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L'intervista: Guardiamo dentro Guardini - «Pista importante. Al Giro? Difficile»

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Andrea Guardini sorridente © Cicloweb.itA guardare i suoi quadricipiti e i suoi polpacci sembra di trovarsi di fronte ad un quadro di Michelangelo. Quei muscoli che Leonardo ironicamente definiva "sacchi di noci", tanto erano scolpiti sotto la pelle. Il volto invece è raffaelliano, rassicurante, con il sorriso da bambino che frequentemente fa capolino tra le guanciotte paffutelle. Andrea Guardini è un ragazzo di ventun anni ma con la testa già ben piantata sulle spalle, un leader nato che pretende la lealtà dei propri compagni ma che non fatica ad assumersi le proprie responsabilità quando commette un errore. E in più ha fame, tanta fame di vittorie.

 

Andrea, cinque vittorie su dieci tappe alla prima corsa da professionista sono un risultato niente male...
«Senza dubbio. La squadra mi aveva chiesto di preparare bene questo Tour de Langkawi, io ho lavorato per farmi trovare pronto e questi sono stati i risultati. Ma da questa corsa esco in crescendo e potrò sfruttare la condizione ancora per diverso tempo».

Facciamo subito gli avvocati del diavolo: chilometraggi brevi, avversari non irresistibili, percorsi semplici...
«Abbiamo fatto tappe a 47-48 all'ora di media, non mi sento di disprezzare in toto il livello questa corsa. Di certo non mi sono trovato di fronte i Cavendish e i Boonen, ma quelli li troverò tra qualche giorno in Qatar».

Con che propositi volerai a Doha?
«Non mi pongo limiti, ma penso a fare un passo alla volta. Il primo sarà quello di arrivare a fare le volate, spesso disputate da gruppi decimati dal vento, poi se sarò con i migliori mi getterò nella mischia senza timore. Io non ho mai sfidato quella gente, non so quanto valgo rispetto a loro, sarà un'incognita per me. Ma lo sarà anche per loro...».

Cavendish o Petacchi? In chi ti rivedi di più?
«Sicuramente Cavendish, credo sia quello a cui mi avvicino di più come caratteristiche. Petacchi non è un modello per me, né come persona, troppo introversa e brontolona, né come atleta».

Andrea Guardini festeggia con Stefano Giuliani © Cicloweb.it

Parole forti e pronunciate guardandoti fisso negli occhi. Andrea è così, sempre gentile e disponibile con tutti, per due chiacchiere, un autografo, una foto, ma quando qualcosa non gli va a genio, di certo non le manda a dire.

«Da piccolo - riprende - mi piaceva Cipollini e seguivo per televisione le sue imprese. Dopo il suo ritiro ho imparato ad apprezzare tantissimo il talento puro di McEwen, quel folletto australiano che di tanto in tanto riusciva a mettere la sua ruota davanti a quella di SuperMario. Robbie è tuttora un idolo per me, anche solo partire con lui ad una corsa sarebbe per me un sogno che si realizza».

Che tipo di sprint prediligi?
«Quando sto bene riesco a fare sprint anche di 250-300 metri, con una forte accelerazione iniziale e una successiva progressione che spesso mi consente di contenere il ritorno degli avversari. Mi tornano sempre in mente le parole del mio direttore sportivo Gaetano Zanetti che mi ha sempre detto che con le mie capacità non devo aver paura di partire presto perché è meglio perdere una volata essendo rimontati che perderla perché non si è avuto lo spazio per rimontare».

Diciamolo una volta per tutte, la pista fa male alla preparazione di uno stradista?
«Assolutamente no! La pista è un'ottima scuola di ciclismo e ogni stradista - soprattutto i velocisti - dovrebbero fare delle sessioni in velodromo e ne trarrebbero vantaggi importantissimi, dal ritmo di pedalata al colpo d'occhio in volata, non tralasciando la guida del mezzo, fondamentale in uno sprint a ranghi compatti. Io abito a 70 km da Montichiari e, nonostante mi costi qualche sacrificio, mi ritengo fortunato a poterci andare praticamente tutte le volte che voglio, in particolare durante la preparazione invernale, cosa che continuerò a fare anche in futuro».

Diciamo anche che Andrea Guardini, a differenza di tanti stradisti con un passato in pista, viene dal settore velocità e che da Juniores ha vinto un campionato europeo di Keirin ed ha corso i 200 metri lanciati in 10"54, il tutto senza mai abbandonare - anzi - la strada. Insomma, avresti avuto la strada spianata anche su questo versante, se solo lo avessi voluto.
«A mio modo di vedere, in Italia, fare il pistard se hai la possibilità di essere un buon stradista, è riduttivo. La nostra Federazione, a differenza di tante altre, ha deciso di puntare forte sulla strada, lasciando la pista un po' ai margini e io non ci ho pensato su due volte a scegliere la prima a scapito della seconda. L'alternativa propostami era quella di entrare in un gruppo militare e continuare a fare attività con loro. Con tutto il rispetto per loro, ho pensato che per il mio avvenire fosse meglio accantonare la pista e puntare forte sulla strada e, per ora, i fatti mi stanno dando ragione».

Andrea Guardini pensieroso © Cicloweb.it

Certo, fossi nato in Australia o in Gran Bretagna...
«Allora la mia scelta sarebbe stata sicuramente più ponderata. Altrove i pistard sono considerati alla stregua degli stradisti, se non qualcosa in più. Con le recenti modifiche del CIO, la pista assegna 10 ori olimpici contro i 4 della strada. La scelta logica sarebbe, non dico di privilegiare l'attività in velodromo, ma almeno di trattarla alla pari rispetto a quella sull'asfalto. Florian Rousseau, ex-gloria della velocità francese e ora commissario tecnico della nazionale, dopo gli Europei di Keirin che vinsi a Cottbus, venne a farmi i complimenti dicendo che raramente aveva visto una prestazione simile da un ragazzo con così pochi allenamenti specifici e mi predisse un grande futuro da pistard. Facile parlare per un francese...(ride)».

A proposito di Federazione. La nostra ha scelto di non convocare i professionisti per i Campionati del Mondo Under 23, nonostante l'UCI permetta a quelli di squadre Professional e Continental di schierarsi al via della prova iridata. In altre parole, tu potresti essere uno dei favoriti per il Mondiale di Copenaghen, ma la FCI ti impedirà di esserci. Condividi?
«Non sta a me dire alla Federazione come deve lavorare, hanno scelto questa politica per i giovani e sarà il tempo a dire se hanno ragione o meno. Ormai il mio capitolo tra gli Under 23 è giocoforza chiuso, a questo punto mi piacerebbe di essere convocato magari come riserva nel Mondiale dei Pro'! (sorride)».

I tuoi detrattori dicono che, sì, hai vinto 19 corse nell'ultimo anno da dilettante, ma si tratta di vittorie minori, di "circuitini" di paese...
«Se nessuno finora era mai riuscito a vincere 19 circuitini, qualcosa vorrà pur dire. Le mie prime vittorie da professionista potrebbero servire anche a mettere a tacere certe critiche. C'è anche da dire che in un appuntamento importante come lo scorso Europeo in Turchia, ero nel gruppo dei migliori lanciato verso lo sprint e ho forato a 3 km dalla conclusione, privandomi della possibilità di conquistare almeno una medaglia. Per il resto, devo ammettere che ancora mal digerisco le salite e, per esempio, in una gara come il Liberazione, non sono mai riuscito ad arrivare alla volata».

Immaginiamo che lavorerai per smussare questo tuo punto debole...
«Certamente. Finora non ci ho dato molto peso perché da dilettante ho pensato più alla quantità che alla qualità delle vittorie, ma so già che tra i professionisti sarà un'altra musica: se non riesci a superare almeno degli strappetti, con loro le volate manco le fai. Il mio sogno nel cassetto si chiama Milano-Sanremo e per riuscire a vincerla un giorno dovrò migliorare il mio rapporto con la salita, con sessioni di allenamento specifiche.

Alla Farnese Vini pare che tu abbia trovato l'ambiente ideale per questa tua prima stagione da professionista...
«È vero, con Scinto e tutto lo staff ho instaurato subito un feeling particolare e gli stessi compagni hanno dimostrato una forte abnegazione, permettendomi di arrivare a disputare sette sprint su otto tappe pianeggianti, roba non di poco conto se ci si pensa. Quest'anno, in quanto a calendario, avremo ben poco da invidiare alle grandi squadre Pro Tour, potendo disputare tutte le gare italiane e diverse importanti classiche in tutt'Europa. Per ora ho due anni di contratto con la squadra e sarò contento di onorarli fino in fondo, poi si vedrà».

Debutterai al Giro già quest'anno?
«Credo che per me sarà difficile disputarlo già quest'anno. Sono giovane, ho cominciato a correre presto e comunque abbiamo un altro velocista più maturo di me che potrà farlo. Tra Langkawi, Qatar, Oman e poi verosimilmente Sardegna e Tirreno, avrò corso tantissimo e avrò bisogno di riprendere un po' il fiato in vista della seconda parte di stagione. Magari dall'anno prossimo comincerò a pensarci...».

Giuseppe Cristiano

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