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L'intervista: «Le mie squadre come il Barça» - Lacambra, il ds che ha vinto due Giri

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Manel Lacambra ai piedi del podio del Giro Donne 2010 © Davide RonconiIn mezzo alle ammiraglie, laddove le ragazze cercano grinta e concentrazione, si aggira un bel tenebroso. Il volto da pirata saraceno, la pelle resa scura dal sole, il capello brizzolato, la barba volutamente incolta. Il modo di fare è amichevole, l'attenzione rivolta verso le ragazze prima delle gare è notevole. Manel Lacambra è «un catalano che ha una grandissima passione per il ciclismo», si vede lontano un miglio. Da giovane è stato un buon corridore («però pedalo più forte adesso di una volta...») ma presto ha capito che la sua strada era quella del Direttore Sportivo. La passione l'ha aiutato a raggiungere quest'obiettivo. Quella passione non fine a se stessa. Quella che ti permette di allenare con successo Campionesse come Cooke, Thürig, Soeder, Pooley, Armstrong - Kristin, non Lance - Häusler ed Abbott, solo per fare alcuni dei molti nomi passati sotto la mano di Lacambra. Passione e competenza, quelle che ti portano a vincere da Direttore Sportivo gli ultimi due Giri d'Italia (nel 2009 con Claudia Häusler, nel 2010 con Mara Abbott). Quella passione che dopo una sfida ed una vittoria ti porta ad affrontare un'altra sfida, a cogliere un'altra vittoria. Così è Manel. Ama le sfide, ama vincere, ama il ciclismo.

Sei un volto noto tra le ammiraglie ma com'è iniziato tutto?
«Mio padre era presidente di un club ciclistico, usciva spesso in bicicletta e, una volta diventato Presidente della Federazione Spagnola di Cicloturismo, ha iniziato ad organizzare Granfondo. Avevo otto anni quando ho finito la mia prima Granfondo. Ero il più giovane a terminarla. Credo che tutto sia iniziato così».

Hai anche gareggiato.
«Però non ero molto forte. Non avevo un allenatore e non sapevo come regolarmi. Andavo avanti solo grazie all'enorme passione per il ciclismo. Ben presto ho scoperto che la quantità non è sinonimo di qualità, anche se per anni ho condotto una vita sana pedalando».

Il tuo destino era legato alla bicicletta.
«Volevo vivere ogni giorno con la bici e forse questo era davvero il mio destino. Da corridore non ottenni granché, tutto l'opposto che da Direttore Sportivo. Sin dall'inizio ho colto successi».

Racconta.
«Tour of Geelong 2006, prima corsa da DS, ammiraglia dell'Univega. La prima tappa era una crono di otto chilometri. Vincemmo con Christiane Soeder. Con l'Univega abbiamo vinto molte altre corse grazie a Soeder, a Thürig, a Cooke. Insomma, non posso certo dire di aver iniziato male».

Avevi cominciato nel ciclismo maschile.
«Più che altro facevo il meccanico, poi sono passato al ciclismo femminile come ds».

Cos'hanno in più le ragazze rispetto ai colleghi maschi?
«Anzitutto credo che abbiano piú passione. Non corrono per i soldi, non solo. Rischiano la vita per finire una gara. Dal punto di vista fisico gli uomini sono più forti, chiaro, ma è proprio perché le ragazze sono inferiori fisicamente che sanno soffrire di più ed ottenere prestazioni migliori. Sono vere professioniste e s'impegnano davvero molto».

Le atlete più impressionanti che tu abbia allenato.
«In questi anni ho avuto modo di allenare molte campionesse. Come forza mentale direi che la migliore è Nicole Cooke, quando vuole sa dare il 200%. Emma Pooley invece ha un grande motore racchiuso in un piccolo corpo. E la Zabirova era un concentrato di classe e potenza».

Nel 2009 vinci il Giro con Claudia Häusler.
«Di nuovo una vittoria al primo tentativo. Era il mio primo Giro d’Italia come Direttore Sportivo ed è stata una gran soddisfazione terminare per primo. Non è stato semplice ma penso che la squadra abbia corso meglio degli altri. Questo alla fine ha fatto la differenza».

Nel 2010 accetti la sfida di allenare la Nazionale U.S.A.
«In una Nazionale è tutto diverso. Con la squadra di club si lavora da Gennaio con le ragazze e quando inizia la stagione loro sanno come vuoi che corrano, come intendi gestire le varie situazioni di corsa».

Invece in Nazionale?
«In Nazionale devi insegnare continuamente alle ragazze, in quanto ad ogni selezione si forma un gruppo nuovo. Le stesse selezioni non sono cosa semplice ma ho sempre convocato le atlete migliori, quelle che volevo io. Non nego di essermi creato alcune inimicizie in questo modo».

Inevitabile l'incontro con Mara Abbott.
«Nel 2010 Mara veniva da una stagione insoddisfacente. Ma al Tour de l'Aude è giunta la motivazione e la voglia di vincere per davvero una corsa a tappe».

Ed iniziate a lavorare per vincere il Giro.
«All'Aude Mara ha dimostrato di essere la più forte in montagna, anche se la corsa è andata alla Pooley. Emma ha fatto la differenza nella cronosquadre ed in pianura, grazie alla Cervélo, mentre in salita non è mai riuscita a staccare la Abbott».

Arriva la prima vittoria al Giro.
«Abbiamo gareggiato molto bene, interpretando la corsa al meglio. Alla fine Mara ha fatto la differenza in montagna».

Analogie tra il Giro della Häusler e quello della Abbott.
«L'analogia è che in entrambe le corse ha vinto la squadra, perché una corsa a tappe non viene mai vinta da un corridore da solo».

E le differenze?
«La differenza sostanziale è che Claudia aveva uno squadrone a disposizione mentre Mara era affiancata da alcune ragazze che erano addirittura alla prima esperienza in Europa. Non si conoscevano, non avendo mai gareggiato insieme. Ho creato un buon gruppo e le ragazze si sono rivelate molto professionali, rendendo tutto più semplice».

Qual è stato il Giro più difficile?
«Vincere un Giro è sempre molto difficile».

Il segreto delle tue vittorie?
«Nel ciclismo non ci sono segreti. Bisogna allenarsi, correre bene, avere una squadra unita che corra per un obiettivo. E se si conoscono i percorsi è ancora meglio».

Alla Diadora - Pasta Zara dovrai gestire molte campionesse, tra cui Häusler ed Abbott.
«Per me l'importante è che vinca la squadra. Una delle otto che correranno il Giro, non importa quale, basta che vinciamo noi. Strada facendo valuteremo le avversarie e il loro stato di forma. La tattica da seguire verrà da sé. Ripeto, una ragazza da sola non potrà mai vincere una corsa a tappe come il Giro».

Parlavi di avversarie.
«Avremo molte rivali, sempre le stesse, immagino. La HTC - Highroad porterà uno squadrone, con Arndt, Stevens e Neben che sono in gran forma. Anche la Vos e la sua squadra saranno ossi duri. A livello individuale Emma Pooley e Tatiana Guderzo possono essere molto pericolose. La Luperini invece potrebbe essere una sorpresa».

Mara ha corso poco nel 2011. Come s'è preparata al Giro?
«Dopo la sua caduta ad inizio Giugno ci siamo visti costretti a cambiare il programma di corse. L'importante è che possa correre il Giro. Per quanto riguarda la forma, la vedremo strada facendo. Naturalmente speriamo tutti che sia buona».

Ti piace il tracciato del Giro?
«È la corsa che mi piace più di ogni altra, è molto ben organizzata. Il tracciato è fantastico, credo che debba essere duro per differenziarsi dalle altre corse».

Dove si deciderà?
«Il Giro si decide sempre all'ultimo metro ma penso che le tre tappe di montagna, con due arrivi in salita, saranno determinanti e permetteranno di fare la differenza».

La Diadora - Pasta Zara ha un folto gruppo statunitense, spesso correte in Nord America. Com'è il ciclismo made in U.S.A.?
«Negli Stati Uniti si corre su strade molto larghe, dove la posizione in gruppo non è molto importante. Spesso si gareggia in circuiti che non offrono molto dal punto di vista tecnico. Anche per questo le statunitensi si sentono un po' perse quando iniziano a correre in Europa, soprattutto per quanto riguarda le Classiche del Nord».

Come rimediano a queste carenze tecniche?
«Loro sono molto forti ma devono imparare tanto su come si corre. Sanno lavorare molto bene, si allenano con una perseveranza incredibile. Forse noi in Europa ci mettiamo piú passione e, perché no, anche un pizzico di furbizia in più».

E il pubblico statunitense?
«È incredibile quanta gente venga alle corse! Ogni gara è una festa. Musica a volontà, cibo per tuttti, a volte mercatini e soprattutto la possibilità per i bambini di fare attività fisica. Nello stesso giorno, sullo stesso circuito, corrono uomini, donne e bambini».

Quasi impensabile in Europa.
«Al Nature Valley c'erano cinquecento bambini di cinque anni. Correvano su biciclettine a rotelle, seguiti dai genitori. Tutti con il casco, tutti con il desiderio di trascorrere una bella domenica. Nessuna velleità agonistica, solo tanta passione. Quanto dobbiamo imparare!».

Gli sponsor?
«Sponsor e media aiutano gli organizzatori. Si incrementa l'entrata degli sponsor dando a uomini e donne gli stessi premi. Ciò accade ancor più frequentemente se a capo dell'azienda sponsorizzatrice vi è una donna. Ma tutti, dalla grande compagnia al piccolo negozio, danno il loro apporto affinché la corsa, che è una festa, riesca al meglio. Ed i media aiutano la crescita del movimento diffondendo le gare in streaming, sul Web».

A proposito di tecnologia, come sarà correre un Giro senza radioline?
«Sicuramente sarà diverso dal solito. Il punto è che i maschi diventano professionisti e conoscono già molto del ciclismo, hanno tanta esperienza alle spalle. Le ragazze invece sono molto inesperte e le radioline servono anche ad insegnar loro come muoversi. L'Uci dice che devono imparare da sole ma sbaglia. Sarebbe come se i genitori non parlassero con i loro figli e le maestre non insegnassero nulla a scuola».

Quindi?
«Penso che l'UCI debba valutare meglio il ruolo del Direttore Sportivo. Senza radio i briefing pre gara saranno più lunghi perché andrà valutata ogni singola situazione di corsa. Le possibilità sono infinite».

Per non parlare della sicurezza.
«È l'altro punto nodale della questione. Spesso radiocorsa comunica all'ammiraglia che ci sono ostacoli sulla strada e noi avvisiamo le ragazze in tempo reale. Senza radioline dovremo risalire il gruppo anche solo per banali comunicazioni con le atlete e metteremo in pericolo un intero gruppo».

Non se ne esce.
«È strano, tutti gli sport cercano di progredire, invece il ciclismo regredisce con il passare degli anni. Se fosse per me farei sì che gli spettatori potessero ascoltare le comunicazioni via radio, proprio come succede in Formula Uno, anche per aumentare lo spettacolo. Penso che i corridori che sono contro le radioline non abbiano un buon Direttore Sportivo. Oppure sono quelli che non vogliono mettersi a disposizione della squadra».

A proposito di squadra, sei di Barcellona.
«E naturalmente tifo Barça! Abbiamo la stessa cultura sportiva e credo di avere un metodo di lavoro molto simile a quello di Guardiola».

Il Barcellona ha Messi, la tua squadra ha un'avversaria come la Vos.
«Marianne? È la numero uno, la Messi del ciclismo. Ma, così come Messi, non è imbattibile. Con la squadra giusta so come batterla. In passato è già accaduto».

Francesco Sulas

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