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La recensione: Uno spettacolo necessario - "Marco Pantani, un campione fuori norma" | Cicloweb

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La recensione: Uno spettacolo necessario - "Marco Pantani, un campione fuori norma"

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Un intenso momento dello spettacolo teatrale "Marco Pantani, un campione fuori norma" © www.associazioneoverlord.itMarco Pantani è un personaggio romantico, una cosa rara in questi anni frenetici e senz'anima. È stato uno degli ultimi, non nel ciclismo, ma in qualsiasi ambito, a saper essere carismatico trascinatore di folle, per di più solo facendo bene il suo mestiere. Quando esiste un personaggio così che muore anche in modo maledetto, l'arte non può che stargli addosso e punzecchiare la sua memoria in tutte le forme.

Si sprecano gli omaggi a Pantani, i libri scritti su di lui, le canzoni e le sculture. Citiamo alcune delle più significative e famose: la canzone degli Stadio, "E mi alzo sui pedali"; la tanto tormentata scultura sul Fauniera; la biglia gigante nella sede della Mercatone Uno dalle parti di Imola, visibile dall'autostrada, che ha ispirato un'altra canzone, "Marco Pantani nella Biglia Gigante" di Giorgio Canali, incisiva non tanto su Pantani quanto sull'uso strumentale dello sport come fumo negli occhi per tifosi beceri.

Da un paio d'anni anche il teatro ha il suo spettacolo di riferimento su Marco Pantani: Padova, 21 gennaio 2011. Nella Multisala Pio X va in scena "Marco Pantani, il campione fuori norma", uno dei due cavalli di battaglia dell'associazione culturale Overlord (l'altro è un monologo sullo sbarco in Normandia), duo teatrale composto da Alessandro Albertin, padovano, e Michela Ottolini, veronese e compagna sul palco oltre che nella vita. Non potevamo perdere l'occasione di assistere dal vivo all'evento, a maggior ragione perché liberamente tratto da "Il capro espiatorio - Il rituale vittimario: il caso Marco Pantani” di Maria Rita Ferrara, vecchia amica di Cicloweb; anche se così non fosse stato, non potevamo non osservare con curiosità uno spettacolo che propone di far luce su una delle vicende più torbide dello sport italiano degli ultimi anni.

Il teatro è da 440 posti e sembra ospitarne meno della metà, non male per dei nomi non di richiamo come gli altri in cartellone della rassegna "Arti inferiori"; al contrario di ciò che avviene di solito, molti sono abbonati, ma d'altronde Albertin gioca in casa e un po' di passaparola non può mancare.

La scena è piuttosto articolata, per quello che si rivelerà poi teatro/inchiesta, alla fine: una bici pedalabile, un'altra appesa, altri pezzi di bici (ruote, manubri...) che rappresenteranno personaggi e oggetti della vicenda di Campiglio, alcuni blocchi, una poltroncina da bar e un paio di bacheche.

Un altro passaggio dello spettacolo teatrale "Marco Pantani, un campione fuori norma" © www.associazioneoverlord.itL'opera parte dando un netto taglio antropologico, ma il duo cerca di dare anche un taglio ironico alla presentazione, un po' per alleggerire quello che altrimenti sarebbe uno snocciolamento di titoli di giornali e fatti giudiziari, un po'per dare uno "sfogo" alla parte più ludica dell'arte recitativa.

Dunque, dicevamo, il taglio antropologico: l'opera non parla di Pantani, ma della sua vicenda. E dunque, attraverso una specie di lezione universitaria del professor Girard, psicologo realmente esistito, vengono elencati ordinatamente tutti i passaggi che portano alla costruzione del cosiddetto "capro espiatorio": una situazione di disagio e conflittualità in un sistema prima armonioso o se non altro tranquillo; l'individuazione di un personaggio fino ad allora innocente; un personaggio dotato anche di carisma nella suddetta società; un personaggio il cui sacrificio sia voluto all'unanimità (compresa la volontà dello stesso capro che, altrimenti, passerebbe per martire); infine, creare tra il capro e il resto della società la cosiddetta "differenza mitica", una sorta di disparità di trattamento del soggetto.

Pian piano vengono fuori tutti questi aspetti nella vicenda Pantani; si parte da lontano, da Conconi, per spiegare il disagio; si racconta dell'ipocrita innocenza serpeggiata prima dei fatti di Campiglio sulla figura di Pantani, quando era ancora una gallina dalle uova d'oro (il suo nome non venne mai accostato a quello di Grazzi, dottore della Carrera); il carisma venuto fuori nella lotta al disordine dei controlli antidoping; l'unanimità, venuta a mancare per l'assenza del beneplacito di Pantani e dunque il fallimento parziale della creazione del capro espiatorio; ma il duo insisterà soprattutto sulla differenza mitica, che Marco dovrà portarsi fino alla tomba.

Viene fuori pian piano l'intento del duo; essi sacrificano teatralità pur di essere sicuri che il pubblico abbia capito di cosa stiamo parlando, quando si fa riferimento al capro espiatorio, che è il vero fulcro della rappresentazione, non Pantani; da un lato la cosa è fruttifera, perché evita una pericolosa santificazione del personaggio che renderebbe il tutto una pomposa fanfara, dall'altro ignora l'aspetto umano di Pantani che forse andrebbe approfondito per spiegare al meglio la sua vicenda: il non piegarsi alla logica del capro espiatorio è un gesto non da poco e non da tutti (dando un occhio alla storia recente del ciclismo).

La vicenda giudiziaria prende una buona metà dello spettacolo. Dal punto di vista teatrale è la parte più interessante e dinamica, visto che i due attori si avvalgono di una serie di blocchi per rappresentare l'andamento dei processi, simboleggiando azioni delle posizioni di accusa, difesa e giudici. Si fa luce sull'assurdità dei processi a suo carico, basati su prove ridicole o su accuse molto "arrangiate" dal nostro codice penale; sulle bizzarrie dei tempi e dei comportamenti di giudici e pubblico ministero; insomma, su quella "differenza mitica" che va sempre più accentuandosi. Il tutto inframezzato da siparietti comici, a volte un po' stucchevoli (sui classici carabinieri ignoranti), a volte divertenti (uno su tutti, un'imitazione riuscitissima di Eugenio Capodacqua, declassato da giornalista di Repubblica a blogger supponente e un po' nerd).

Il finale ha un po' il sapore incalzante di quello di certi programmi televisivi tipo "Crozza Italia" o "Vieni via con me", ed è convincente anche la scelta della conclusione, che ridona un po' di spazio all'aspetto umano della vicenda: un momento onirico nel quale Pantani disputa la tappa dell'Aprica e riesce a far vincere il suo compagno Zaina, come nelle previsioni, nonostante la presenza di rivali di altri tempi come Gaul, Anquetil e Coppi. Ma è solo un sogno. Poi, la sveglia per i controlli.

A fine spettacolo, non possono mancare due chiacchiere con Alessandro Albertin, assieme a qualche elemento del pubblico rimasto incuriosito. Una professoressa gli propone di portare lo spettacolo a scuola, magari accorciato, ma ammette candidamente che sarebbe più utile per i ragazzi lo spettacolo sullo sbarco in Normandia. Albertin sperava fosse presente più pubblico e ironizza sul fatto dicendo che rimedierà la prossima volta aggiungendo Fabio Volo agli autori.

Ci parla un po' di come è entrato in contatto con la famiglia Pantani, del vecchio allenatore che all'idea dello spettacolo, per 4 volte gli ha ripetuto "Ma non avete paura?", perché i nomi che si fanno son tanti. Che hanno limitato i passaggi recuperati dal libro, un po' per la lunghezza, un po' perché su alcuni punti han preferito andare coi piedi di piombo rispetto al libro della Ferrara (è stato omesso il coinvolgimento di Prodi nella vicenda Conconi, ad esempio), ma come hanno spiegato anche in scena, il loro intento non è quello di dare una verità alternativa ma porre spunti di riflessione su degli avvenimenti nebbiosi concatenati, dei quali non tutti nascondono un piano contro Pantani ma magari solo semplici negligenze; ci racconta di come abbian tentato di portare lo spettacolo nelle sedi d'arrivo delle tappe durante il Giro, e ci siano riusciti a Porto Recanati e a Brescia, dove lo spettacolo all'aperto ha un po' rovinato la catarsi (sempre a detta di Alessandro).

Alessandro Albertin "interpreta" Eugenio Capodacqua © www.associazioneoverlord.itCi dice, soprattutto, che proprio il Comune di Cesenatico è stato l'unico a non dare nessuna risposta alla richiesta, segno che da quelle parti lì del caso Pantani proprio non si vuole sentir nulla. Ci rivela anche di non aver mai sentito parlare Capodacqua (così come gran parte dei personaggi, interpretati per lo più con una semplicistica cadenza dialettale; il comasco Conconi in particolare viene contrapposto caratterialmente allo psicologo francese) e di averlo interpretato solo in base a ciò che ha letto dalla sua penna o ha sentito su di lui. Ci dice anche di aver in cantiere uno spettacolo su Perlasca.

Per concludere: lo spettacolo ha qualche caduta e potrebbe risultare lungo e indigesto a chi è rimasto indifferente alla vicenda di Pantani fino ad oggi. Ma merita di essere visto: il taglio dato alla vicenda è davvero originale (e questo è dovuto soprattutto al libro, ma il duo lo interpreta in maniera molto appassionata e convincente) e permette di riflettere sui contorti giochi di potere sempre più frequenti nella società attuale. In poche parole, uno spettacolo necessario: ma senza la pretesa di essere un canto partigiano. Piuttosto, lo stornello di un cantastorie alla De Andrè, distaccato con la penna, ma appassionato nel cuore.

Nicola Stufano

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