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Oscarito, sei un mito! - Freire mata la terza Classicissima

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Oscar Freire è un diavolo d'uomo. È uno dei rari casi di sportivi vincenti senza essere detestati/invidiati dalla maggior parte dei rivali. Perché il piccolo cantabro che ha da poco compiuto 34 anni è un tipo molto bohémien, vince a sprazzi ma sempre grandi corse, dà l'impressione di non allenarsi al meglio ma poi ecco che ti lascia la zampata in un Mondiale (per tre volte!) oppure, è il nostro caso più attuale, in una Milano-Sanremo (anche qui siamo arrivati a contare tre affermazioni del furetto spagnolo).
Vince meno di altri, non è mai stato un cannibale, eppure quando è dalle parti di un traguardo importante e ha una condizione almeno discreta, è facile ritrovarselo davanti a tutti, anche se ha avuto cura di giocare a nascondino nelle gare di avvicinameno all'appuntamento grosso. Esattamente quello che è successo oggi a Sanremo.
Praticamente invisibile all'ultima Tirreno-Adriatico, Freire ha invece dato un saggio di esperienza e presenza nella Classicissima. Del resto, fosse la prima volta che Oscar fa un'impresa del genere, potremmo pure stupirci; ma siamo talmente abituati a questi exploit, che tutti avevamo previsto anche quest'epilogo, tra i vari possibili di questa Sanremo 2010.
Un'edizione umida per la pioggia che l'ha accompagnata nella prima parte e per la bassa pressione che ne ha caratterizzato il finale, quando si sono susseguiti i tentativi di attacco senza che i big (tra quelli che avevano l'interesse ad anticipare la volata) riuscissero a promuovere una vera azione decisiva.

La fuga a tre e il gruppo spezzato
I primi 200 chilometri sono tutti per Caccia, Ratti e Piemontesi, in fuga dal km 1 e passati da un vantaggio massimo di 22' (toccato al km 67) ad una forsennata difesa del declinante margine sul Turchino, almeno per guadagnarsi qualche minuto di diretta tv prima di essere ripresi. Ma il gruppo ha fatto la salita a un buon ritmo, e il destino dei tre è parso presto segnato. In cima, sotto la galleria, Murilo Fischer è caduto, e sulla stretta strada il plotone fatalmente si è frazionato. In 81 davanti, tutti gli altri dietro: e tra questi altri nomi di rilievo come Cunego, Andy Schleck, Van Avermaet, Rojas, Hutarovich e anche Mark Cavendish, detentore della corsa, che aveva già i guai suoi e deduce che la fortuna non è troppo dalla sua in questo periodo.
A fine discesa, preso atto che tra i due tronconi del gruppo c'era un minuto tondo, Pozzato ha iniziato a pregustare qualcosa di buono e ha messo i suoi a tirare. All'imbocco delle Mànie la corsa si è confermata più confusa che mai: un'altra caduta (di Codol) ha spezzettato anche il gruppo degli 81, ma dopo la discesa, fatta col freno a mano tirato da quelli che erano davanti (e che avevano nel frattempo ripreso i tre fuggitivi del mattino), i rientri da dietro hanno iniziato a moltiplicarsi.

L'attimo non colto, le schermaglie sui Capi
Quelli che erano i 40 battistrada in cima alle Mànie avevano un'occasione unica: coi ritardatari del Turchino a 1'10" non c'è stata una squadra che sia stata in grado (o abbia avuto il coraggio) di prendere in mano la situazione, probabilmente perché mancavano parecchi gregari all'appello e i capitani trovatisi a decidere là per là se spremersi a 90 km dall'arrivo hanno optato per una scelta conservativa: il solo Failli, per l'Acqua&Sapone, si è incaricato di fare un ritmo risultato presto troppo blando per impedire a chi era dietro di riportarsi a galla: prima quelli staccatisi sulle Mànie (ma tra questi anche Cunego, autore di una grande discesa), poi anche quelli che erano rimasti attardati dalla caduta di Fischer. Fatto sta che a 70 km da Sanremo il gruppo era di nuovo al completo, compreso un Cavendish ammaccato nell'anima più che nel corpo.
Tutti insieme appassionatamente, e appena in tempo per l'assalto ai tre Capi. Prima del Mele è stato il francese Bouet a provare l'assolo, e il 23enne della AG2R è rimasto in avanscoperta per quasi 20 km, mentre alle sue spalle un settetto (Grabovsky, Sentjens, Mazzanti, Hoj, Monfort, Beuret e Mori) tentava a sua volta la carta dell'evasione.
Bouet, che ha avuto anche 1'30" sul gruppo (e 45" sui 7), si è visto raggiunto sul Berta da un notevole contropiede di Grabovsky (che poi ha tirato dritto, rimanendo in testa per una decina di chilometri, con un margine mai superiore al mezzo minuto), ma intanto il gruppo era andato ben riorganizzandosi in tutte le sue componenti, in vista dell'approccio alla Cipressa.

Lo sparpaglìo definitivo
Pure troppo riorganizzato, il plotone, se è vero che la salita di Costa Rainera non ha sconvolto più di tanto la situazione, almeno sulle prime: la Katusha aveva preparato il terreno a un qualcosa, ma l'affondo di Pozzato non s'è visto (anzi Pippo è stato un po' a ridosso dei primi nella prima parte di scalata). Al suo posto, si è mosso il compagno Kolobnev, ben tenuto dalla ferrea difesa di Pellizotti, primo uomo Liquigas a mettere in campo l'artiglieria: con loro due, un Garzelli pronto al sacrificio per ripagare Paolini di avergli porto la Tirreno su un piatto d'argento. Ma con Cunego (brillante fin qui), Gavazzi, Ginanni, Pozzato, Gasparotto, Scarponi e via via tutti gli altri lì a un colpo di pedale di distanza, non si può dire che il trenino di Kolobnev abbia spaccato il mondo.
Eppure tanto è bastato, un aumento di ritmo (poi rilanciato da Kreuziger - sempre Liquigas, sempre Bennati a beneficiare di tanto movimento - nella parte finale di salita) per mandare definitivamente fuori giri molti motori, già provati dai tiramolla che si susseguivano sin dalla partenza (o quasi). Nel momento in cui tanti sbandavano, Ginanni si è ricordato di essere un ottimo attaccante e ha provato a sorprendere il mondo in discesa. In tre l'hanno subito seguito (Bernucci, Chavanel e ancora un tostissimo Pellizotti), un quarto (Paolini) s'è aggiunto di lì a poco, ma l'avanguardia del gruppo (di quel che ne restava dopo la Cipressa: molto poco), con Flecha, Pozzato e Garzelli a presidiare le prime posizioni, era appena dietro, e ben prima del Poggio la corsa aveva selezionato i 30 che si sarebbero giocati la vittoria a Sanremo.

Poggio troppo blando o velocisti troppo bravi?
Se in una grande classica restano in gioco, a fine gara, meno di tre decine di uomini, si tende a pensare alla categoria dei finisseur, dei diesel, di quelli che escono alla distanza. Che cosa pensare quindi del fatto che invece, stavolta, i velocisti più forti, all'appropinquarsi del Poggio, fossero tutti in gara, e pure abbastanza ben messi (a parte Cavendish, staccato e ristaccato; e a parte il più deludente di giornata, Boasson Hagen)? Probabilmente che gli sprinter tendono a preparare la Sanremo in maniera molto più certosina rispetto ai colleghi, i quali, in questo preciso momento storico, tendono a privilegiare altre corse: un Pozzato, che la Classicissima l'ha già vinta, avrà cercato il picco oggi, o l'avrà previsto nei dintorni della Roubaix? Un Cunego potrà mai giocarsi tutto nella prima delle classiche monumento, quando sa che ha ben più chance di lottare per i successi ardennesi?
Di fatto, dopo un estemporaneo (ma bello) tentativo del francese Offredo, sul Poggio nessuno dei big della volata ha mollato la presa. C'è stato qualcuno a cui l'impresa è riuscita meglio: uno scintillante Petacchi, costantemente in terza ruota, con Bernucci a fendergli l'aria alle spalle di un Garzelli ancora scatenato nel tentativo di scremare lo scremabile per rendere le cose più facili a Paolini in volata; o un magnifico Freire, che non ha perso un colpo di pedale, instillando in tutti i rivali quel giustificato terrore per quel che il cantabro avrebbe potuto fare sul rettilineo finale.
E c'è stato qualcuno che ha dovuto faticare più di altri per tenere le ruote dei migliori: Boonen, per esempio, che un paio di secondi di apnea li ha pure vissuti; o Bennati, il cui stazionare nelle retrovie del drappello di testa ha iniziato a preoccupare casa Liquigas.
Talmente preoccupato, lo stato maggiore dei verdi di Amadio, da mettere in cantiere un'alternativa: dopo i vani tentativi di Garzelli, poi di Rogers, poi di Gilbert in coppia con Pozzato (per tutti un vento contrario ad annacquarne le polveri), allo scollinamento le distanze tra i 30 erano comunque minime, anche se i più brillanti (i già citati Gilbert e Pozzato, poi Ginanni, Nibali, Hushovd e Breschel) avevano preso qualche metro di margine. E allora proprio la Liquigas, con Nibali, ha tentato l'assalto all'arma bianca in discesa: un paio di curve in cui ha rischiato di saggiare le potenzialità respingenti dei muretti, un paio di cambi dati da Ginanni, a sua volta indemoniato nelle picchiate, ma malgrado l'impegno, Nibali non è riuscito a fare la differenza.

Nibali, Pozzato, e poi un Freire monumentale
Per nulla fiaccato nel morale da quanto fin lì accaduto, Vincenzino ha provato ancora a dare una botta: ai 3 km, in contropiede, il siciliano ha apposto l'ultimo dei suoi sigilli a una Sanremo corsa da buon protagonista. Ma ha subito dovuto lasciare il proscenio allo scatto più bello della giornata, quello che ha proiettato Pozzato verso la dimensione vissuta nel 2006: ma per il vicentino stavolta non c'è stata gloria, perché nonostante la bellezza del gesto, e nonostante il buon margine guadagnato sul gruppo (un margine che, se confortato da una gamba all'altezza del progetto, avrebbe davvero potuto regalargli la seconda affermazione sanremese), ai 1500 metri Filippo ha di colpo finito la benzina, praticamente fermandosi e aspettando il ritorno dei 30 inseguitori.
A quel punto, mandate in soffitta le ultime velleità anticipatrici dei non velocisti (appurata anche la scarsa vena di un Cancellara poco pervenuto, per quanto presente lì coi migliori), non rimaneva che vivere il film della volata. Il Bennati pallido del Poggio, anche grazie a un lavoro magistrale del giovane Oss, è riuscito a trovarsi davanti a tutti i rivali all'ultimo chilometro. Alle sue spalle, in agguato, Freire e Boonen, più indietro Petacchi e Paolini, enormemente più indietro Sacha Modolo, fin qui non citato, eppure in grado di tenere fino alla fine alla sua prima Classicissima (ad appena 22 anni).
Un Oss allo stremo delle forze ha fatto la locomotiva fino alla fine, lanciando il suo capitano ai 200 metri. Ma a quel punto a Bennati è mancata la gamba: laddove Petacchi, nel 2005, andò a vincere partendo quasi da fermo in un identico spazio, l'aretino ha dimostrato di avere ancora qualcosa che gli manca per ambire a vincere una corsa tanto pesante. Il che non vuol dire che in futuro Bennati non possa ulteriormente crescere, ma dispiace pensare alla notte che passerà il corridore di Cortona (pensando al lavoro dei suoi così malamente sprecato - cfr. pugnetto di Oss sul manubrio lì all'arrivo), per di più alla luce del tormento interiore che l'avrà lacerato in quegli ultimi 2 km, quando, costantemente in seconda posizione (quindi tutto sommato ben messo per lo sprint), avrà rimuginato dolorosamente sull'imminente nefasto (per lui) epilogo, un epilogo che ovviamente, sentendo la gamba vuota, il buon Daniele avrà avuto tutto il tempo di prefigurarsi in quegli interminabili 2000 metri.
Freire non ci ha pensato un attimo, ai tormenti interiori dell'avversario: agguantata rabbiosamente la ruota di Daniele, lo spagnolo lo ha saltato nettamente, prendendo subito una bicicletta di margine, e respingendo impetuosamente la tentata rimonta di Boonen; mentre Bennati naufragava (quinto alla fine) e Petacchi, rimasto troppo presto al vento pur essendo dietro ai primissimi, provava a sua volta ad arrampicarsi almeno sul podio (missione compiuta), Oscarito andava a cogliere la sua terza Milano-Sanremo, un tris che fa il paio con quello iridato e che conferma il cantabro come uno dei massimi esponenti del ciclismo di questi anni, un protagonista capace di dispiegare le sue splendide vittorie sull'arco di tre decenni (il Mondiale di Verona data 1999) e ancora in grado di dire e dare tanto in questo sport (e la prova iridata di Melbourne, quest'anno, potrebbe ancora sorridergli).
E poi Modolo: sì, perché dietro a cotanto podio (Freire-Boonen-Petacchi, in tre quasi più quarti di nobiltà di tutto il resto del gruppo) fa capolino il giovanotto della Colnago, che ha infilato un piazzamento dietro l'altro in quest'avvio di stagione e che non ha mancato di onorare al meglio il giorno più importante della sua stagione: quarto alla Sanremo a 22 anni, come dire che per l'Italia che sprinta (e che quindi è parecchio interessata alla Classicissima), c'è un raggio di luce che ha appena iniziato a propagarsi nell'etere: in molti hanno trovato un corridore per cui tifare nei prossimi anni, quando, a fine marzo, il gruppo tornerà puntualmente a prendere il via dalla mattina milanese per raggiungere la Riviera dei sogni di tanti.

Marco Grassi

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