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Giro d'Italia 2010: Leprotti divenuti gazzelle - E il gruppo sbaglia i conti...

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Curiosa espressione del giapponese Arashiro a fine tappa - Foto BettiniSe ci fosse una razionalità lineare, nel ciclismo, basterebbero poche somme e qualche test per risolvere le cose. Oggi il Giro era tutto una dolcezza, dai gentili pavesini di Novara al cioccolato della borghese e salottiera Novi, colli levigati, mai uno spigolo. La leggenda di una leggiadra principessa arroccata nel forte di Gavi, patria del raviolo. Cortese DOC pure il vino. Non propriamente una foresta per agguati.

I principi del gruppo ancora impegnati a digerire i colpi dati e ricevuti fin qui, accerezzavano i pedali sfiorandosi con rispetto nelle prime posizioni del gruppo. Aria di storia già scritta, insomma. Paul Voss sa di non poter scolpire il suo nome su una cima Coppi, ma almeno su un passo Coppi sì. Si fa mettere perfino il nastro verde sul manubrio intonato alla maglia tanto ci crede. Umilmente fatica, annaspa, lo stile non si addice molto al rango ciclistico sublime dei luoghi, ma chino sul manubrio si conquista il primato sul prestigioso transito.

Nella tappa della storia, c'è spazio anche per le gesta di un giapponese, altro emblema, ma della modernità. Arashiro fa il gioco del fuggitivo contemporaneo. Tutto il giorno in fuga, ma mai a tutta. Se il gruppo lascia andare, perchè sforzarsi troppo? Quando faranno il diavolo a quattro per rientrare, allora dal cappello si tirano fuori le energie migliori e all'improvviso da leprotto ci si trasforma in gazzella. Sistema che profuma di pacata saggezza orientale in fondo. Ma anche il giochino del fuggitivo contemporaneo, saggezza o no, è per lo più destinato a morte certa. Tranne quando il dio del ciclismo vuole cogliere l'occasione per ricordare appunto che la razionalità lineare non è un assioma di questo sport. Per lo meno non tanto quanto lo sono le gambe.

E proprio oggi, perdoneranno i più agnostici e disincantati, era una giornata appropriata per il dio del ciclismo, per antonomasia protettore del fuggitivo. E nel giorno seguente ad una cronosquadre come quella di ieri, vuoi perchè meteorologicamente probante, vuoi perchè così subdola nel tracciato che obbligava al sacrificio finale, i conti tornano ancora meno del solito. 1' in 10 km è il calcolo solito che fa il gruppo per mantenere la giusta traiettoria di risucchio delle fughe e piombarvi sopra giusto in tempo per scoraggiare altri tentativi. Ai 10 km. infatti, come ordina il computer, 58", in linea perfetta di atterraggio. Ma quando si è trattato di effettuare il normale cambio di marcia nessuna squadra ne ha avuto la capacità, tanto che ai 5 km., fiutato il pericolo, la Sky del non certo favorito Henderson ha preso in mano la situazione, dando un violentissimo strattone a tutto il gruppo e riportandolo a distanza di un centinaio di metri alla flame rouge. Ma questa fiammata ha letteralmente bruciato la compattezza di ogni squadra e a quel punto ogni sprinter era a sè stante, e la corsa è finita lì.

Pineau così aggiunge una altra perla al diadema Quick Step, forse incredulo di tanta grazia, perfino dell'autoimmolazione di Arashiro (d'altra parte, con quel nome...) che agli 800 metri dà una altra gigantesca mano alla causa della fuga, con una ultima decisiva sferzata in vista del traguardo, perfetto lancio per lo sprint degli altri due. Con l'impressione di una certa impotenza a ricucire una tappa così semplice, forse un tracciato più intessuto di insidie avrebbe trovato il giorno ideale per scrivere una storia più appassionante. I pirati (con la p minuscola...) del gruppo avranno preso nota e forse affilano il coltello sul profilo delle prossime tappe. Una lunga fuga che arriva, uno sprint a ranghi sparsi. Pare il finale di una corsa antica, in fondo era il giorno giusto.

Elisa Rossi

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