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Il ritiro: E la Francia si innaMoreau - Dall'affaire Festina alla ricollocazione | Cicloweb

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Il ritiro: E la Francia si innaMoreau - Dall'affaire Festina alla ricollocazione

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Christophe Moreau in maglia di Campione Nazionale francese - Foto Flickr.comIl ritiro di Christophe Moreau non è quello di un corridore qualunque. L'uomo che per uno scorcio di carriera è stato il simbolo di quanto al ribasso fossero i sogni francesi al Tour (per quattro volte il migliore dei transalpini alla Boucle, senza mai essere andato sul podio, anzi finendo fuori dai 10 per due delle quattro volte), ha una storia complessa alle spalle, una storia che ispira anche qualche riflessione.

Non si può parlare di Moreau senza parlare di Festina. E non si può parlare di Festina senza farsi venire in mente lo scandalo Festina. Purtroppo: perché poi il sodalizio franco-ispanico fu la fucina di diversi bei corridori e ottenne anche ottimi risultati, indipendentemente da.

Indipendentemente dal marchio di officina degli orrori che rimase impresso sul team in seguito al meccanismo innescato dal fermo del massaggiatore Willy Voet alla dogana (con la macchina carica di doping). Era il 1998, si correva il Tour, e i gendarmi fecero irruzione sulla scena, indagando su quelle sostanze e mettendo alle strette il collaboratore del team e pure il direttore sportivo Bruno Roussel. Doping di squadra, esclusione dalla corsa, interrogatori successivi, ammissioni da parte dei corridori (non tutti, non subito: Virenque la menò a lungo con la storia della sua innocenza, poi smentita in un secondo momento).

E tra di loro, membro permanente effettivo di quella formazione un po' maledetta schierata al via del Tour '98, Christophe Moreau. L'ultimo sopravvissuto di quella vicenda, l'ultimo a poter raccontare ancora, in gruppo (fino all'altro giorno), il senso di vergogna, di sprofondo, di smarrimento per essere piombato, pioniere coi suoi compagni, dal piedistallo di corridore del Tour al fango di corruttore del(la purezza del) Tour.

Christophe Moreau in maglia Festina agli inizi della carriera - Foto Wikimedia.orgGli occhi allora sostanzialmente vergini di scandali di tali proporzioni (poi ci si abituerà...), gli occhi degli appassionati, vennero brutalizzati dalla visione di quella Boucle grottesca e (per gli eventi che tutti noi abbiamo stampati in mente) meravigliosa. La Boucle della Gendarmerie praticamente di stanza in corsa, e la Boucle dell'immenso Marco Pantani.

Il ciclismo imboccò in quel biennio terribile la sua via verso la perdizione (politica, gestionale, a livello d'immagine); Christophe Moreau, tutt'altro. Seppe ricostruire la propria onorabilità e la carriera, seppe ricollocarsi in maniera intelligente, e dal 1999 in poi, dopo 6 mesi di squalifica, seppe guadagnarsi stima e galloni da uomo di riferimento del gruppo.

Non importa qui stabilire se avere fiducia piena nella svolta annunciata all'indomani dello scandalo («Ho sbagliato, ho pagato caro, ma questa vicenda mi ha fortificato, mi ha fatto capire i miei errori»: oggi suonano quasi stantie, frasi del genere; all'epoca erano una novità), o se diffidare dalle conversioni troppo strombazzate. Sia in un senso, sia nell'altro, ci sarebbero indizi e prove a carico e non. Non è questo il punto. Il punto è che Moreau è stato realmente il primo caso di pieno ricollocamento nel ciclismo, nell'era del nuovo antidoping (dal '96-'97 ad oggi, in pratica).

E il suo è un esempio spettacolare di come si possa passare dalla gogna pubblica alla riabilitazione. Spettacolare e istruttivo di come funzionano le cose dalle nostre parti. Ancora nelle file della Festina rimasterizzata, Moreau si confermò come uno degli ex giovani comunque più interessanti della sua generazione (almeno per quel che riguarda il suo paese). Al Tour del 2000 conquistò il quarto posto, piazzamento che sembrava un trampolino di lancio e che invece era destinato a restare il migliore della carriera.

Christophe Moreau in maglia Crédit Agricole negli anni della maturità - Foto Bbc.co.ukQuando la Festina chiuse bottega (non senza che Christophe si portasse a casa, nel 2001, un Delfinato e un paio di giorni in giallo - con annesso cronoprologo - al Tour), Moreau sposò le sorti della Crédit Agricole, per un quadriennio che alla fin fine risulterà il più significativo della sua carriera, ad onta di risultati forse meno rilevanti di quelli ottenuti con altre maglie. Con la nuova squadra, dopo un 2002 di assestamento, Moreau impose in maniera continuativa quella sorta di nouvelle vague del ciclismo francese che vuole i corridori d'oltralpe meno vincenti ma anche meno compromessi. Come già detto, il miglior bleu del Tour per tre anni consecutivi (2003-2004-2005, lo era già stato nel 2000), simbolo di un movimento incapace della vittoria eclatante, ma in grado di vivacchiare a livelli discreti (ma rigorosamente non eccelsi), raccogliendo le briciole (leggasi: qualche tappa, qualche piazzamento di seconda fila nella generale) lasciate da quelli più rapaci.

In ciò, Moreau È il nuovo ciclismo francese. Quello risorto dalle ceneri di una stagione comunque vincente (i Leblanc, i Virenque, i Brochard, i Jalabert qualche podietto e qualche titoletto a casa li avevano portati con una certa regolarità), e reinventatosi in un ruolo completamente Tourcentrico (con poche eccezioni per le corse limitrofe alla Boucle, dall'immancabile Delfinato all'ancien Midi Libre a qualche Catalunya e Dunkerque di contorno), e in una posizione completamente di rincalzo. Un ciclismo che, non avendo più gli Hinault e i Fignon, ma nemmeno quelli citati due parentesi fa, doveva accontentarsi di vibrare per le fughe di Voeckler, o per gli insperati podi mondiali di Geslin (il plurale è narrativo, il podio è uno); o per i piazzamenti al Tour di Moreau: ottavo nel 2003, dodicesimo nel 2004, undicesimo nel 2005. Della vecchia grandeur più nemmeno l'ombra, al suo posto un'aurea mediocritas baciata dalle attenzioni cooptate dal grande ricciolo giallo e indirizzate sui suoi protagonisti.

Christophe Moreau in maglia AG2R nel finale di carriera - Foto Wikimedia.orgChiusa per reciproca usura del rapporto (più dal versante team, a dire il vero: non mancarono le voci di scontentezza su Moreau da parte del management) l'esperienza in Crédit Agricole, si poteva pensare che a 34 anni il maturo Christophe fosse destinato a un biennio di florido sollazzo prima del ritiro; ma in tal caso, ci si sbagliava di grosso: le due stagioni in AG2R furono tra le migliori del corridore di Vervins. Nel 2006 il buon Moreau fu ancora in grado di piazzare un settimo posto al Tour, nel 2007 deluse alla Grande Boucle ma era reduce dal suo secondo successo al Dauphiné Libéré (sempre il Delfinato, con tanto di notevole successo di tappa in cima al Mont Ventoux, forse la sua più bella impresa singola), e soprattutto dal titolo di Campione Nazionale: ecco che il cerchio si chiudeva, il reietto degli errori giovanili assurto al ruolo di simbolo della patria ciclistica tout court, con tanto di tricolore portato, addosso, in giro per ogni corsa.

Il finale, due anni pallidi con l'Agritubel, l'ultimo - per onor di firma, anche se con non disprezzabilissimi esiti al Critérium International e al Romandia - con la Caisse d'Epargne, all'inseguimento di traguardi Gpm sulle strade del suo Tour. E proiettato verso un ritiro annunciato proprio durante la Boucle e diventato effettivo al Gp di Plouay.

A 39 anni, coscritto di Armstrong (solo di pochi mesi più vecchio il francese), e con una storia completamente contraria a quella del texano simbolo del ciclismo dei 2000s, Moreau scende dalla bicicletta, rendendosi conto che la sua missione, qualunque essa fosse (qualunque gli fosse ascritta, diciamo), è giunta al termine. La sua nazione ha nuovi beniamini su cui scommettere (o almeno sperare), pare venir fuori una leva più intrigante rispetto alle ultime due o tre. Non per questo dimenticherà, la Francia, chi, negli anni più complicati, ha retto comunque la baracca con grande dignità, grande spirito dei tempi, grande senso delle proporzioni.

Marco Grassi

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