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Doping: Contador condannato! - TAS, accolto il ricorso UCI-WADA: stop di 2 anni per Alberto | Cicloweb

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Doping: Contador condannato! - TAS, accolto il ricorso UCI-WADA: stop di 2 anni per Alberto

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Finisce con una condanna davanti al TAS il caso clenbuterolo che ha coinvolto Alberto Contador © 20minutes.fr

Finisce con una condanna il caso che ha tenuto in scacco Alberto Contador per un anno e mezzo: il TAS, Tribunale di Arbitrato dello Sport, ha accolto il ricorso di UCI e WADA contro l'assoluzione del corridore da parte della Federciclismo spagnola per la celebre vicenda del clenbuterolo trovato nel sangue del campione durante il Tour de France 2010. Il madrileno è stato sospeso per 2 anni a decorrere dal luglio 2010, e perde le vittorie alla Grande Boucle "incriminata" e al Giro d'Italia 2011. Potrà tornare in gara il 5 agosto prossimo e presumibilmente si presenterà al via della Vuelta a España 2012.

Al contempo, Andy Schleck si ritrova vincitore di un Tour de France e Michele Scarponi di un Giro d'Italia: tante classifiche riscritte in maniera spettacolare, la carriera del corridore più importante dell'ultimo lustro tagliata a metà, la credibilità del ciclismo scesa sotto i livelli di guardia. Una vicenda incredibile, da qualunque prospettiva la si guardi.

Il comunicato stampa emesso dall'UCI dopo la condanna di ContadorL'UCI che pareva quasi non voler far venire a galla il caso ("scoperto" da Hans Joachim Seppelt, giornalista della tv tedesca ARD, dopo la soffiata di qualcuno da Aigle) vive il suo capolavoro al contrario, con un ricorso presentato tardivamente e che ha prolungato di quasi un anno un caso che si sarebbe chiuso esattamente 12 mesi fa per la gioia di tutti. Un atteggiamento grottesco, da parte dei vertici (?!?) del ciclismo, completato dall'incredibile comunicato emesso con tanto di puntini di sospensione su una sentenza data per scontata (cliccate sulla foto accanto se non ci credete).

L'autolesionismo tocca vertici mai raggiunti, nemmeno nel caso di Landis (anche lì aspettammo un paio d'anni prima di capire chi avesse vinto il Tour 2006), perché stavolta c'era in ballo, come detto, il faro dell'intero movimento, un faro che ora è stato di colpo spento. Parliamo di autolesionismo perché, nell'attesa che la "giustizia" sportiva facesse il suo lentissimo corso, Contador ha gareggiato (e tanto), ha vinto (e tanto), ha movimentato il ciclomercato tenendo, coi suoi punti UCI, la Saxo Bank di Riis nel World Tour, categoria da cui la squadra danese è destinata a uscire a fine stagione, visto che non potrà più beneficiare (per altri 2 anni) di tali punti.

Un autolesionismo che si sostanzia anche nella diversità di trattamento tra Contador ed altri corridori che in passato hanno visto la squalifica partire dal giorno del verdetto (vedi Mosquera) malgrado fossero di fatto sospesi dal giorno della positività; stavolta dal giorno della positività si è corso fino al giorno del verdetto, e la squalifica decorre appunto dalla positività. Come dire che non c'è mai una normativa certa, nel ciclismo, si fa un po' alla "come viene", a seconda delle occorrenze politiche del momento, verrebbe da dire.

Un pastrocchio politico, ecco la definizione: da una parte la RFEC, la federciclismo spagnola, che probabilmente in un afflato di buonismo ha esagerato nell'assolvere Alberto un anno fa, quando magari una squalifica simbolica di 6-8 mesi fatta partire da settembre 2010 (quando uscì la notizia della positività) avrebbe lasciato intatto il pregresso e il prosieguo della carriera del madrileno, non sollecitando il ricorso di UCI e WADA, nato invece da quell'assoluzione e che ha portato alle macerie che commentiamo oggi.

Dall'altro lato abbiamo l'UCI, ineffabile come sempre, grande orchestratrice di situazioni negative per il ciclismo, che ha permesso che questa vicenda si prolungasse oltre ogni sopportabile limite, lasciando nell'incertezza un gran numero di corse, tra cui il Giro 2011, completamente rivoluzionato (così come un paio di Tour) da questa sentenza del TAS.

In mezzo, il corridore, forse colpevole (più dei colleghi che ne hanno ereditato le vittorie?), forse innocente (meno dei colleghi che ne hanno ereditato le vittorie?), di sicuro condannato in misura enorme rispetto agli addebiti, rispetto alla positività a una sostanza che non comprova doping (il clenbuterolo). Un doping presunto, in un calderone in cui pesano anche le microtracce di sostanze plastiche (che sarebbero il segnale di un'autoemotrasfusione, pratica proibita), ma che può portare a una sentenza tanto esemplare e al caos che ne deriva solamente in uno sport: il ciclismo.

Prove non definitive, indizi la cui interpretazione lascia il campo a tanta ambiguità, le ragioni dell'uno che potrebbero essere paritetiche alle ragioni dell'altro. Eppure si finisce in questo big bang di devastazione per uno sport che non finirà mai di trovarsi a convivere con situazioni del genere.

L'UCI, la grande burattinaia, aveva probabilmente intrapreso, col passaporto biologico, una strada di maggior moderazione rispetto al passato, in materia di antidoping: mai più casi spiattellati in piazza, vicende-limite trattate con una sorta di sordina, immagine del ciclismo non più infangata a ogni pie' sospinto. Invece qualcosa è andato storto, e nel diluvio che è seguito alla famosa soffiata di un anno e mezzo fa, la cosca guidata dai McQuaid ha dovuto interpretare ancora una volta il ruolo del rabbioso cane da guardia.

Ora, ancora una volta, si riparte. Si dirà che il ciclismo è giusto e severo perché punisce i suoi eroi e non guarda in faccia a nessuno; la verità è che, una volta di più, i vertici di questo sport hanno dimostrato tutta la loro inadeguatezza e inconcludenza, a tutti i livelli. Nulla che già non sapessimo; ma non è che la consapevolezza di quanto siano ridicoli certi personaggi che "ci guidano" renda meno doloroso il vivere un'altra brutta, pesante, cupa giornata come questa.

Marco Grassi

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