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Tour de France 2011: Il ritorno di Capitan Coraggio - Anche Contador tenta il capolavoro. Ora decisiva la crono

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Alberto Contador, Andy Schleck e Cadel Evans, grandi protagonisti della tappa dell'Alpe d'Huez © Bettiniphoto

A volte può bastare una semplice scintilla, un bagliore fulmineo capace di accendere la fantasia e svegliare in maniera prorompente il talento. Forse è proprio vero che finchè c'è vita c'è speranza, quella speranza che fino a ieri non diciamo di aver completamente perso ma che chissà quando si sarebbe di nuovo tramutata in realtà. Invece è bastata una tattica preparata alla perfezione, un Andy Schleck finalmente deciso a ritrasformarsi in quel corridore che da ventiduenne seppe conquistare il pubblico italiano al Giro 2007, l'atleta capace di far fuoco e fiamme in salita alla Grande Boucle 2008, il coraggioso e splendido vincitore della Liegi 2009. Quello scatto, a 7 chilometri dalla vetta dell'Izoard (quando al traguardo ne mancavano ancora 62), ci ha ricordato una di quelle cose che probabilmente ci hanno fatto innamorare follemente di questo sport: il genio pazzoide che entra in gioco per tentare l'impresa da ricordare, quella per i quali si verrà tramandati ai posteri per generazioni.

È proprio così, c'è poco da fare. La gente si è spesso incollata davanti ai teleschermi nel momento in cui spesso il talento al servizio del coraggio si metteva in modo per rovesciare l'ordinario, per marchiarsi indelebilmente nella storia. Ricordiamo ancora oggi con emozione e commozione i pomeriggi passati davanti alla tele di fronte ai magici voli di Marco Pantani (quanto avrà gradito Marco da lassù vedere le sue Alpi, l'Izoard, il Galibier onorate da un simile spettacolo?), i più attempati ci hanno tramandato di giornate memorabili mentre nelle infinite cavalcate verso la gloria eterna si alternavano i Coppi e Bartali, i Gaul e Bahamontes, i Merckx e gli Ocaña. Per troppo tempo cercavamo disperatamente di riassaporare il gusto dell'impresa in un ciclismo troppo spesso dominato da attendismo, salite in agilità, corridori telecomandati e l'ormai famosa selezione da dietro a farla praticamente da padrone.

Andy ventiquattr'ore fa ce l'ha fatta, coronando il suo volo in vetta al Galibier anche senza l'investitura della maglia gialla (rimandata solamente di un giorno) che avrebbe reso molto più fascinoso il tutto. E mentre il minore degli Schleck si abbandonava giustamente alla gioia per tale successo, Contador sofferente oltremisura era l'immagine inequivocabile del sovrano che abdica. No, non poteva finire così, non potevamo chiudere questo Tour senza che colui che ha saputo domarlo in tre occasioni ci regalasse uno scatto d'orgoglio, che provasse almeno a realizzare qualcosa di speciale, per non dire che si facesse conquistare dalla "malsana idea" di ribaltare tutto e tutti nella breve ma terribile frazione che si sarebbe conclusa in cima all'Alpe d'Huez. L'occhio fortunatamente è stato ripagato anche in questa circostanza, anche oltre le più rosee aspettative forse: appena 17 chilometri di tappa trascorsi, 92 chilometri ancora da percorrere ed ecco che il Col du Telegraphe, noto ai più per essere abitualmente l'antipasto ideale del Galibier che per altro, è diventato il teatro in cui è andato in scena l'orgoglio del fuoriclasse, quell'orgoglio che te ne fa sbattere bellamente di un settimo o ottavo posto che ottenuto passivamente non aggiungerebbe proprio un bel nulla ad un palmarès che già la metà farebbe invidia alla maggior parte.

Così Alberto è scattato come una molla, come in quei giorni belli di un paio di mesi fa quando al Giro d'Italia ribadiva che nei grandi giri comandava lui e per gli altri restavano al massimo i gradini più bassi del podio. Alzi la mano chi in un tale momento ha pensato di disdire qualsiasi appuntamento, rimandato il pomeriggio al mare pur di non perdersi quanto si stava prospettando? Difatti non è bastato molto per capire che il pomeriggio sarebbe diventato assai speciale, nel momento in cui dietro Contador si sono portati un Andy Schleck per nulla fiaccato dallo sforzo di ieri, un Cadel Evans disposto a vender cara la pelle pur di vederseli scappare quei due ed un Voeckler altrettanto indisposto a vedere in frantumi il suo sogno a tinte esclusivamente gialle. Così, presi come eravamo, abbiamo divorato ciò che ci han proposto i chilometri: un Evans che per l'ennesima volta sembrava avere il suo classico appuntamento con la sfiga che pareva avergli fatto perdere anche questo treno buono; un Voeckler in disperata ricerca di alleati e costretto così a piegarsi sotto le dure pendenze del Galibier, dove solo i fidi gregari sembravano poterlo salvare dallo sconforto.

Infine Andy e Alberto, sempre loro, come negli ultimi due anni ma questa volta uniti nello speciale destino che da sempre accompagna il fuggitivo folle, costretto sempre a ballare tra un traguardo ancora troppo lontano e l'avido desiderio che quel distacco tra gli inseguitori cresca a dismisura. Probabilmente un pizzico di delusione sarà subentrato quando, alle porte di Le Bourg d'Oisans, ai piedi dell'appuntamento col Mito, un gruppone vorace (con l'indomabile Evans ad averne ancora per inseguire, persino Voeckler riportato sotto dai suoi fidi scudieri) rimescolava le carte, ora che neppure Samuel Sánchez poteva più studiare con Contador un ennesimo attacco combinato verso l'Alpe.

No, non può finire così. La scintilla sembra essersi spenta troppo presto, ci voleva un altro tocco d'orgoglio, capace in caso di buona riuscita (e sorte, che non guasta mai), di trasformarsi in un ennesimo coupe-de-teatre. Inizia l'Alpe con Contador a scattare di botto, ad ingurgitare furiosamente Hesjedal e Rolland, a volare verso quella vittoria che avrebbe marchiato indelebilmente questo Tour, a cercare di ribaltarlo questo Tour. Un attacco veemente che sembrava aver mandato in tilt addirittura i riscontri cronometrici ma costretto poi ad arrendersi all'evidenza di gambe pian piano sopite dallo sforzo, tarpate dalla voglia d'assolo e a quell'umanità che sa caratterizzare anche i più grandi e che, come spesso accade, vien sovente fuori nel momento della sconfitto. Il sorpasso e lo scatto in faccia del quasi irriverente ma meritevole Rolland è la foto finale, unita al saluto dell'amico Sánchez che almeno una maglia a pois aveva intenzione di prendersela. Un'immagine, quella del Contador nuovamente sconfitto, che non ha però cancellato la bellezza del gesto nè ha vanificato il pomeriggio degli appassionati, che in due giorni sono tornati a riscoprire l'importanza del Capitan Coraggio, del "o salto io, o salta lui", della capacità di cavalcar monti e valli quasi fossero il più magico e meraviglioso dei destrieri. Il ciclismo ha bisogno come il pane di eroi vecchi e nuovi che sappiano regalare ancora imprese ed entusiasmare la gente e questa due giorni, ne siamo certi, ci ha regalato lo spot migliore in cui potessimo sperare.

In tutto questo ora non ci resta che attendere con impazienza l'ultimo atto, quello ci dirà colui che sui Campi Elisi salirà sul gradino più alto del podio: Andy è in giallo, seguito a 53" dal fratello Frank ma per entrambi incombe un Evans che non ha alcuna intenzione di subire per la terza volta la beffa dell'ultima cronometro, occupando la piazza d'onore quando tutti o quasi lo davano già per vincente. 57 secondi da rimontare non dovrebbero spaventare affatto chi, poco più di un mese fa a Grenoble, si era praticamente inchinato solamente agli specialisti puri. Si ripresenta quindi l'ideale occasione della rimonta, da fare per di più nei confronti di chi in due giorni ha speso tantissimo per issarsi lì sopra tutti ma c'è da vincere, appunto, i fantasmi del passato, quelli di perdente di lusso che Cadel seppe magistralmente lasciarsi indietro in quel pomeriggio d'inizio autunno a Mendrisio. In quanto all'Italia non possiamo che aggrapparci alla speranza che Damiano Cunego sappia difendere con le unghie e con i denti una top-5 assolutamente impronosticabile alla vigilia che andrebbe a premiarne la grande regolarità della sua Boucle.

Se da una parte appare molto complicato difendere appena 23" di margine da un Contador che comunque contro il tempo sa dire la sua al cospetto del 1'09" che il veronese può vantare su Samuel Sánchez (che in carriera ha saputo fare ottime crono ma che ha anch'egli speso molte energie e potrebbe essere assolutamente appagato dalla conquista della maglia a pois), dall'altra Cunego si troverà di fronte all'incognita Voeckler: il francese non è un drago contro il tempo ma la sua strenua difesa gli permette di presentarsi al via da Grenoble con ancora un margine di 1'21" nei confronti del leader della Lampre. Indubbiamente la giornata odierna avrà lasciato molti strascichi sull'alsaziano sia dal punto di vista delle energie spese a livello fisico, sia del morale, visto che T-Blanc un pensierino almeno al podio stava cominciando a farlo. È vero che Cunego in questa stagione ha visto sfuggirsi di mano il Giro di Svizzera proprio nella cronometro conclusiva per la miseria di 4 secondi ma è altrettanto vero che un Cunego rinfrancato dall'essere stato praticamente sempre lì a giocarsela con i migliori del Tour potrebbe tirar fuori l'orgoglio necessario per disputare una buonissima crono, così come fece nel 2006 quando a Montceau-les-Mines seppe tenersi alle spalle un cronoman come Fothen, ipotecando così la maglia bianca di miglior giovane.

Infine Ivan Basso: dopo la difficile giornata odierna appare molto complicato per il varesino recuperare posizioni nella giornata di domani ma il vantaggio nei confronti dell'americano Danielson dovrebbe essere rassicurante almeno per conservare un'ottava posizione che tuttavia nulla aggiunge alla carriera di chi, appena un anno fa, era stato capace di far nuovamente la voce grossa al Giro e che su questo Tour aveva puntato l'intera stagione.

Mancano poche ore, pochi chilometri alla fine di questo Tour ma noi possiamo essere già soddisfatti così. Rinfrancati da quella voglia di osare che per troppo tempo abbiamo atteso invano.

Vivian Ghianni

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