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L'intervista: Ulissi e il viaggio più affascinante - «Al Giro non potremo distrarci un attimo»

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Diego Ulissi impegnato nel recente Giro dell'Appennino © BettiniphotoSe c'è un nome che non manca mai quando si fanno elenchi più o meno sommari dei giovani più promettenti del movimento italiano, è quello di Diego Ulissi. Nato a Cecina nel 1989, a luglio compirà 22 anni e si accinge a prendere parte al suo primo Giro d'Italia, in una delle squadre che saranno maggiormente impegnate nelle dinamiche della corsa rosa, la Lampre-ISD.

Quando lo sentiamo telefonicamente, è già totalmente calato nella grande esperienza che sta per vivere: «Sto finendo di preparare la valigia, domani partiamo alla volta di Torino, dove nei prossimi giorni proveremo ripetutamente la cronosquadre, e finalizzeremo tutto il lavoro di preparazione che abbiamo svolto fin qui».

Inutile chiederti con quali sentimenti ti accosti al Giro...
«È una grande emozione, lo guardavo in tv e adesso sarò al via, stento ancora a crederci».

Quale sarà il tuo ruolo nella corsa rosa?
«Parto per fare esperienza, sono ancora molto giovane e ho tutto da imparare. Sarò al fianco dei capitani, lavorerò quando sarò chiamato a farlo, spero di essere utile alla causa comune, comunque vivrò la corsa con grande tranquillità, visto che non ci si aspetta da me il risultato».

E magari ti capiterà di andare in fuga: hai pensato a una tappa in particolare, per farti vedere?
«A dire la verità, non ci penso, poi se verrà il mio turno di muovermi, cercherò di essermi, e magari sfruttare nel finale ogni occasione che mi si dovesse presentare. Certo, so già che non sarà per niente facile».

Come il Giro in sé, peraltro: guardando le altimetrie, avrai pensato "ma proprio su un percorso così duro dovevo esordire?".
«Esatto, mi son detto proprio questo. Ma già nelle classiche in cui ho esordito quest'anno è capitato: qua una salita nuova da affrontare, là 20 km in più... Aspettano tutti me! Scherzi a parte, già nelle prime tappe, quelle all'apparenza più semplici, dovremo tenere gli occhi aperti forse più che sulle grandi montagne, visto che c'è sempre uno strappetto su cui può succedere qualcosa di imprevisto. Per dire, nella tappa di Livorno, a 10 km dal traguardo si farà una rampa di un chilometro e mezzo al 19-20% di pendenza: non ci si potrà mai distrarre, insomma. Poi le salite, già nella prima settimana Montevergine e l'Etna (che noi conosciamo a memoria, visto che ci siamo stati in ritiro), poi quel finale che non darà fiato».

Quindi conti di finire il Giro, contrariamente a quanto fanno molti esordienti, che programmano un ritiro "tattico" a metà gara.
«Sì, ci proverò, è comunque nelle mie previsioni di finirlo. Penso che, se affrontato in maniera intelligente, non sia impossibile da portare a termine. Poi farò un bel periodo di riposo per preparare il finale di stagione».

Come vedi Scarponi? Può veramente impensierire Contador?
«Sin dall'inverno Michele sta preparando al meglio questo Giro. L'ho visto veramente forte, al Trentino era appena reduce da un periodo di allenamenti in altura, e quindi non era certo al top, eppure è riuscito lo stesso a chiudere al primo posto. Perciò sono fiducioso, mi auguro che possa realmente mettere in difficoltà Contador, e penso che almeno un posto sul podio sia ampiamente alla sua portata».

Sarà una responsabilità in più, quella di dover supportare un capitano che lotta per la classifica generale.
«Io lo vedo come un punto a favore per me, per un giovane che ha la possibilità di correre vicino a un campione e di imparare tanto, di capire certe cose della corsa. Sì, è una responsabilità, ma in squadra siamo in 4-5 a poter aiutare Scarponi in salita, ciò mi tranquillizza tanto, perché se un giorno non avrò la gamba per stare vicino al capitano, ci saranno i miei compagni a poter lavorare».

E tra l'altro non ci sarà solo Scarponi da aiutare, visto che anche Petacchi avrà bisogno di voi: come reggerete?
«Ale ha deciso di fare il Giro, e sicuramente nelle tappe più facili vorrà far bene ed essere protagonista. Siamo pronti a dare una mano, è un grande compagno e capitano, e merita tutto il nostro rispetto. Certo, dovremo essere bravi a non abbassare mai la guardia, sia nella lotta per i successi di giornata che in quella per la classifica».

Com'è la situazione interna alla Lampre? C'è ancora tensione per l'inchiesta antidoping che ha coinvolto la squadra?
«No, nessuna tensione, sia gli atleti che i dirigenti sono concentrati sull'appuntamento più importante della stagione. Siamo tranquilli, figurarsi, certe cose ora neanche ci toccano».

Poi ora è arrivato anche Roberto Damiani, nuovo direttore sportivo del team: avete già notato qualche novità?
«A me fa molto piacere che sia arrivato, l'ho conosciuto e ho subito capito che tipo di persona è. Sarà una grande pedina per la squadra, sono molto felice per il suo arrivo».

Dicevamo della cronosquadre: alla Coppi e Bartali avete portato a casa un secondo posto in questa specialità, da allora l'avete più provata o avete demandato tutto a questi giorni di vigilia?
«Proveremo in questi giorni tutti i meccanismi. Ci mancherà uno specialista come Malori, che purtroppo non farà il Giro, ma devo dire che io, Hondo, Petacchi, lo stesso Scarponi, ci difendiamo bene a cronometro, quindi sono fiducioso che possa venir fuori una buona cronosquadre. Il nostro obiettivo sarà perdere il meno possibile dalle squadre dei più forti, come Saxo Bank o Liquigas».

Lì alla Coppi e Bartali che Ulissi abbiamo visto? Il secondo posto finale è un anticipo di quello che potrà essere magari in corse a tappe più importanti?
«Quando sono passato professionista mi son dato 2-3 anni per capire che corridore sono e che dimensione potrò avere. Già nel 2010 ho ottenuto discreti risultati, e sì, devo dire che mi piacciono di più le corse a tappe rispetto alle gare di un giorno. Sono anche cosciente che per far bene nei GT ci vuol tempo e pazienza, una grande e necessaria maturazione prima di poter essere efficaci in un Giro. Nel frattempo, nulla impedisce di ottenere buoni risultati in giri più corti, ed è quello che penso di fare in questi primi anni da pro'».

Alla Parigi-Nizza intanto hai anche fatto una bella esperienza confrontandoti con una startlist più internazionale di quelle che solitamente ci sono nelle corse italiane.
«Anche quella è stata una prima esperienza, i ritmi erano altissimi e ci ho messo un po' di giorni prima di capire dov'ero finito... Poi però nell'ultima tappa sono andato molto forte, anche se ho trovato un Thomas Voeckler in stato di grazia, che ha fatto valere la sua maggiore esperienza nei miei confronti, e mi ha attaccato in un momento in cui mi ero distratto. Ma magari avrei perso lo stesso in volata, visto che in quel periodo Voeckler era al massimo. Comunque quel secondo posto è un risultato che mi ha dato grande soddisfazione».

I due Mondiali che hai vinto da juniores hanno ancora un peso, ora che sei pro', oppure una volta fatto il salto di categoria non sono più così importanti?
«Per quanto mi riguarda, quei due titoli li ho già scordati. Certo, sono bellissime emozioni che mi porto dentro, ma devo guardare avanti, quello del professionismo è un mondo diverso in cui io non sono quello che ha vinto due Mondiali juniores, ma un giovane che - come tanti altri in gruppo - sta facendo esperienza».

Tu sei quasi una figura paradigmatica della grande professionalizzazione che ha investito in questi ultimi anni le categorie giovanili, a partire dagli juniores.
«Sì, adesso si tende in effetti a professionalizzare maggiormente la categoria juniores, le squadre più grosse si avvicinano al professionismo, poi dipende sempre dal corridore: se resta umile non avrà problemi al passaggio, altrimenti i ciclisti più esperti te le fanno scontare tutte».

Ma trovi giusto che ci sia questa tendenza, che potremmo anche definire esasperazione? Non si rischia di spremere - se non altro mentalmente - i corridori sin da prima del professionismo?
«No, non è giusto, e il rischio c'è davvero. Specialmente tra i dilettanti le corse sono tantissime, ce ne sono ogni sabato e domenica, e poi il martedì, e poi la stagione delle corse a tappe... Troppo stressante come categoria, poi naturalmente le squadre vogliono risultati, sì, mentalmente è un po' stressante. Tra gli juniores molto meno, il peggio è davvero il mondo dei dilettanti. Da parte mia ho avuto la fortuna - chiamiamola così - di essere quasi sempre malato nei due anni da Under 23, quindi in pratica sono arrivato al professionismo fresco e pieno di stimoli e di voglia di far bene».

Vieni da una zona calda per il ciclismo, basti il nome di Paolo Bettini per capire di cosa parliamo: quanto ha pesato ciò in termini di pressioni?
«Zero, no, veramente nessuna pressione. Bettini lo considero per quello che è, un grande campione e un punto di riferimento a cui ispirarsi. Se poi diventerò un buon gregario, o un corridore vincente, non lo so ancora. Di sicuro però tutto si sta svolgendo con grande serenità da parte mia e dell'ambiente che mi circonda».

Che differenze hai notato tra il primo e il secondo anno da professionista?
«Mi sento più... più... beh, un anno sembra niente, eppure già impari e capisci tante cose. Nel 2010 fino a giugno, al Giro di Svizzera, non riuscii a mettere mai la testa davanti in gruppo, poi nella seconda parte di stagione le cose sono nettamente migliorate. E quest'anno va ancora meglio, sin da subito sono riuscito a esprimermi con una buona continuità, un risultato dovuto proprio anche a un primo anno fatto con tranquillità».

Hai fatto qualche allenamento specifico per la discesa, che è un tuo punto debole?
«Quando abbiamo fatto il ritiro in altura, Petacchi mi ha dato qualche dritta. Dovrò essere bravo a mettere in pratica i consigli, invece all'Amstel, per dire, sono arrivato troppo forte in una curva e sono scivolato. Ma comunque l'ho già detto prima, devo ancora fare tanta esperienza su molti fronti, e alla fine spero che unendo tutti i puntini venga fuori un corridore vero».

Un messaggio, in chiusura, per i tanti tifosi e appassionati che ti seguono con curiosità.
«Seguitemi al Giro, la mia prima esperienza in una grande gara a tappe e una grossa emozione per me. Cercherò di regalare qualche momento bello, almeno fin dove arriverò, poi ci penserà Scarponi... Avrò comunque modo di imparare tanto, e se son rose, fioriranno!».

Marco Grassi

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