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Giro d'Italia 2010: A Scarponi la tappa più bella - Michele a caccia del podio | Cicloweb

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Giro d'Italia 2010: A Scarponi la tappa più bella - Michele a caccia del podio

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Michele Scarponi esulta all'Aprica - Foto Press GiroditaliaIl Giro d'Italia è esattamente come un bel sogno. Ti allieta i pensieri, ti dà forza e può essere condiviso con validi compagni di viaggio. Soprattutto però va rincorso. Nelle avversità, nei giorni in cui ci si sente quasi onnipotenti ed in quelli dove la prontezza di riflessi, il saper cogliere l'attimo diventano situazioni di primaria importanza. 

Una rincorsa cominciata in quest'inverno, in questa primavera, quando il simpatico Michele da Filottrano, un'aria da eterno bonaccione e quel sorriso di chi, bene o male che sia il destino, sembra non prendersi mai troppo sul serio, si è messo in testa che questo Giro d'Italia sarebbe stato diverso. Quelle salite non lo avrebbero dovuto respingere, giammai, piuttosto si manda in frantumi l'anima. Il tempo delle giornate all'arma bianca, senza doversi curare di questo o quel campione da non far scappare, c'è già stato l'anno scorso, quel 2009 che ritrovava a tutti gli effetti un corridore approdato ai vertici con l'obiettivo di restarci. Dalla Tirreno-Adriatico, vinta col conforto della propria gente, passando appunto per un Giro in cui la classifica era diventata ben presto pensiero d'altri, lasciando che fosse lui come i tanti che ci provavano uno di quelli che dovessero gettarsi all'avventura per conquistarsi i traguardi di giornata. La maglia azzurra di Mendrisio fu coronamento e forse l'inizio del percorso nuovo, verso quel Giro d'Italia intriso di aspettative, di sogni, di quella sua fascinosa atmosfera che sembra farsi irragiungibile. E giù di nuovo a frustare in salita alla Tirreno, a eleggersi vincitore morale contro la frustrante legge dell'abbuono  inscenata nel proprio regno, lì a volare sulle strade di Lombardia, sul Colle Gallo prima ed in lungo e in largo tra bresciana e bergamasca, quasi fosse che lì sarebbe stato di nuovo il giorno. E così fu, un mese e mezzo dopo siamo qui all'Aprica senza sapere se la Settimana Lombarda sia stata ulteriore ispirazione per virtù da profeta ma quest'oggi Michele è la che per un giorno guarda lui dall'alto in basso, dopo una strenua difesa alle spalle degli ossessi in maglia Liquigas impegnati a ribaltare il Giro. Loro, i due indemoniati che potevano dare una svolta anche al suo di Giro, quello di Michele Scarponi da Filottrano. La fuga di Jackson Rodriguez era più di un segnale, il tranciante tratto iniziale del Mortirolo la certezza, la sofferenza degli Evans, dei Sastre, dei Vinokourov e degli Arroyo pian piano lasciati dietro la scintilla che era il momento di agire, di non mollare, di dimostrare che se la salita dà i suoi verdetti quest'oggi non sarà avara e distribuirà equamente.

Scarponi a ruota di Basso e Nibali sul Mortirolo. La miglior immagine del Giro dell'aquila di Filottrano, quel Giro da rincorrere fin dall'Olanda con il suo prologo a cronometro, i ventagli da evitare per non imbarcar secondi o, peggio, minuti e la soddisfazione per il pericolo scampato. La rincorsa ripresa in una cronosquadre dove il pagar dazio era da mettere inevitabilmente in conto. La rincorsa, ancor più vera, verso Montalcino con quella curva che lo trasformò in palla da bowling a far strage di maglie Liquigas e quei bucanieri che davanti intanto iniziavano a darsele sotto la pioggia e fango. In quello sterrato più maledetto che benedetto il Giro di Scarponi è rinato una prima volta, con quel minuto circa rimontato, con rabbia, con grinta, mentre la vittoria pian piano se ne andava. Il Giro di Scarponi che è dovuto rinascere di nuovo, scavalcando gli agguati d'Abruzzo dove il richiamo dei commensali mandati avanti per partecipare a quella tavola più che imbandita era mossa buona ma pericolosamente tardiva. Sventole di minuti da ripianare e salitelle marchigiane da onorare non solo per amor di patria ma per cominciare a risalire, prima dei giorni verità. L'abbiamo rivisto, lo Scarponi che rinasce, sullo Zoncolan e che nobilmente, dignitosamente si faceva da parte, aspettando l'occasion propizia, lasciando che quella lotta tra Basso ed Evans, per molti la più degna che si potesse desiderare, fosse da eleggere come quella tra i reali giganti della strada e delle pendenze. Scarponi che soffre, sbuffa, non perde il sorriso e punge come una zanzara, che non si piega troppo sul Plan de Corones e che stocca sul traguardo di Peio Terme, perchè anche un secondo, un banalissimo e quasi insignificante secondo può essere l'inizio della musica che cambia, lì dove gli avversari si mettono uno per angolo.

Sogghignava il buon Michele mentre lo scenario della Valcamonica preparava i rovesci che sarebbero piombati sulla geografia, lì poco dopo Mazzo dove il...mazzo bisognava iniziare a farselo (e a farlo) davvero. Cedono atleti, l'ardimentoso Garzelli sta per concludere una struggente danza mentre un'orgogliosa schiera di nobili si sfianca ma non muore, naviga a capo chino, umor cupo ma senza andare alla deriva. Lui, Michele, sempre là, dietro a Basso e Nibali ma davanti ad Evans, il campione del mondo che oggi resta dietro, il Golia iridato che cede il suo proscenio a questo "Davide" marchigiano. Su, sempre più, con quegli schizzi di pioggia associati al pensiero di una discesa che fa tremare, e la vetta è conquistata. E poi, giù, sempre a ruota, sempre a sperar che la traiettoria sia quella giusta per non compromettere tutto, per non render la rincorsa ancor più dura, per non dire impossibile. E quell'orgoglio meraviglioso di Arroyo da combattere, il sognatore rosa che vuol continuare a vivere il suo sogno e non farlo precipitar nell'incubo di una trappola. Uno spagnolo che rincorre quanto Scarponi quei due dannati in maglia verdechiaro. Ma Michele ha qualcosa da farsi perdonare, il ruzzolone di Toscana qualche segno pesante poteva lasciarlo. E poi c'è una vittoria da rincorrere, sperando che chi sta ribaltando il Giro continui a pensare solo a quello. Si inizia a menare, "trenare" quanto si può, assieme a quei due e a quell'Ivan scatenato che oggi vuol riprendersi tutto. Dietro gruppo infoltito, nobilitato ma forze poche e speranze men che meno. Corteno Golgi sembra la porta del Paradiso, la strada verso Aprica dolce e maledettamente traditrice per chi non sa prenderla. Il vantaggio sale, lo sforzo prosegue ed anche per due tori scatenati giunge la razionalità mista a riconoscenza verso chi sta scrivendo il destino con loro. La Toscana è alle spalle come il rosa di Arroyo, Scarponi si porta avanti lì dove occorre ancora, negli ultimi duecento metri, lì dove la tappa si va a vincere. E sono braccia al cielo, per la terza volta in due anni, sotto il cielo grigio che non li omaggia di sole ma che rende onore alla rivincita dei reietti, quelli per cui il passato è passato, non si dimentica ma si va avanti, verso la rinascita, nella dura risalita del Golgota. 

L'ha inseguita la vittoria Michele ed una nuova rincorsa già lo aspetta: quel podio così possibile oggi, attraverso i ribaltoni dell'Aprica.  Attraverso la compagnia audace e spietata di Nibali e Basso, uniti nella loro rincorsa rosa. Il Gavia severo fa meno paura, se sulla strada trovi gli alleati giusti. 

E quell'occhiolino irriverente lo inquadra perfettamente lo Scarponi nuovo. Lo Scarponi che sogna, sbuffa, si sfianca. Ma rincorre un podio.

Vivian Ghianni

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