciclismo e questa passione che, in un modo o nell'altro, ci terrà avvinghiati alle vicende della gara su tutte le montagne che verranno.

Prima di ogni altra fosca riflessione, in ogni caso, aspettiamo almeno domani: con la speranza di star qui a raccontare, tra 24 ore, i tentativi, da parte dei big, di spodestare Joaquim Rodríguez, o quelli, da parte dei più forti comprimari, di far saltare il banco andando all'attacco da lontano. Un po', nell'attesa del freddo (ancora!) e della neve (che pare ci sarà, seppur a sprazzi) di Cervinia, ci crediamo. Ci vogliamo credere!

Marco Grassi

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