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Giro d'Italia 2010: Il Giro dei buoni e dei cattivi - Le nostre pagelle della corsa rosa

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Alexandre Vinokourov - 8.5
Veniva da una Liegi da sogno ed era accreditato di grandi possibilità. Inviso all'ala giustizialista della stampa ciclistica, che forse riconosceva nei suoi lineamenti sovietici l'incubo dei cavalli di Stalin abbeverati nel Tevere, ha tuonato per una settimana e mezza, poi i famosi cavalli si sono rivelati un po' ronzini, al cospetto di altri purosangue. Dalla fuga dell'Aquila alla fine, abbiamo per fortuna rivisto il vecchio Vino che tutti abbiamo amato: quello degli attacchi senza paura e pure (ahilui) senza grossi risultati. Ha sofferto le pendenze più ripide ma non ha mai mollato. Mezzo voto in più per incoraggiamento (in fondo è ancora giovane nell'anima); un voto in più per aver detto la frase del mese: «Qvesto è Giro di Italia, no Giro di Kazakistan».

Michele Scarponi - 8.5
Una fatica disumana per tenere i Liquigas sul Mortirolo, aveva una faccia che pareva Enrico Montesano. Ma quel giorno ha forse fatto la scelta: il podio o la tappa regina? Perché se non collaborava con Basso e Nibali, difficilmente avrebbe vinto all'Aprica, ma se ha collaborato è perché evidentemente non ne aveva per andarsene da solo. Gran conoscitore di se stesso e ottimo rimontante nella tappa indimenticabile di Montalcino (nella quale ha dimostrato anche insospettabili doti da bowler, visto lo strike Liquigas che ha messo a segno), certo gli brucia il podio sfuggito per pochissimi secondi (dopo la Tirreno persa per 1" solo), ma si può consolare guardando la bellezza delle foto che lo ritraggono a tutti i ritrovi di partenza con Gianni Savio (che aveva chiaramente pagato il fotografo).

David Arroyo - 9
Celebre per avere - sin da ciò che suggerisce il cognome - un destino da arrotino della bici, ottiene più di quanto non avesse mai osato sperare, ma alla lunga (e pedalare), dimostra di esserseli meritati tutti, quei giorni in maglia rosa e quel secondo posto sul podio. Epico nella discesa del Mortirolo, sulla quale al suo cospetto Basso pareva imbalsamato, riuscito addirittura a richiamare in ammiraglia Unzue&Echavarri, scesi in Italia per sostenerlo nella terza settimana e - perché no - pure per entrare nell'eventuale cartolina rosa da tramandare ai posteri.

Cadel Evans - 7
Assolto il compito di indossare la maglia rosa per un giorno al decennio, portata senza risparmio nella mota la sua anima iridata per vincere in maniera bellissima la tappa più affascinante del Giro (a Montalcino), sul più bello s'è squagliato. Nervosetto a tratti, lasciato dalla squadra in balia degli eventi, non ha potuto fare la voce grossa (e qui i maligni rideranno) quando si è approdati alle montagne. Lo scattino del Tonale non risolve nulla, Cadel rimane parecchio ai margini del podio e la maglia che porta a casa ha una s di troppo. Comunque convinto di poter dire la sua al Tour.

Richie Porte - 7.5
È vero che senza la fuga dell'Aquila l'avremmo notato molto meno, ma si dà il caso che l'ultimo prodotto del ciclismo australiano sia poi riuscito a difendere la maglia bianca dall'assalto di diversi giovanotti bravi e grintosi, quindi onore al merito. Anche perché chiude da top-10 (settimo) il suo primo GT, e ciò non è da tutti: che fosse bravo a cronometro lo sapevamo, ora sappiamo pure che tiene in salita e che nei prossimi anni impareremo a memoria il suo viso da montanaro di Tasmania.

Marco Pinotti - 7.5
Il suo motivatore personale merita un premio produzione, visto il lavorone fatto quest'anno: nono alla fine, praticamente il risultato migliore della sua carriera non universitaria. Gli sfugge per un nonnulla la crono di Verona, sarebbe stato un bel coronamento a un Giro in cui la classifica se l'è costruita senza fughe-bonus e in cui è andato talmente bene in salita da essersi pure rammaricato per essere stato preceduto (anche) da Vinokourov sul Gavia.

Stefano Garzelli - 7.5
Disfatta controllata sul Grappa, serenità d'animo sullo Zoncolan, riposo tranquillo, vittoria a Kronplatz: la sua quattro giorni alpestre è una progressione di esperienza e lungimiranza, fino al successo più gradito. Il prima (con l'illusoria presenza nei quartieri alti della classifica e con un ruolo attivo nel giorno di Montalcino) e il dopo (il ritiro, praticamente) non hanno troppa rilevanza, alla fine della fiera.

Tyler Farrar - 8
In questo Giro bisognava essere svegli più che altro per captare il segnale di volata in arrivo, visto che i velocisti risultano essere la categoria più maltrattata del lotto. Con l'aiuto di una Garmin ottima e di un Dean che i problemi li risolveva invece di crearli (come qualche volta in passato), ha confermato la sua crescita e ha battuto tutti a Utrecht e a Bitonto: ha lasciato quindi il segno nell'arrivo quasi più a nord e in quello quasi più a sud del Giro 2010, nella pioggia o nel vento o nel sole. Un uomo per tutte le stagioni, insomma. Peccato non sia riuscito (o non abbia voluto) sprecarsi più di tanto per la classifica a punti.

Vincenzo Nibali - 9
Una bellissima tappa vinta, qualche giorno in maglia rosa, una fondamentale vicinanza a Basso in salita e soprattutto in discesa. Avesse avuto le briglie sciolte, rischiava davvero di vincerlo. Ha preferito non fare il matto e rispettare gli ordini di scuderia: investimento sul futuro o eccessiva sicurezza nei propri mezzi (non è che sia così scontato aver sempre la possibilità di vincere un GT)? Comunque sia il terzo posto è il suo miglior piazzamento in un grande giro, finora. L'accresciuta esposizione mediatica ha fatto emergere il suo lato più allegro, ma magari regalerà un paio di bottiglie pregiate a Zomegnan che ha lasciato Visconti a casa.

Damiano Cunego - 5.5
Possono bastare un secondo posto di tappa a Montalcino e un undicesimo in classifica per giustificare una sufficienza? Dipende, se ti chiami Peppellella magari sì, ma lui si chiama Cunego. D'altro canto, proprio perché si chiama Cunego, non è il caso di eccedere in severità: non è tanto facile che si verifichino le condizioni sociometeogeografiche affinché lui vinca, quindi in realtà la frazione di Montalcino, praticamente una classica, resterà un bel ricordo del suo Giro, e tanto ci può bastare. Ci ha aggiunto poco altro, qualche fughetta del mattino, una presenza vigile nella prima settimana abbondante e l'illusione di averci creduto, almeno per qualche ora. Mezzo voto in più perché, non essendo certo da meno del Blasco, ha riempito anche lui l'Arena di Verona, neanche 24 ore dopo il concerto del rocker di Zocca.

Filippo Pozzato - 8
Ci è piaciuto, il Filippo, per aver portato la maglia tricolore fino a Verona, dopo essere passato attraverso vari tentativi per vincere una tappa e aver centrato l'obiettivo intrufolandosi in un gruppetto di uomini di classifica a Porto Recanati. E anche perché ha una certa personalità, e la esercita in maniera anche utile. Il suo sopravvivere a tutte le grandi montagne di questo Giro è un'ennesima risposta a chi lo considera troppo fighetto; almeno quanto la lacca al plutonio usata in Olanda è stata una risposta al vento scompigliachiome di Middelburg.

Alessandro Petacchi - 4.5
Malinconicamente a zonzo nella prima settimana del Giro, malinconicamente a casa alla prima salita. Gli auguriamo una nuova rinascita (magari in una squadra più adatta a lui), non vorremmo mai fare a meno della sua verve.

Gilberto Simoni - 6.5
Ultimo Giro per un vecchio leone che stavolta non è mai riuscito a essere gazzella. Bello solo il finale, tra l'acribia del Gavia e la festa di Verona. Ma basta e avanza per avere un altro bel ricordo della corsa in cui s'è fatto campione. Mezzo voto in meno per aver malamente ceduto al buonismo, proprio sui titoli di coda.

Bradley Wiggins, Jérôme Pineau, Johan Tschopp, Damien Monier, Manuel Belletti, Wouter Weylandt, Matthew Goss, André Greipel, Chris Sorensen, Evgeny Petrov, Gustav Larsson - 7.5
La lunghissima lista di vincitori di tappa (non citati altrove) che in questo Giro hanno trovato gloria, chi andando in fuga con gruppetti (o grupponi...), chi con un assolo nel finale, chi in volate più o meno corpose, chi a cronometro. Un Giro che ha confinato i velocisti a pochi spazi ben delimitati, e che ha espresso un solo corridore in grado di vincere più di una tappa (Farrar. Non consideriamo la cronosquadre nel conteggio), non poteva che dare quindi spazio a tanti coraggiosi. Studieremo poi l'effettiva esistenza di una correlazione diretta tra numero di vincitori di tappe in un grande giro e livello di divertimento del pubblico.

Domenico Pozzovivo - 7
San Domenico Martire s'è fatto mezzo Giro con una fratturina, accumulando quasi più cadute che minuti persi per strada. Ci ha illusi nella tappa dell'Aquila, ma poi è tornato a casa. Quando verrà organizzato un Giro d'Italia per biciclette con le rotelline, la sua quota presso i bookmakers sarà ragionevolmente bassa, ma se nel frattempo imparasse a stare un po' meglio in bicicletta, la sua carriera ne trarrebbe un certo giovamento. Un voto in più perché comunque era il suo primo GT da dottore.

Carlos Sastre - 5
La fuga dell'Aquila ha tenuto in vita il simulacro della sua competitività più a lungo di quanto non fosse necessario. Staccato praticamente su tutte le salite, non potendo sperare di vincere la corsa rosa a cronometro si è dovuto accontentare di vivere di rendita e di mestiere, tra il vantaggio accumulato all'Aquila e la necessità di salvare il salvabile sulle montagne. Mezzo voto in più per il sussulto d'orgoglio nella tappa del Gavia, espresso pur nella consapevolezza che non avrebbe mai fatto saltare il banco. Manco quello dei pegni.

Matthew Lloyd - 8
Conquistata la maglia verde dei Gpm (nel giorno della vittoria di Marina di Carrara), se ne è talmente affezionato da portarla fino alla fine. E per riprenderla a Basso che gliel'aveva strappata all'Aprica, è andato anche in fuga nel giorno del Gavia. Mezzo voto in più per gli occhietti emozionati da bimbetto.

Liquigas - 8.5
Che qualche errore lo debba commettere, è sancito nello statuto della società, quindi passiamo direttamente alle note positive: aver spianato le montagne per lanciare Basso è senz'altro una di queste, mentre averlo scortato pure in discesa è stato più che altro un atto di carità. Si prende primo e terzo posto, e tre vittorie di tappa tra cui quella imprescindibile della cronosquadre, quando Basso - nell'analizzare il risultato - sottovalutò grandemente il fatto di aver guadagnato 2'21" su tal David Arroyo.

Ivan Basso - 9.5
Non il massimo dei voti, sennò si monta la testa; e anche sennò non emerge in pieno l'aiuto importante che gli ha dato la squadra. Per il resto, tiene la scena meglio di come tiene la strada in discesa: il pirotecnico finale con famiglia ad attenderlo all'abbraccio al centro dell'Arena, e annuncio della terza paternità in arrivo, è un po' la summa del personaggio Basso: troppo hollywoodiano per non essere vero o troppo poco hollywoodiano per non essere falso? Arrovellandoci su questo imprescindibile tema, ci culliamo nel ricordo di quanto è stato forte sullo Zoncolan e quanto intelligente tra Aprica e Gavia. Il tutto, sempre tenendo a bada (anzi, cavalcando fingendo vaghezza) la marea montante della stampa amica, quella più pericolosa per intenderci, quella che incensa il ritorno del Campione con la C maiuscola dopo l'Espiazione con la E maiuscola. Il mezzo voto in più per il fatto di saper stare al mondo è controbilanciato dal mezzo voto in meno per il cappello da Grande Puffo esibito in pubblico dopo lo Zoncolan.

Marco Grassi

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