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L'intervista: «Mi piace il pavé, sogno la Freccia» - Elisa Longo Borghini si racconta

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Elisa Longo Borghini impegnata sul Muro di Huy © Dimitri BruynsteenCome una bella magnolia è sbocciata a fine Febbraio, sotto la pioggia belga, sopra al pavé dell'Omloop Het Nieuwsblad. Convinta e determinata «altrimenti non andrei a fondo in tutto ciò che faccio». Sapeva di essere forte, forse non così tanto o forse sì, chi può dirlo.
Elisa Longo Borghini, nata il 10 Dicembre 1991, è una ragazza che ama scherzare ma al contempo esibisce la maturità di chi sa bene ciò che vuole («ho ben chiari i miei obiettivi»). È sorella minore di Paolo, professionista della Liquigas, a cui rischia di rubare la scena, anche se «è lui il più celebre in famiglia. Per età, per la sua carriera e per la squadra in cui corre».

Ci apre le porte del suo mondo all'indomani del fine settimana di gare in Lussemburgo. Non vi ha preso parte, la sua concentrazione infatti era tutta rivolta all'esame di Filosofia del 2 Maggio, un lunedì. «Per domani la vedo grigia, più ripasso e più mi accorgo di non saperne», diceva alla vigilia. Tornerà a casa con un bel trenta.
All'Università come in bici, Elisa. Si butta sui libri, dà il massimo, quindi pedala e studia dalle Campionesse, cercando di trarre più insegnamenti possibile. Viene da Ornavasso, Val d'Ossola, da una famiglia di atleti. La sua storia non poteva che essere scritta nel libro dello sport.

«In genere il destino si apposta dietro l'angolo, come un borsaiolo, una prostituta o un venditore di biglietti della lotteria, le sue incarnazioni più frequenti. Ma non fa mai visita a domicilio. Bisogna andare a cercarlo», scrive Carlos Ruiz Zafón ne L'ombra del vento. Elisa è andata a cercarlo sotto forma di velocipede, il suo destino. E pare che, pur essendo soltanto al primo anno tra le élite, l'abbia già trovato.

Hai iniziato con il piede giusto.
«Ho provato un'emozione unica a prendere parte all'Het Nieuwsblad, la mia prima gara da élite, ed andare in fuga con un'atleta come Emma Johansson. Lei chiedeva i cambi a me, che l'avevo vista conquistare il bronzo Olimpico nel 2008. O era arrivata seconda?»

I dubbi che non vengono durante un esame universitario sopraggiungono al momento di ricordare un piazzamento. Elisa si corregge rapidamente, veloce come una Lamborghini. Non per nulla il suo soprannome in casa Top Girls è "Lambo", «anche se le ragazze, dopo la campagna del Nord, mi chiamano Margherita, il mio secondo nome. Mi prendono un po' in giro».

Emma Johansson fu argento a Beijing.
«Eh già, altrimenti non sarebbe lei. Sempre seconda, terza, seconda... Mi ha fatto fare un sacco di fatica, è una grandissima atleta».

Tornando all'Het Nieuwsblad.
«Dicevamo, siamo andate via prima noi due, io e la Johansson. Poi si sono aggiunte atlete del calibro di Loes Gunnewijk, Chantal Blaak, Andrea Bosman ed in un primo momento c'era anche la Verbeke, che però sul pavé ha rotto il freno e così s'è staccata».

Quindi?
«Sul primo tratto in pavé ho fatto un po' la spavalda e mi sono messa dietro alla Johansson, così in seguito ci siamo trovate con 50" di vantaggio sulle altre. Sono rientrate e nell'ultimo settore in pavé mi sono staccata da loro». 

Arriva un quinto posto.
«Dopo che mi sono sfilata ho inseguito per una ventina di chilometri da sola, non avevo altra scelta. Non avrei mollato per nessuna ragione al mondo. Dopo il ricongiungimento ho provato anche a disputare la volata ma avevo proprio finito le forze. Ho concluso quinta e felice».

Com'è stato accolto il tuo esordio?
«Quasi quasi non ci credevano nemmeno i miei genitori! Anche mio fratello Paolo, che pure si era allenato con me, ha detto che sapeva che ero forte ma non così tanto. Gli zii, che vivono al piano sotto di noi, erano molto felici. Solo papà Ferdinando, il mio consigliere, è venuto da me e ha detto: "Guarda che io ci credevo..."».

Elisa Longo Borghini in azione al Trofeo Binda © Davide RonconiAltro week end, altra gara.
«Sì, l'Omloop van Het Hageland. Come squadra l'abbiamo gestita male, siamo rientrate sul primo gruppo troppo tardi ma nella volata ho concluso decima. È stata comunque una grande conferma per me».

Quindi l'esordio in Italia.
«A Vaiano, Trofeo Vannucci. Ho concluso terza ma la volata è stata strana. Premetto: allo sprint non sono brava, anzi, sono proprio lenta. Siamo arrivate ai 500 metri e la volata è stata lanciata lunghissima. Strada stretta, qualche curva e tanta pioggia. Praticamente abbiamo disputato lo sprint in barca a remi. Una volata diversa dalle solite ma le mie sensazioni erano ottime».

Preferisci gareggiare con il caldo o con la pioggia?
«A me non piace per nulla il caldo, infatti mi vedo proprio bene per il Giro d'Italia... Corro delle belle gare quando fa fresco, non amo particolarmente la pioggia, però anche sul bagnato ottengo dei buoni risultati».

E il pavé?
«Il primo impatto, nonostante l'inesperienza, è stato molto buono. Escluso il Fiandre, dove non sono stata bene, avendo avuto problemi di stomaco, mi sono sempre trovata a mio agio».

A Cittiglio invece eri molto tesa.
«È un classico agitarmi per le gare, in maniera anche esagerata, lo ammetto. A quaranta minuti dal via non capisco più niente, lascio da tutte le parti i vestiti, il casco e per questo in squadra mi prendono in giro». 

Concentrazione al massimo.
«La serietà a Cittiglio è stata tanta. Era la prima di Coppa del Mondo e si iniziava a vedere quale sarebbe stato l'andazzo della stagione. Non è da noi prendere le corse alla leggera ma in questa gara eravamo particolarmente concentrate. Elena (Berlato, ndr) sapeva di poter far bene e infatti così è stato».

Ti aspettavi di arrivare con il primo gruppo?
«Onestamente sì. Meglio, pensavo, o più che altro speravo, di fare bene. Sono caduta sulla Grantola e ci sono rimasta molto male perché ero nel primo gruppo. Una volta rientrata con il secondo gruppo, al primo passaggio da Cittiglio sono uscita, riportandomi sulle migliori. Alla lunga ho pagato quest'enorme sforzo e sull'ultima salita sono rimasta con una gamba su ed una giù, come si dice».

Un gran numero.
«La forma c'era, altrimenti non sarei riuscita a rientrare sul primo gruppo da sola. Personalmente, come gratificazione, mi aspettavo di rimanere lì con le prime anche per poter dare una mano alla Berlato nel finale. Il bilancio è più che positivo comunque».

Inizia la Campagna del Nord, Belgio e Olanda.
«Al Fiandre stavo poco bene. In Olanda la Drentse 8 era una corsa piatta e non adatta alle mie caratteristiche. Il Van Drenthe invece è stata una bella gara. Mi è piaciuta soprattutto perché c'era il mio amato pavé. Tre tratti di ciottoli tipo centro storico, solo che là hanno un diametro di venti centimetri. E poi c'era la salita del VAM Berg, quella sopra la discarica».

Miglior giovane e terza italiana, a fine corsa.
«Sul pavé ero sempre tra le prime e ad un certo punto mi sono trovata anche in testa. Dopo ho avuto un po' di difficoltà a districarmi in quelle strade così strette. Sono rimasta indietro ed ho attaccato il primo VAM Berg nelle retrovie. Sull'ultima ascesa invece sono stata davanti e mi sono riportata su Johansson, Vos, Wild e Bras, le quattro atlete che si erano avvantaggiate. Scatti e controscatti in pianura, poi c'è stata la volata».

Elisa Longo Borghini con le compagne di squadraE quando si arriva in volata...
«La Longo Borghini non la fa!»

In compenso tenti spesso la fuga.
«Mi piace provarci ogni tanto, quando posso permettermelo. Non lo faccio spesso, soprattutto ora, ma nelle categorie giovanili andavo molto di frequente in fuga».

Potresti correre le cronometro.
«In realtà non mi sono mai piaciute, le trovo noiose. Preferisco di gran lunga le gare in linea, l'adrenalina che ti dà il testa a testa, lo scontro diretto con le avversarie. Però in fururo potrei pensare di esercitarmi nelle crono, chissà».

Cosa cambia tra le categorie minori e le élite?
«Questo è un altro mondo. Ritmo diverso, più elevato. Lo stacco dalle Juniores alle élite è quasi eccessivo perché qui i chilometraggi sono decisamente più elevati e le difficoltà molto maggiori. Gran parte di noi giovani potrebbero non farcela, o impiegare molto tempo ad ottenere dei risultati, e magari nel frattempo demoralizzarsi e mollare tutto. Può succedere». 

Come immaginavi il passaggio?
«Me l'aspettavo esattamente così com'è. Sapevo che non era da prendere sotto gamba ma io non sono solita prendere sotto gamba i miei impegni sportivi. È tutto diverso, tutto più bello. Insomma, una figata!» 

Cosa ti piace di più?
«I dettagli, le stupidate. Per esempio, quando ti giri e vedi dietro di te un sacco di ammiraglie. Per non parlarte della gente a bordo strada, specialmente in Belgio e Olanda. Il Grammont, poi... Non mi sono accorta di averlo scalato solo perché c'era il pubblico ad incitarmi. Avevo la pelle d'oca! I valloni ed i fiamminghi ti riconoscono, ti chiedono l'autografo e con i loro incoraggiamenti trasmettono una carica enorme. È una sensazione veramente meravigliosa».

Vieni da una famiglia di sportivi.
«I miei genitori hanno sempre sciato. Mia madre atleta, mio padre tecnico dell'Italia. A me invece lo sci non piace proprio. Hanno provato a farmi gareggiare, me la cavavo anche piuttosto bene. Poi sono passata alle campestri, infine al ciclismo, seguendo a ruota mio fratello».

Mamma Guidina ti ha dato il motore.
«Sì, Guidina Dal Sasso. È stata una fondista, ma sugli sci. È nata ad Asiago, ha disputato anche tre Olimpiadi: Sarajevo '84, Calgary '88, Lillehammer '94. Inoltre ha gareggiato in molti Mondiali e nelle varie prove di Coppa del Mondo. Mio padre, Ferdinando, era un tecnico della Nazionale. Si sono conosciuti lì, in Nazionale».

Tuo fratello ti ha portata verso il ciclismo.
«Mica tanto. Da piccolina vedevo Paolo alle gare. Mi è sempre piaciuto il ciclismo ed avrei voluto iniziare già a sette anni. Però Paolo e mia madre non erano d'accordo, ero troppo piccola ed avrei fatto un sacco di fatica».

Ma tu eri determinata.
«Sì, mi ero innamorata del ciclismo ed avevo un valido supporto, mio padre. Lui stava dalla mia parte, voleva che iniziassi a correre. Così a nove anni mi sono iscritta al Pedale Ossolano».

Elisa con il fratello Paolo © Archivio fotografico personaleLa prima bici.
«Era tutta gialla, di un giallo canarino. C'era scritto "La Tella" sul telaio ma non so se fosse una marca o meno, perché in seguito non ho più visto un nome simile su una bicicletta. Aveva le leve del cambio sul telaio. La divisa del Pedale Ossolano, rosa e blu, era bellissima».

La prima gara.
«La ricordo benissimo, prima domenica d'Aprile del 2000. Si correva a Pallanzeno, non lontano da Ornavasso. Categoria Giovanissimi, c'era anche uno strappetto da affrontare. Arrivai quarta contro i maschi, prima tra le femmine. Ero tutta contenta e dopo la corsa andai a festeggiare con un bel gelato».

Altre soddisfazioni nelle categorie minori?
«Le soddisfazioni sono tante. È stato fantastico esser tornata a correre nel 2009, dopo un anno di stop per un'operazione all'anca. Rientrai come Junior second'anno, fu una stagione molto bella. Ogni risultato era una soddisfazione. Da Under 21 ho avuto la gioia della prima vittoria dopo lo stop». 

Racconta.
«Era il 2010, gara a Buttrio. Tanti giri in piano ed alla fine una salita da ripetere due volte. Sono partita sul primo strappo ed ho concluso in solitaria gli ultimi chilometri».

Hai già capito che tipo di corridore sei?
«No, non ancora almeno. L'unica certezza che ho è che in discesa non ho per niente paura. Al Nord mi sono trovata bene sul pavé ma mi piacciono anche le salite mediamente lunghe. Però so con certezza che non sarò mai competitiva su pendenze importanti. Ad esempio, quest'anno al Giro cercherò di limitare i danni ed aiutare le mie compagne negli arrivi più importanti».

A proposito di Giro, cos'hai pensato vedendone il tracciato?
«Credo che sia una frase irripetibile... Ad ogni modo, ho visto che il percorso è durissimo. È il mio primo Giro, sono emozionata come fosse la prima gara e non vedo l'ora di iniziare a correrlo. Andrò lì e tutto quello che arriverà sarà ben accetto. C'è qualche tappa interessante e adatta a me, penso a quella di Fermo. Mi ricorda il Nord per via del pavé. Inoltre ai Muri Fermani ho già fatto sesta nel 2010. Se potrò godere di libertà cercherò di stare davanti nelle tappe più mosse. Non punto ad una vittoria, ancora non ne sono in grado, ma confido in qualche piazzamento, quello sì».

Consapevole e determinata.
«Sono molto ostinata. Credo nel lavoro, credo che possa dare i suoi frutti. Ho già ottenuto qualcosa in questi primi mesi e nei prossimi anni spero di raccogliere il resto di quanto sto seminando. Il ciclismo è una scuola di vita, ti insegna a non mollare mai ed a puntare sempre verso il traguardo. Ed io ho ben chiara la mia meta».

Gareggi da febbraio. Staccherai un po' adesso.
«Fino al 30 Maggio sarò in ritiro a Livigno con la squadra. Perciò sono in fase di preparazione valigie. In questo sono scandalosa, dimenticherò sicuramente qualcosa a casa. Riprenderemo con le corse in Spagna, quindi Giro del Trentino, Campionati Italiani, se verranno disputati, e Giro d'Italia. Nel mentre cercherò di studiare e preparare altri due esami che vorrei sostenere: Spagnolo il 21 Giugno e Letteratura italiana il 28 Giugno».

Ciclista e studentessa.
«Frequento l'Università dell'Insubria a Varese, Scienze della Comunicazione. Allenarsi e studiare è impegnativo e faticoso, però quando si smette di correre non sempre si trova lavoro nel ciclismo. Inoltre lo studio mi è sempre piaciuto. Frequentare le lezioni è importantissimo ed io non posso essere sempre presente. L'organizzazione è alla base di tutto. All'Università ho stretto alcune amicizie che sono preziose anche per avere alcuni appunti o per sapere cos'ha detto il Prof. alle lezioni a cui non ero presente». 

Risultati?
«Sino ad ora ho dato due esami: Storia dell'arte, in cui ho preso ventotto, e stamane Filosofia, trenta. È molto dura ma sono contenta. Oggi, tra l'altro, ho dimenticato il libretto a casa. Il Prof. di Filosofia non l'ha presa benissimo quando gliel'ho detto...».

Sei recidiva.
«Ebbene sì. In squadra mi prendono in giro perché spesso ho la testa fra le nuvole. È successo questo: dopo il Van Drenthe ho dimenticato i libri di Filosofia in ammiraglia. Li ho lasciati lì il 21 aprile e li ho ripresi il 25, al Liberazione. Nel frattempo, per la fifa che avevo addosso, in un giorno e mezzo mi sono studiata un altro libro di centodieci pagine»

Se non avessi fatto la ciclista?
«Sarei andata a mediazione linguistica e lingue orientali. Però ora sto pedalando e non ho potuto prendere quella direzione, l'impegno richiesto sarebbe stato troppo gravoso. Se non avessi iniziato con il ciclismo avrei corso a piedi o mi sarei buttata in un altro sport, ne sono certa. Comunque corro in bici e il problema non si pone»

Prime impressioni da "orsetta".
«La Top Girls è un'ottima squadra, mi trovo veramente bene. L'ambiente è sano sotto ogni punto di vista. Il gruppo unito e forte, elemento fondamentale per un team. Man mano che conosco le mie compagne stiamo sempre meglio insieme. Mi trovo a mio agio con tutte, sono una meglio dell'altra. Sto bene con tutte. Come dice sempre Lucio Rigato, non bisogna creare un clan ma un gruppo. Una frase che avrebbe fatto impallidire Heidegger...».

E Ornavasso?
«È un paese di tremila anime. Ricorda per certi versi la provincia cantata spesso da un cantante che adoro, Luciano Ligabue. Per esempio, la sua "Piccola città eterna" potrebbe essere benissimo Ornavasso. Ha il suo bar, che non è il Bar Mario ma ci si avvicina molto, e tutto il resto. È bello, mi trovo bene, tutti i miei amici sono lì e non lo cambierei con nessun altro posto al mondo».

Cosa ti piace di più?
«Vivi con tremila persone che conosci una ad una, che saluti quando esci di casa, che ti chiedono come sono andate le corse e ti incoraggiano. Sì, la mentalità provinciale c'è, per certi versi. Forse non siamo molto aperti mentalmente perché ci circondano le montagne e non riusciamo a vedere quello che c'è oltre. Di Ornavasso mi piace tutto. Dalla vita che vi si conduce al fatto che siamo sempre in festa».

Quando non pedali né studi?
«Faccio quello che fa ogni ragazza di 19 anni nel tempo libero, anche se ne ho ben poco. Esco con gli amici, quelli veri, che nella vita sono pochi. Ho delle splendide amiche e dei buoni amici con cui mi trovo davvero bene. Per il fidanzato, aspetto che si faccia avanti lui... Inoltre amo leggere, scrivere e fare shopping».

Letture?
«Molte e variegate, prediligo i romanzi. Il mio scrittore preferito è Carlos Ruiz Zafón. Lui mi piace sopra ogni cosa; riesce ad essere a tratti ironico, a tratti serio ed il risultato dei suoi lavori è sempre ottimo».

Anche tu scrivi.
«Annoto quello che vedo quando viaggio e poi lo confronto con casa mia, con Ornavasso. Una sorta di piccolo diario, insomma. E poi scrivo impressioni, stati d'animo. È molto utile per capire meglio me stessa e le persone che mi circondano. Mi piace studiare le persone. Invece alle elementari ero brava a comporre racconti».

Elisa stremata dopo l'arrivo dell'Het Nieuwsblad © Bart HazenLe note liete nel tuo iPod.
«Mi piacciono i Coldplay, i Muse, Bruce Springsteen, i Led Zeppelin, i Rolling Stones, Ligabue e David Bowie. Un po' di tutto, insomma. Le mie canzoni preferite, quelle da riscaldamento, per intenderci, possono essere "Highway to hell" o "You shook me all night long", dipende dal momento. Mi piacciono molto anche gli Aertzte, un gruppo tedesco che suona un bel rock e che consiglio».

Massima sincerità: ti aspettavi un inizio di stagione simile?
«Non mi aspettavo di partire così bene. Sono molto contenta, finora è stata una stagione più che positiva, spero che possa durare per tutto l'anno. Non credo che ci saranno grandi acuti, anzi. Sono giovane, non mi conosco ancora molto bene e tutto quello che arriverà sarà ben accetto».

La gara dei sogni.
«Eh, ormai è passata, proverò a vincerla nel 2012».

Per caso si chiama Freccia Vallone?
«Già, è questa la gara dei miei sogni. Le emozioni provate lì sono state fantastiche. Avevo il compito di aiutare la Berlato, l'ho fatto bene e sono contenta del mio operato. Ad Elena è mancato il podio però se lo sarebbe meritato tutto. Tutta la squadra ha svolto un lavoro eccezionale per portare me e lei nelle condizioni migliori per giocarcela. Alle mie compagne devo dire solo un enorme grazie». 

La tua corsa com'è andata?
«Dopo l'ultima côte si sono avvantaggiate la Vos e la Zabelinskaya. Ho tirato per ricucire ed ai -2 dall'arrivo le abbiamo riprese. Ho portato Elena sotto al Muro di Huy, mettendola nelle posizioni migliori. E poi è andata bene, mi sono piazzata quattordicesima. Alla fine del Muro, vedendo che mancavano 500 metri, ho aumentato il ritmo. Ho pagato quest'accelerazione ai 200 metri ma per adesso va bene così. Insomma, chi non ha mai fatto un fuorigiri sul Muro dui Huy?». 

Come ti è sembrato?
«È durissimo, però quanta gente e che emozione! Correvo in concomitanza con mio fratello, ci siamo anche incrociati. È stato molto emozionante. All'arrivo poi, quando senti pronunciare il tuo nome, provi una sensazione unica. Tornerò l'anno prossimo per provare a cogliere un risultato migliore».

Chi è il tuo modello?
«Paolo è un esempio per me, sia per quanto riguarda le corse che per la vita di tutti i giorni. Mi ha sempre sostenuta, specie nei momenti difficili, ed è prodigo di consigli preziosi. Un altro personaggio esemplare per me è Rosa Luxemburg».

Perché proprio lei?
«Beh, perché una donna che fa politica, esprimendo pareri sulla società e sul Mondo, non era un fenomeno molto comune nell'Ottocento. Una gran donna, insomma».

Francesco Sulas

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