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Tour de France 2010: Offesi i tifosi, offeso il ciclismo - Gli attacchi solo a inizio tappa

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La desolante processione del gruppo sul Tourmalet - Foto Daylife.com © Getty ImagesLa colpa è anche nostra, che ci cadiamo ogni volta come dei principianti. Un pomeriggio a fantasticare sulle reazioni di uno Schleck arrabbiato e sulla difesa di un Contador quasi dispiaciuto di aver preso la maglia gialla. Pensare a quanto possa essere bravo Riis nelle alleanze e chi, tra gli uomini non direttamente coinvolti nella lotta per la vittoria e per il podio, potesse avere l'interesse che la maglia di leader restasse sulle spalle di uno piuttosto che tornasse su quelle dell'altro.

Tutto inutile.

O meglio, la beffa di questa tappa in cui Fédrigo vince, Barredo è il vincitore morale, Cunego è lo sconfitto ed Armstrong è lo sconfitto morale non sta tanto nel 10° posto di Hushovd, con una volata che - lanciata da Ciolek e seguita da Rojas - fa persino male ricordare e raccontare.

La beffa viene dalle prime due salite di giornata. Peyresourde e Aspin che hanno promesso faville, fatto vedere i fuochi d'artificio e fatto venire l'acquolina in bocca. Che siano maledette.
Che sia maledetto quel primo scatto di Zabriskie, e poi in serie Egoi Martínez, Barredo, Kreuziger, Armstrong, Roche, Horner, Gutiérrez Palacios, Szmyd, Rui Costa, Moinard, Wiggins, Verdugo, Hesjedal, Matthew Lloyd, Capecchi, Charteau, Kiryienka, Sastre, Paulinho, Vinokourov, Casar e Van den Broeck, che ci hanno illuso sul Peyresourde e sull'Aspin, nonostante il lavoro di Lang, Gárate e Aerts ci avesse detto già tanto della mentalità di Omega Pharma (una volta ripreso Van den Broeck) e Rabobank in una tappa come quella di oggi: difendere il piazzamento era l'obiettivo di tanti, troppi, tutti.

In quella pletora di nomi che v'abbiamo presentato sopra c'era gente gagliarda, interessante: Hesjedal (10° in classifica), Kreuziger (11esimo), Sastre (13esimo), Roche (17esimo, ma già in crisi prima della fine del Peyresourde), Horner (21esimo), Wiggins (23esimo); gente magari non in grado di far saltare il Tour de France, ma quantomeno di animare la tappa, quello sì.
E quanto abbiamo applaudito l'azione di Van den Broeck (5° della generale) - col senno di poi, forse un po' ritardata - sul Peyresourde, passato a 31" dai fuggitivi con 15" sulla maglia gialla? Più o meno quanto abbiamo maledetto Lloyd, a tirare alla morte in discesa mentre il compagno (anzi, capitano) cercava di riportarsi sotto. Un inseguimento solitario andato a male appena prima dell'imbocco del Tourmalet, anche per buona grazia di Rabobank ed Euskaltel, preoccupate più da quello che potesse rappresentare un Van den Broeck in fuga per i capitani Menchov e Samuel Sánchez, piuttosto che pensare di incollare un Gesink alla ruota di Vinokourov come lasciapassare per una tappa in cui far lavorare le altre squadre.

E dire che già sul Peyresourde nel gruppo di Contador erano rimasti pochissimi: saltato Basso già dai primi metri, in difficoltà tre quarti di Saxo Bank e mezza Astana, c'era spazio e modo - avendo gambe, fantasia e voglia di vincere (ma anche di perdere) - per inventarsi qualcosa che fosse più dello scatto del 5° in classifica.
Che dire poi dell'Aspin? Aerts che porta il gruppo a 20" dai fuggitivi e Van den Broeck che non scatta più, Menchov che non si muove, Rabobank e Omega Pharma a fare il lavoro al posto del Team Saxo Bank, mentre Vinokourov davanti lasciava tranquilla l'Astana (10 e lode al kazako) e Samuel Sánchez, arrancando dietro insieme a Joaquím Rodríguez, Luís León Sánchez e Gesink, vanificava il lavoro di Martínez e Verdugo, costringendo quest'ultimo a staccarsi dalla fuga per dargli una mano.

Una situazione tattica e fisica, nonché psicologica, che invece di indurre ad una maggiore battaglia ha fatto optare ai protagonisti del Tour - che fatichiamo a non definire mezzi corridori - per un altro "no contest" di cui nessuno avvertiva la necessità, a maggior ragione con un Tourmalet e un Aubisque ancora da scalare e le gambe di tre quarti di gruppo messe in croce a 40 km dal via e a più di 150 km dall'arrivo.
Una potenziale bomba innescata e disinnescata dallo stesso gruppo nel giro di un'ora, ai piedi della discesa dell'Aspin, in quel breve tratto prima dell'imbocco del Tourmalet, una volta ripresa la fuga dei Sastre, degli Hesjedal, dei Kreuziger e dei Vinokourov e nel momento stesso in cui prima Casar da solo, poi con Armstrong, poi con i contrattaccanti Cunego, Van de Walle, Moreau e Fédrigo, infine con gli ultimi tre fuggitivi Plaza, Horner e Barredo davano vita all'azione decisiva per le sorti della tappa.

Eravamo sul Tourmalet, ormai, e nonostante da dietro fossero rientrati tutti gli staccati eccellenti ci aspettavamo ancora qualcosa, anche se l'aria iniziava a farsi irrespirabile, visto che l'Astana non era certo preoccupata da Rubén Plaza e le due salite precedenti non le avevano dato la certezza di essere inattaccabile, anzi.
Però l'incazzatura di Andy Schleck doveva per forza tramutarsi in qualcosa oggi. Non ha senso fare il gradasso con le parole e la bella statuina sulla bici. Pensa davvero di vincere il Tour attaccando a 5 km dalla vetta del Tourmalet giovedì? Gli facciamo i complimenti per la faccia tosta, ma che non ci si venga più a raccontare la favoletta del ragazzino strafottente, che fa della personalità una delle sue qualità migliori. Andy Schleck è un figlio del ciclismo attuale, di chi si accontenta del quarto d'ora di notorietà oggi e poi, domani, si prende quel che viene.
Il fenicottero lussemburghese che ci fece innamorare al Giro d'Italia 2007 è rimasto in un limbo da cui difficilmente uscirà: si pensava che il ritiro del fratellone Fränk potesse farlo maturare, si è sperato che l'attacco di Contador ieri potesse dargli la molla emotiva, ed invece niente. Da perfetto uomo del Nord, imperturbabile e freddo, Schleck ha fatto spallucce all'eventualità di entrare nella storia del Tour de France. Nella storia, sì, anche se l'attacco avesse significato mezz'ora di ritardo da Contador all'arrivo. I tifosi, noi, il ciclismo: tutti gli avrebbero detto grazie ed avrebbero applaudito il tentativo (razionale, certo, mica pretendiamo che uno vada a suicidarsi per farci contenti).

E poi, che dire di Rabobank e Omega Pharma? Va bene la giornata non eccelsa di Gesink, va bene l'incomprensione tra Lloyd e Van den Broeck scendendo dal Peyresourde, ma vogliamo parlare degli uomini messi in testa a tirare - dopo la discesa dell'Aubisque - per contenere il distacco da Rubén Plaza, che a quasi 10' di vantaggio si era installato - udite, udite! - al 7° posto della classifica generale?
Roba da far tremare i polsi, anche perché poi si dice che Damiani - con tutto il rispetto - sia uno dei migliori ds in circolazione. Figuriamoci i peggiori...

E così, alla fine della tappa del "poteva essere e non è stato", gli scossoni maggiori sono dati dal ritorno in maglia verde di Hushovd e dalla lotta tra Charteau e Moreau per la maglia a pois.
Come per dire che, in fondo, un lunedì al mare non sarebbe stata una brutta scelta.

Mario Casaldi

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