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Storie&Memorie: Quella Orvieto di 31 anni fa - La gelida vittoria di Contini, Visentini in rosa | Cicloweb

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Storie&Memorie: Quella Orvieto di 31 anni fa - La gelida vittoria di Contini, Visentini in rosa

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Silvano Contini in azioneRecentemente mi è capitato tra le mani il libretto universitario. Nonostante siano passati tanti anni, è ancora in buone condizioni. La foto in bianco e nero, in verità, sembra non appartenermi, ed anche i dati a stampa sono un po' sbiaditi. Però i timbri, i voti e le firme dei professori sono ancora perfetti.
Ho notato che, di regola, riuscivo a programmare gli esami in modo da non doverli sostenere durante il Giro d’Italia. Salvo pochissime eccezioni, infatti, nel periodo a cavallo tra metà maggio e metà giugno evitavo accuratamente gli appelli fissati in quel lasso di tempo. Solo Diritto Penale, Filosofia del Diritto e Diritto Ecclesiastico hanno "macchiato" un percorso universitario accuratamente programmato per evitare intralci all’attenta disamina del Giro d’Italia Ricordo - era il 1980 - che mi ero proposto di sostenere ben tre esami tra maggio e luglio. Il primo, Diritto E£cclesiastico, era previsto per il 20 maggio, pochi giorni dopo l’inizio del Giro che quell’anno partiva proprio da Genova. Una scocciatura non da poco che, comunque, non mi impedì di assistere al prologo a cronometro e, il giorno successivo, alla partenza dei corridori alla volta di Imperia. L’esame andò bene (mi diede trenta, il professor Gómez de Ayala) e, al pomeriggio, assistetti rilassato alla telecronaca della cronometro di Pisa , vinta da Marcussen.

Era il primo Giro di Bernard Hinault, calato in Italia con l’intenzione di farlo suo. Ci sarebbe riuscito, il campione bretone, con la fuga sullo Stelvio. Saronni avrebbe fatto incetta di traguardi parziali e Panizza avrebbe commosso l’Italia con la sua maglia rosa conquistata a trentacinque anni.

Quell’anno, poi, Claudio Ferretti ideò una curiosa iniziativa radiofonica. Il Giro d’Italia, quello vero, sarebbe stato preceduto da un giro virtuale corso al computer da otto campioni del passato (Girardengo, Binda, Bartali, Coppi, Bobet, Anquetil, Gimondi, e Merckx) che si sarebbero dati battaglia sulle stesse tappe dell’edizione dell’80.
Ogni giorno, intorno alle 14, Claudio Ferretti e Bruno Raschi commentavano le fasi di ogni tappa: fughe, passaggi in vetta ai GPM, forature e cadute rendevano, se non verosimile, quantomeno divertente la cronaca di una corsa che, alla fine, vide il successo finale di Coppi, il quale strappò la maglia rosa a Merckx nella tappa dello Stelvio. Il belga si era aggiudicato ben sette tappe, ma il computer aveva decretato che il più forte era l’atleta di Castellania.
Non mancarono neppure discussioni e polemiche, alimentate – tra gli altri - da Defilippis, Baldini e, soprattutto, da Gino Bartali che accusò il computer di essere coppiano.
Magni, escluso dalla contesa virtuale, commentava ogni giorno le tappe sulla "Rosea" e non c’era quotidiano che non dedicasse almeno un trafiletto all’evento: l’operazione "vintage", insomma, suscitò curiosità e, sulle ali della nostalgia, contribuiva ad alimentare le attese per il Giro reale.

In quell’edizione, caratterizzata dalle lacrime di Miro Panizza e dal trionfo del campione francese, ci fu anche il bel successo di Battaglin a Pecol e ci fu la terribile tappa di Orvieto, che proiettò sul palcoscenico del grande ciclismo due giovani virgulti del ciclismo nostrano - Contini e Visentini - e che fece capire che Saronni e Moser il Giro non l’avrebbero vinto.
Dopo l’inedita tappa dell’isola d’Elba, infatti, il Giro affrontò la quinta frazione, che da Castiglione della Pescaia avrebbe portato la carovana nella città del Duomo. Un percorso di 199 chilometri sul quale spiccava a metà corsa la mole del Monte Amiata e caratterizzato, nella seconda parte, da continui saliscendi. Una tappa che sulla carta si prestava a fughe di comprimari ma che le condizioni del tempo l’avrebbero resa particolarmente difficile e combattuta.

Già alla partenza, infatti, piove e i primi sessanta minuti vengono percorsi ad una media quasi cicloturistica. I girini pedalano a trenta all’ora sulle strade allagate dall’acqua del Grossetano. Cinque atleti non si lasciano scoraggiare dal tempo inclemente e prendono il largo: Tosoni, Bertacco, Noris, Antonini e Bernadeau allungano e ad Arcidosso hanno un vantaggio di quasi cinque minuti sul plotone. Il monte Amiata accoglie i corridori nella nebbia: di quella spessa, del peggiore inverno padano. Continua a piovere e fa freddo, in quota c’è anche la neve ai lati della strada e c’è chi registra una temperatura di tre gradi. I girini preferirebbero deviare verso una delle tante località termali della zona, tuffarsi magari nelle acque di Bagno Vignoni, ma bisogna proseguire su quella salita dura, resa tremenda dalle condizioni del tempo.
Non è il Bondone del ‘56, certamente, ma distinguere i ciclisti sulla salita è un esercizio difficile per i pur numerosi tifosi presenti, così come arduo è immaginare l’evolversi della situazione.
In vetta, a 1420 metri di quota, transita per primo Bernadeau, che ha staccato i compagni di fuga. Contini e Visentini hanno allungato e passano a poco più di due minuti. Hinault, più staccato, è a 2’25".
La discesa su Abbadia San Salvadore è un continuo gioco di equilibrio ed il freddo diventa insostenibile. A Piancastagnaio Bernadeau è raggiunto da chi ha saputo cavarsela meglio , limando le curve e stringendo i denti. Arroyo, Fernandez, Contini, Hinault e Bertini raggiungono Bernadeau e, in breve tempo racimolano un vantaggio di trentacinque secondi su Saronni, Moser e gli altri i quali, grazie ad un tenace inseguimento, riescono in qualche modo a porre rimedio alla situazione.
Poi, tra i continui saliscendi che caratterizzano le fasi finali della tappa, la situazione muta un’altra volta. Si avvantaggiano sei uomini (Panizza, Chinetti, De Witte, Fernandez, Bertini e Tommy Prim) ai quali si aggiunge un altro manipolo di coraggiosi formato da Battaglin, Contini, Ruperez, Visentini, Schmutz, Natale, Corti e Arroyo. Mancano venti chilometri alla fine e Hinault pare abbia tirato i remi in barca, cosi come Saronni e Moser, che lo marcano stretto.

Sull’ultima salita il gruppetto si sfalda e sei ore abbondanti passate sotto la pioggia incessante lasciano il segno. I due spagnoli sembrano averne di più ma Contini rintuzza la loro azione e sul traguardo di Piazza Cahen (una distesa di ombrelli aperti, quel pomeriggio) precede di un soffio Fernández e Faustino Ruperez, fresco vincitore della Vuelta, di cinque secondi. Battaglin - che la pioggia non l’ha mai amata - arriva a undici secondi insieme a Visentini.
Bisogna aspettare più di quattro minuti per vedere Hinault e gli altri sotto lo striscione ed avere la conferma che proprio il bresciano Visentini è la nuova maglia rosa. Nel giorno del gran freddo ci sono conferme (Contini non teme l’acqua, l’aveva gia dimostrato al Giro di Lombardia dell’anno precedente) e sorprese positive (Visentini, che sembrava un figlio di papà allevato nella bambagia, ha dimostrato di saper soffrire).
Battaglin, che ha sempre amato il sole, è andato addirittura all’avanscoperta e per un giorno non ha temuto la bronchite. Moser, invece, in una giornata che sembrava fatta per esaltare le sue doti, ha sofferto il freddo nella discesa dell’Amiata e le sue dichiarazioni sul palco sono la prova che i corridori hanno dovuto affrontare un’esperienza terribile, ancor più di quello che lasciavano vedere le (poche) immagini trasmesse dalla televisione. L’ultimo arrivato fa registrare un ritardo di oltre trentaquattro minuti dal vincitore: nemmeno nella tappa dello Stelvio ci sarebbe stato un distacco così rilevante.

E in quella discesa dell’Amiata, dove bisognava indovinare le traiettorie delle curve, si è rischiato grosso. Non accadde nulla per fortuna, ma qualcuno fece rimbalzare la voce che un mezzo della Magniflex con tre persone a bordo era finito in un burrone, provocando minuti di panico sul traguardo di Orvieto prima che arrivasse la conferma che nessun incidente aveva funestato quella difficile fase della corsa.

Il Giro sarebbe ripartito l’indomani per Fiuggi e il sogno rosa di Visentini si sarebbe infranto sulla salita di Roccaraso. Chi si era illuso pensando che Hinault fosse stato intimorito dal freddo e dall’acqua dell’Amiata (proprio lui che il mese prima aveva dominato una Liegi sotto la neve!) si sarebbe dovuto ricredere. La tappa di Orvieto non entrò negli annali del Giro (in fondo non era successo niente di che) ma se chiedessimo oggi a Francesco Moser di ricordare la tappa in cui aveva patito più freddo, non avrebbe dubbi nell’indicare quella frazione come la peggiore della sua lunga carriera.

E che fosse una tappa per uomini duri l’aveva "intuito" anche il computer: nel Giro virtuale di Ferretti e Raschi la frazione di Orvieto l’aveva vinta Ginettaccio.

Mario Silvano

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