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Vattenfall Cyclassics 2010: VattenFarrar, ancora lui - Ad Amburgo Tyler batte Boasson Hagen e Greipel

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Tyler Farrar esulta: seconda vittoria ad Amburgo © Nieuwsblad.beCosa vuoi fare da grande? Non esiste bambino al mondo cui un adulto non abbia posto la fatidica domanda. Tyler Farrar, statunitense di Wenatchee, ha schivato presto la curiosità morbosa, scegliendosi in fretta il destino. Salito in sella dopo aver spento tredici candeline sulla torta di compleanno, sei anni dopo ha risposto in maniera netta ed inequivocabile: contratto da professionista col team Jelly Belly e tanti saluti alle prime cavalcate spensierate nella contea di Chelan.
Quando a 19 anni si è già uomini e si ha quotidianamente il dovere di dimostrare qualcosa per non sprofondare, il tempo per fermarsi ad interrogarsi è un lusso intollerabile.
Affiancatelo però oggi, cento metri dopo lo striscione d'arrivo della Vattenfall Cyclassics, nella domenica in cui Amburgo e la sua gente rispondono col desiderio della rappresentazione, alimentato dall'attesa, all'ozio nostrano. Lui è fermo lì, con lo stesso viso paffutello di tredici primavere fa, da bambino cresciuto precocemente e che, se non avesse i muscoli tirati e ancora nervosi dalla forza del gesto e non indossasse l'inconfondibile mise arancio-blu Garmin, quasi faresti fatica ad identificare come corridore.
Non uno dei tanti, tuttavia. Un vincente. E non per destino o vocazione, ma per frutto di uno sviluppo tanto veemente quanto lineare, il cui lento sfiorire della carta d'identità ha - nè più, nè meno - importanza analoga al commiato alla Cofidis nel 2007.
I compagni del colosso a stelle e strisce sono lì a congratularsi, sballottandolo da una parte all'altra nella dolce liturgia della condivisione dei meriti. Farrar ha appena il tempo per portare gli occhiali (grazie ai quali appare, essendone testimonial, "meno sconosciuto" anche ai non addetti ai lavori) sul casco prima di essere travolto dal dubbio: "Cosa farò - si domanda - da grande?".
La frettolosa maturazione lascia a disposizione un istante per scegliere. Senza ricamarci troppo intorno: restare o andare. Varcare il limen o accontentarsi. Tyler Farrar è l'incarnazione vivente del dramma amletico.
Mettetevi nei suoi panni: vi diranno che con l'andare degli anni uno sprinter perde lo spunto e migliora in salita. Vi si accenderà necessariamente una spia.
Si è appena preso con astuzia la seconda classica della carriera. La stessa di un anno fa, verrebbe da rimarcare per sminuirne la portata. Adatta ai pedali veloci - certamente - ma finora mai doppiamente terreno di conquista per nessuno. Aggiungete due top ten stagionali tra Gand-Wevelgem e Fiandre e sommate un quinto posto, datato 2008, nella Parigi-Tours. Elaborate il tutto con un dato inconfutabile: la prima vittoria in un grande giro l'ha ottenuta non più di un anno fa sulle strade della Vuelta. Il dubbio sorgerà spontaneo: a quale fenotipo apparterrà? E come fare per salire quello scalino che separa i maestri da tavolo da biliardo dai grandi interpreti delle classiche?
Nessun trionfalismo e voli pindarici aboliti, ma il traguardo teutonico garantisce l'entrata a pieno titolo in un'altra dimensione. Non più velocista puro ma atleta completo, in grado di reggere salite e pressioni di ogni sorta, di rispondere picche alla dea bendata che l'ha abbandonato lungo i viali di Francia e di demolire psicologicamente avversari apparsi troppo piccoli per tenergli testa, dall'idolo di casa e dei bookmakers Greipel, all'imberbe Boasson Hagen, al Bennati spompato.
Ha potuto alzare le braccia al cielo dopo una giornata vissuta pancia a terra. Nubi minacciose a precedere una partenza a mo' di Grande Boucle, con cinque temerari in avanscoperta dopo appena due dei duecentosedici chilometri in programma. L'azione promossa da Trusov, Lang, Smukulis, Geslin e Chaigneau, lasciata andare senza troppi patemi ed arrivata a guadagnare fino a sedici minuti e mezzo dopo cinquanta chilometri, ha caratterizzato l'intero svolgimento di una kermesse dal canovaccio apparso fin più che consueto, con lo spauracchio Waseberg che - pur affrontato quattro volte - non ha saputo fare la differenza poichè posto troppo distante dalla flame rouge.
L'impulso dei compagni di squadra di Farrar ha fatto sì che il gap scendesse sotto i cinque minuti ai piedi della seconda ascesa del Waseberg quando, a quaranta chilometri dal traguardo, Trusov ha salutato la compagnia facendo saltare definitivamente Lang e Chaigneau e trovando in Geslin e nel vice-campione lettone, il classe '87 Smukulis, ultimi baluardi in grado di resistere fin dopo lo scollinamento e di riappaiarsi al pirandelliano atleta Katusha seimila metri più tardi. In testa al gruppo, esaurito il lavoro della Garmin, hanno fatto allora capolino tutte le formazioni accreditate di ruote veloci in buona forma. In primis l'Htc di Greipel, coadiuvata a turno dalla Milram di Ciolek, la Liquigas di Bennati e la Quick Step di Weylandt. Il copione non è cambiato neppure dopo il terzo transito sul Moloch di giornata, che è servito soltanto a Gilbert e Marcato per prendere le misure in vista di un tentativo all'ultimo passaggio, mentre il vantaggio dei tre battistrada, che continuavano a viaggiare di comune accordo, si assestava nell'ordine dei due minuti ai meno venti dalla linea di meta.
Quando sembrava ormai assodato che il ponte fra la disperazione e la speranza fosse una buona dormita, a risvegliare dal torpore ci ha pensato uno scatenato Gilbert che, capace di rendere ombra Pozzato e un Sagan tornato brillante protagonista, ha spaccato in due il plotone sulle rampe più dure del Waseberg, costringendo ad uscire allo scoperto il Team Sky e regalando veleno alla coda.
Con i tre eroi di giornata nel mirino ed i nuovi contrattaccanti ad una ventina di secondi, a complicare il tentativo di ricucire lo strappo della formazione britannica ci si è messa la pioggia, alleata dei fuggitivi e motivo di prudenza per chi viaggia affastellato. A sette chilometri dall'arrivo, tuttavia, grazie alle trenate di Hayman e Flecha, i papabili protagonisti in chiave iridata sono stati riassorbiti e, nonostante i tentativi in serie operati da Offredo, prima, e dai campioni nazionali di Germania e Svizzera, Knees ed Elmiger, si è viaggiati compatti fino all'organizzazione dei treni.
Entrati impetuosamente negli ultimi mille metri, con Liquigas e Lampre a menare le danze, Petacchi è uscito inaspettatamente di scena nel momento in cui è tornata di prepotenza davanti la Sky che, con Henderson e Sutton, ha pilotato alla perfezione Boasson Hagen, sulla cui ruota si è portato subito Bennati, fino ai duecento conclusivi.
Qui a giocarsela sono stati i favoriti della vigilia, ognuno dei quali ha battezzato, benedicendola, una striscia d'asfalto. Greipel, che non ha beneficiato dei Tav progettati su misura per le esigenze di Cavendish, ha occupato la parte sinistra della sede stradale, saltando facilmente Bennati ma rimbalzando metro dopo metro e chiudendo sul gradino più basso del podio. La lotta è stata allora tutta a centro strada dove Boasson Hagen ha difettato clamorosamente di confidenza non appena Sutton si è spostato, esitando un istante di troppo e favorendo la rabbiosa rimonta di Farrar che - scegliendo la medesima traiettoria che lo incoronò dodici mesi fa - ha superato il norvegese, fresco vincitore della Dutch Food Classic, regolandolo con mezza ruota di vantaggio, mentre da dietro Kristoff incorniciava la giornata degli alfieri norvegesi e Davis superava in extremis uno spento Bennati per la quinta piazza.
Sul podio il volto di Greipel è il ritratto della delusione. Sedici successi in stagione e re con chilometraggi bassi e pendenze irrisorie, chiederà all'anno che verrà, oltre ad un team nuovo di zecca (l'Omega Pharma, ndr), anche la risposta definitiva ad una domanda che forse non vale neppure la pena porsi. La stessa che, due gradini più in alto, continua a rimbombare nella testa di Farrar. Passerà per la Vuelta prima di far rotta nell'emisfero australe. Dopo aver dimostrato di poter vincere senza essere il più forte e di saper sprigionare una potenza rara con un dente in meno, chissà che non gli venga in mente di soddisfare il quesito infantile.

Marco Ferri

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