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L'intervista: Rai&Ciclismo, binomio garantito - Auro Bulbarelli: «Impegno crescente malgrado la crisi»

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Auro Bulbarelli, vicedirettore di RaiSport, qui in occasione del premio "La Bici al Chiodo" © BettiniphotoLa sua voce la conoscono tutti gli appassionati di ciclismo, i quali, dopo aver vissuto tantissime gare con le sue telecronache, negli ultimi tempi hanno imparato ad apprezzarne anche il lavoro dietro le quinte nel ruolo di vicedirettore di RaiSport: Auro Bulbarelli, 41 anni, mantovano, ha segnato, con la sua promozione alle "stanze dei bottoni", un deciso cambio di marcia per il ciclismo sulla tv di stato. Rispetto al passato abbiamo più corse in diretta e più ore di trasmissione, con un canale, RaiSport2, che negli ultimi 2 anni ha assunto le sembianze di una vera e propria rete del ciclismo. Con lui parliamo di questo e di tanto altro.

Da dove iniziamo? Tracciamo un bilancio del 2011, che è stato un po' un anno di svolta per quanto riguarda il ciclismo in Rai?
«Lo scorso anno ho cercato di portare nelle case degli italiani alcune corse che noi addetti ai lavori conoscevamo molto bene, ma che non erano adeguatamente valorizzate in passato: mi riferisco a una serie di semiclassiche belghe, al Giro dei Paesi Baschi, al Delfinato, tutte gare con una valenza particolare. L'unica vera differenza rispetto alla stagione precedente, comunque, l'ho riscontrata nel fatto che la gente si è abituata a cercare gli eventi: sapendo che era facile trovare del ciclismo su RaiSport2, gli appassionati hanno imparato appunto a cercare le gare in diretta sul nostro canale, nonostante spesso non sia facile sapere che tipo di programmazione c'è; ma questa - quella della comunicazione carente - è una pecca della Rai nel suo insieme: capita che non vengano pubblicizzate a dovere le trasmissioni della nostra azienda, c'è una carenza di autopromozione, diciamo. In ogni caso, le dinamiche che si sono instaurate tra pubblico e RaiSport2 hanno portato a dei risultati lusinghieri in termini di ascolti: con gli eventi live abbiamo toccato dei picchi impensabili, il 4% di share, quando la media del canale è sotto all'1%. C'è stato, nel raggiungimento di questo risultato, anche un importante apporto dei social network, dei siti specializzati, della Gazzetta dello Sport, che hanno pubblicato la nostra programmazione; quanto agli altri giornali, buio pesto».

Le novità del 2012 in cosa si sostanziano?
«Confermate tutte le dirette del 2011, la vera novità sarà il Giro di Romandia, che non avevamo mai trasmesso. Siamo stati contattati dagli organizzatori, che ci hanno offerto i diritti per la diretta della loro corsa. Valutata la proposta, il direttore per la gestione dei diritti sportivi, Giuseppe Pasciucco, ha deciso di procedere, e ringrazio lui e il direttore di RaiSport Eugenio De Paoli perché in momenti di crisi non è facile esporsi economicamente per proporre qualcosa di nuovo».

In aprile ci sarà anche la diretta del Giro del Trentino, altra novità per quanto riguarda gli eventi live, dopo la Strade Bianche vista sabato scorso. Come mai proprio il Trentino?
«In questi anni mi sono reso conto che l'evento in diretta è l'unico che susciti reale interesse anche sul mercato. Possiamo anche proporre 20 differite, ma non le vuole nessuno, mentre per fare un esempio, la Strade Bianche l'abbiamo venduta in Nordamerica, in Australia, in Belgio: ciò ci ha permesso di rientrare almeno parzialmente dell'investimento fatto per produrre la diretta. Per i diritti del Trentino siamo già stati contattati da un'agenzia di comunicazione asiatica. In periodi di tagli di bilancio, non è facile fare tutto, bisogna operare delle scelte e le mie vanno nella direzione di una maggiore qualità e appetibilità degli eventi da produrre. Per questo ho scelto di privilegiare alcuni appuntamenti e di chiedere agli organizzatori di occuparsi della produzione di immagini da trasmettere su RaiSport2 in differita. Spero che capiscano che se metti insieme una corsa con 20 squadre invitate e tanti soldi investiti, devi pensare prima di tutto alla promozione».

Ma in questo modo non si creano delle difficoltà a quegli organizzatori che già fanno i salti mortali per realizzare queste gare? Abbiamo già visto il Sardegna scomparire, mentre la Challenge Calabria non ha avuto alcuna trasmissione nemmeno in differita.
«Mi rifiuto di pensare che con budget di almeno 100.000 euro per determinate gare, non si trovino quei 4-5mila euro in più per produrre delle sintesi. Se succede, vuol dire che c'è stata incapacità, oppure la presunzione che dovesse essere sempre la Rai a occuparsi di tutto. Lo dissi già in tempi non sospetti, a dicembre 2009, in un incontro a cui era presente anche il povero Ballerini: gli organizzatori devono capire che non devono più guardare solo al proprio orticello, ma consorziarsi per disporre di un service che produca le immagini. Mi pare che comunque la Lega Ciclismo si stia muovendo in questa direzione. Mi auguro che presto si raggiungano dei risultati, perché, ripeto, la tv di stato non può più accollarsi le spese di produzione di tutti gli eventi».

Gli organizzatori del Trentino, quindi, hanno capito prima di altri e contribuito?
«Intendiamoci: la diretta del Giro del Trentino la produciamo noi come servizio pubblico. La scelta è caduta su questa corsa per varie ragioni: intanto è una bella gara, organizzata bene, e in crescita dal punto di vista tecnico. Poi, nell'imminenza del Giro d'Italia, che è il vero appuntamento centrale per la Rai, ci permetterà di testare una serie di apparecchiature che verranno poi utilizzate per la corsa rosa. E questo è un elemento addirittura necessario, per noi. Infine, avere questi giorni di gara inseriti tra le classiche del nord e prima del Giro di Romandia, ci permetterà di avere una lunghissima serie di dirette prima del Giro, e ciò contribuirà a fidelizzare un certo pubblico, a dare l'abitudine al grande ciclismo in diretta in un periodo dell'anno per noi strategico».

A proposito: come va la raccolta pubblicitaria relativa al ciclismo in Rai?
«Non ho numeri precisi, ma posso dire che la nostra concessionaria, la Sipra, già in gennaio mi ha chiesto i palinsesti per tutta la stagione: ciò significa che per certo ci sono degli inserzionisti interessati al nostro prodotto. Evidentemente sono stati notati i numeri che abbiamo fatto l'anno scorso, e la pubblicità in occasione delle gare è stata valutata come un buon investimento».

In tema di apparecchiature da testare: quali saranno le novità tecnologiche del Giro 2012?
«Possiamo parlare di una migliore qualità delle immagini, con meno "sganci", visto che la catena digitale è quasi completata: dall'elicottero, al pullman regia, il segnale passa tutto in digitale. Non possiamo ancora lanciare l'alta definizione, ma sarà quello il prossimo passo; in ogni caso, siamo vicini alla qualità del Tour de France, su cui però - va detto - convergono enormi investimenti da parte della televisione francese».

Ecco, cosa invidi alla produzione tv della Grande Boucle?
«Non è che invidio qualcosa, diciamo che loro non hanno problemi di budget, sarebbe bello avere già l'HD, disporre sempre di tre elicotteri di riprese e di doppie regie; ma se ogni anno c'è un 10% da risparmiare rispetto all'anno precedente, ciò non è facile. Il Tour non ha problemi di questo tipo, sebbene, sia chiaro, non mi sto certo lamentando della mia azienda, riporto semplicemente un dato di fatto. Resta comunque da dire che per noi è in corso un processo di crescita, lento ma fin qui ininterrotto, e posso prevedere che in prospettiva tale percorso non si interromperà».

Le televisioni tedesche compreranno i diritti per il Giro? È stato un tema molto dibattuto in sede di assegnazione delle wild card...
«Non ho notizie in questo senso, ma è un ambito che riguarda un altro settore della Rai, non saprei che dire nel dettaglio».

In tema di Giro d'Italia: hai pensato di ricevere davvero una chiamata da RCS Sport per sostituire Angelo Zomegnan?
«No, c'è stato un semplice incontro a fine Giro con i dirigenti RCS, che volevano capire che tipo di rapporti ci fossero con il direttore Zomegnan. L'unica cosa che ho detto loro è che ci sarebbe piaciuto condividere la scelta di alcuni percorsi. L'unica ragione di critica nei confronti dell'ex patron è appunto questa: il disegno del Giro ci veniva servito senza che fossimo interpellati, e ciò poteva diventare problematico in presenza di alcuni arrivi particolari, vedi Vesuvio, o Zoncolan. In quelle situazioni il nostro lavoro di organizzazione dei mezzi di ripresa e di regia si complica parecchio, con spese supplementari anche per la stessa RCS. Se ci pensiamo, il Tour non arriva mai in posti strani, se non per rare eccezioni tipo il Galibier l'anno scorso».

Ma in questo modo non si rischia di impoverire i percorsi delle grandi gare a tappe? In fondo la tappa del Gardeccia, al Giro 2011, resterà nella memoria, anche se ha comportato un dispiego di mezzi superiore al solito per la sua copertura televisiva.
«Ma per carità, l'arrivo di Gardeccia è stato molto bello, ma bisogna fare i conti con la realtà: quel tipo di tappe costano dai 30 ai 50mila euro in più rispetto alle altre, per spese di doppia regia, di trasporto di fibre ottiche per il segnale e via dicendo. In periodi di vacche grasse non ci si bada, magari, ma quando bisogna risparmiare, ecco che anche quelle decine di migliaia di euro diventano importanti. Purtroppo non sempre ciò che è bello è anche fattibile».

Siete molto attenti ai nuovi media: sono previste delle novità in questo campo, per RaiSport?
«Il nostro è stato uno dei primi siti ad avere le dirette in streaming, col Giro d'Italia l'utente può scegliere anche quale telecamera seguire. Cerchiamo di essere sempre presenti, siamo sui social network e abbiamo un bravissimo collaboratore, Michele Merlino, che segue questo versante del nostro lavoro. Ci seguono e scrivono in tanti, abbiamo 5mila follower su Twitter, e proviamo a interagire con tutti con la massima disponibilità».

Domanda inevitabile per noi: leggi il forum di Cicloweb? Hai un messaggio per i nostri appassionatissimi utenti?
«Certo che lo leggo, mi ricordo ancora le 30 pagine del thread sulle "Bulbarellate"... Ora la discussione che guardo sempre è "Servizio Rai". Voglio ringraziare tutti perché vedo che c'è grande sostegno per il nostro lavoro, e anche le critiche costruttive le accolgo con grande interesse e piacere. Quello che non condivido è la ricerca del pelo nell'uovo, insomma, capita di sbagliare un nome o una pronuncia, ma chiedo a chi ci segue di giudicarci nell'insieme della nostra offerta, con comprensione, senza aggredirci al primo svarione. In fondo quando si lavora (e tanto, come fa la mia squadra), può capitare di sbagliare».

Citi la squadra, ed è risaputo che per te è molto importante il lavoro di gruppo: vuoi spendere qualche parola per "i tuoi ragazzi"?
«Devo dire che hanno tutti capito appieno il senso di questo concetto fondamentale. Lavoro di squadra significa che ognuno deve sapere di essere importante, senza che ci sia competizione. Ognuno ha il proprio ruolo, e non ho mai sentito lamentele per una telecronaca o una conduzione assegnata a uno piuttosto che a un altro di loro».

E a te manca il microfono?
«Sinceramente no. Ho cercato di dare il meglio quando è toccato a me, non so se ci sono riuscito, ma comunque è una fase che appartiene al passato. Le mie scelte sono sempre radicali, e anche stavolta è stato così: quando ho deciso di accettare il nuovo ruolo che mi è stato proposto, non ho avuto rimpianti per quello che facevo prima».

Qual è il tuo ricordo più bello di questi 15 anni di ciclismo?
«I Giri seguiti sulla moto: ho imparato tanto, e soprattutto a vivere in mezzo ai corridori, e mi sono rimasti dei ricordi indelebili: il Fauniera con Pantani e poi con l'incredibile discesa di Savoldelli; l'emozione di Oropa, quando il Pirata fece quella memorabile rimonta dopo il problema alla catena... Ma anche situazioni più complicate, come quando nella discesa del Mortirolo Massimo Codol cadde dopo una curva cieca, e io mi misi a fare il vigile per rallentare e dirottare le auto che scendevano a 80 km all'ora, e per permettere che lui venisse soccorso».

E la telecronaca che ricordi con maggiore piacere?
«Ho avuto la fortuna di commentare l'ultimo Pantani... il giorno di Courchevel non si può dimenticare, per le mille implicazioni che l'hanno caratterizzato. Ma anche i vari mondiali di Ballan, di Bettini, di Cipollini... Ho meno ricordi del Tour, perché ho vissuto appieno l'era Armstrong, e in quelle occasioni la corsa si decideva abbastanza presto, prendendo una piega un po' monotona».

Non hai citato Atene 2004 e la vittoria olimpica di Bettini...
«Beh, quella posso considerarla la gioia più grossa a livello professionale e umano: complice l'assenza di grosso pubblico italiano, quando Paolo tagliò il traguardo si voltò verso la nostra postazione e salutò me e Davide; e venire così coinvolti nel momento di un trionfo olimpico, dal protagonista di quell'impresa, ci ha gratificati tantissimo. Nel mio ufficio ho anche una foto di quel momento, con tanto di dedica di Bettini; ma devo dire che con lui ho un rapporto particolare, in fondo lo vidi nascere - sportivamente parlando - e poi ne ho seguito e commentato l'intera carriera».

Che ruolo avrà lo sport per la Rai nei prossimi anni? Sarà ancora uno degli asset principali dell'azienda, nonostante una concorrenza palpabile (vedi le prossime Olimpiadi su Sky)?
«La concorrenza c'è, ma ci stimola a fare meglio. Il futuro sarà sempre più legato alla trasmissione di eventi live, a patto che però le richieste degli organizzatori non siano esagerate. Non credo che si possa continuare a spendere decine di milioni per avere i diritti tv della Formula 1 o del calcio, come azienda pubblica non è più pensabile spendere tanto. Sarà necessario un ridimensionamento rispetto alle cifre degli ultimi anni, ma maggiore sobrietà non significa minore qualità. Cercheremo quegli eventi con un buon rapporto costo-qualità. Penso in ogni caso che sì, lo sport continuerà ad essere uno dei punti di riferimento nella programmazione Rai, del resto 2 canali dedicati parlano chiaro. Consideriamo poi che viviamo un periodo di transizione, visto che col digitale terrestre siamo passati da 3 a 14 canali, e quindi ci siamo trovati a dover moltiplicare le ore di trasmissione rispetto al passato, e questo, in tempi di crisi, non è facile».

Visto che c'è tanto spazio nei palinsesti rispetto al passato, sarà possibile vedere più ciclismo femminile? La Coppa del Mondo in diretta è utopia?
«Lì il problema è che non ci arriva mai un'offerta per eventi live. Gli organizzatori ci forniscono solo delle sintesi che noi puntualmente trasmettiamo nella rubrica RadioCorsa. Per il prossimo appuntamento di Cittiglio avremo comunque un'ora di differita alla sera».

È pensabile una televisione del ciclismo transnazionale, che raccolga alcuni milioni di abbonati a pagamento e mandi in onda tutte le corse possibili?
«Perché no? Il ciclismo si sta mondializzando e si corre praticamente sempre. Ci dovrebbe essere qualcuno che creda in questo progetto, ma credo che presto o tardi ci si arriverà».

Che ciclismo è quello che viviamo in questi anni?
«È molto diverso da com'era quando iniziai io. Da italiano, posso dire che mi piaceva di più quel ciclismo, in cui le nostre corse avevano grande qualità e ottimo seguito, mentre oggi come oggi ci son tante gare in tutti i paesi e l'appassionato rischia di avere meno punti di riferimento. Ma d'altro canto, questo discorso rischia di sfociare in una sorta di provincialismo. Bisogna ammettere che la realtà delle cose è cambiata, anni fa avevamo 10-12 squadre nell'élite, ora ne abbiamo solo 2, ma non perché il nostro movimento sia particolarmente scaduto, bensì perché si sono affacciate sulla scena molte altre nazioni».

Cosa pensi della qualità dei dirigenti di questo ciclismo? Non rischia di sfuggir loro di mano il bandolo della matassa?
«La mia impressione è che l'UCI abbia voluto spremere un po' troppo questo sport. Se pensiamo a quanto costa l'organizzazione di un mondiale, 4, 5, 6, 7 milioni di euro, e ogni anno questo costo aumenta; per non parlare delle iscrizioni delle squadre al World Tour, che sono carissime; o alle spese per i controlli: la strada intrapresa per la pulizia è condivisibile, ma mi pare che si sia troppo esosi con le squadre, e non so quanto ciò alla lunga possa risultare sostenibile».

In chiusura, ci sveli qualche retroscena del lavoro in Rai? È difficile interagire coi piani alti di Viale Mazzini?
«Io opero a Milano, per cui vivo molto poco la realtà romana. Mi piace molto quello che faccio, gestire uno sport che mi ha dato tanto. Per me quest'anno sono 20 anni di Rai, ho iniziato con il tg regionale lombardo, poi ho vissuto la prima fase della Testata Giornalistica Sportiva, poi diventata RaiSport. Il vero cambiamento nel nostro lavoro c'è stato dal momento in cui RaiSport ha avuto un suo canale. Prima i nostri programmi erano ospiti di altre reti, c'era in sostanza meno lavoro da fare, e molto si risolveva in una corsa ad occupare spazi su RaiUno, RaiDue o RaiTre. Ora invece siamo noi che dobbiamo riempire i nostri palinsesti, e come ho detto prima non è facile. È un impegno più gravoso, ma anche molto più stimolante e creativo».

Marco Grassi

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