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Flecha nera a bersaglio - E a Cagliari Loddo fa il capolavoro | Cicloweb

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Flecha nera a bersaglio - E a Cagliari Loddo fa il capolavoro

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Gli dice bene, a Juan Antonio Flecha, che nel ciclismo una delle specialità in cui la longevità non è necessariamente deleteria è proprio il nordismo. Ovvero la pratica delle classiche del pavè, che storicamente hanno spesso sorriso a uomini stagionati e rotti ad ogni esperienza in bici: ecco, la parola chiave: esperienza. È anche una questione di matematica, di grandi numeri, a pensarci bene: ogni cacciatore di grandi corse fiamminghe ha da scontare, nell'arco di una carriera, tutta una serie di colpi di sfortuna: forature e cadute sono i più consueti incidenti su queste strade, ma non è raro incappare in episodi più bizzarri (chi non ricorda George Hincapie che rimane col manubrio della sua bici in mano?), e fra tutti proprio lo stesso Flecha ne sperimentò uno particolarmente doloroso, allorquando si sentiva in tasca la Gand-Wevelgem 2005, ma si vide piombare addosso Mattan, che era lontanissimo prima di essere trainato da una moto che lo portò dritto dritto alla vittoria.
E così, tra una beffa subìta e un errore tattico (grande specialità di casa Flecha), tra un attacco entusiasmante e un piazzamento dopo l'altro (Gand 2004 7°; Gand 2005 2°; Roubaix 2005 3°; Roubaix 2006 4°; Het Volk 2007 2°; Roubaix 2007 2°; Brabante 2008 3°; Fiandre 2008 3°; Het Nieuwsblad 2009 3°; Roubaix 2009 6°), un lustro è trascorso affermando in ogni caso una verità incontrovertibile: lo spagnolo di madre italiana è uno dei grandi protagonisti del pavè (tanto da meritarsi l'orgoglio di un Van der che viene affettuosamente apposto al suo cognome), anche se a zero vittorie.
Quindi, per la sua maggiore esperienza e il maggior credito nei confronti dei suddetti numeri, non ci possiamo stupire se oggi, finalmente (e guarda caso proprio a Gand, dove subì il clamoroso furto 5 anni fa), Juan Antonio ha segnato un 1 in schedina, portandosi a casa la vecchia Het Volk (che ora è restylizzata in Het Nieuwsblad). E siccome la girandola della malasorte non si ferma mai, sulle pietre belghe, abbiamo anche un notevole elenco di disgraziati di giornata, elenco capeggiato da un Nick Nuyens che era particolarmente scatenato ma è stato fermato da due forature: alla prima, a 55 km dalla fine, ha messo una toppa grazie al compagno Flens che gli ha subito allungato la sua ruota. Tanto impegno per rientrare sui più forti, qualche chilometro per respirare, ed ecco Nick all'attacco, a 27 dal traguardo: ma quando era nel gruppo buono (di cui parleremo più avanti), il capitano della Rabobank ha ri-forato (ai 23 km), e ciao patria.
Non solo Nick: un altro trombato eccellente è Tom Boonen, che come spesso gli capita faceva le scintille già a oltre 50 km dal traguardo (sul Taaienberg), attaccando per sondare il terreno e provocando da subito parecchi danni; ma quando, dopo essersi messo in luce anche sul Molenberg, si è arrivati ai momenti decisivi della giornata, ecco ai 26 km la foratura maligna che manda a gambe all'aria il progetto del campione nazionale belga. E che dire di Gilbert, che era caduto a 40 km dalla conclusione? Niente.
Molto ci sarebbe invece da dire del vecchio Frédéric Guesdon, lui che una Roubaix l'ha vinta una vita fa (nel '97) e che a 38 anni si toglie ancora lo sfizio di starsene tutto il giorno in fuga tra muri e settori di pavè: con Veuchelen, Klüge e Curvers, Guesdon ha animato la corsa sin dal km 10 riuscendo poi a tenere i migliori nel finale (idem Curvers), e guadagnandosi di diritto un posto tra gli "scommettibili" in vista della Roubaix (con una quota alta, ma far parte di certi club è già una bella soddisfazione).
Quando Boonen ha iniziato a picconare il gruppo sul Taaienberg, tra i più svegli e reattivi c'era Quinziato (non Ballan; Pozzato invece c'era ma si nascondeva), ma anche Flecha, Roelandts, Boasson Hagen, Van Avermaet, Chavanel, Gilbert, Posthuma e Haussler. Questi ultimi tre hanno chiuso su Tom, dopo l'Eikenberg, poi Haussler ha provato a sua volta un allungo solitario ma tutte le carte si sono rimescolate ai 40 km (quando è andato giù Gilbert, per la precisione).
Tanti scatti (intanto davanti erano rimasti in tre, essendosi staccato da tempo Klüge), ma nessuno decisivo; a 26 km dalla fine la svolta: Gilbert, Flecha, Nuyens e Roelandts si sono riportati su Guesdon e Curvers (anche Veuchelen aveva mollato nel frattempo), e Boonen ha perso il treno giusto solo a causa della concomitante foratura. Altri tre chilometri e anche Nuyens, come spiegato sopra, alzava bandiera bianca, e mentre la Cervélo organizzava le operazioni di inseguimento, sul tratto in pacé di Lange Munte (a 19 dal traguardo), Gilbert aveva l'infelice idea di attaccare. Invito a nozze per Flecha, che anziché mettersi a tirare come un mulo (secondo quello a cui ci aveva abituati), si è fatto trainare per qualche centinaio di metri e poi è partito secco in contropiede.
Il tramestio alle sue spalle (Gilbert che inseguiva da solo, poi con Roelandts e Guesdon, poi agli 8 km il primo gruppo ricompattato, poi un assalto disperato e vano di Haussler, poi le sparate finali di EBH e infine dei velocisti) non ha mai, neanche per mezzo minuto, messo in discussione la vittoria di Flecha: guadagnati subito 20", portato poi il margine a 30 in un paio di chilometri, lo spagnolo ha amministrato il vantaggio senza farsi prendere dall'ansia (in alcuni momenti aveva l'espressione di chi sta pedalicchiando fino al supermercato per comprare il pane) e ha potuto così, finalmente, alzare le braccia (non prima d'aver mimato l'atto dello scoccare una freccia) sotto uno striscione fiammingo.
Dietro di lui, dopo aver tentato di inseguire da solo, Haussler ha trovato ancora le energie per sprintare per il secondo posto, precedendo un Farrar che dimostra di poter ambire a questo tipo di gare, in futuro. Quarto l'ottimo Luca Paolini, decimo Pozzato, e domani si bissa con la Kuurne-Bruxelles-Kuurne.

Nel primo sabato veramente affollato di corse interessanti in questo 2010, si è concluso a Cagliari il Giro della Sardegna. E si è concluso nel migliore dei modi, tutti felici e contenti, da Kreuziger che si porta a casa la generale, a Petacchi e Gatto che, pur battuti, hanno sprintato malgrado il pericoloso capitombolo di ieri. Il più felice di tutti però, e come potrebbe essere altrimenti, è proprio un cagliaritano. L'unico, in città, che indossi una divisa ufficiale di una squadra professionistica: Alberto Loddo, alfiere dell'Androni di Savio&Bellini, ma oggi più che mai simbolo sportivo della Sardegna.
Uno veloce, Loddo, che ha vinto gare ai quattro angoli del pianeta (quando va in Malesia trova i cartelloni pubblicitari del Langkawi con la sua effigie 6x3), e che però, per uno strano caso, non si era mai imposto in Italia. Per rompere il digiuno non c'era allora occasione migliore di questa tappa nella sua città: correre in casa è una condizione che per i continentali non è poi così strana, ma per un isolano può essere un evento più unico che raro. Sfumata la sua partecipazione al Giro 2007 (che partì proprio dalla Sardegna) a causa del mancato invito di Zomegnan alla sua squadra, Loddo si è così ritrovato oggi ad avere l'occasione sempre sognata: arrivo a Cagliari, qualche avversario (i già citati Petacchi e Gatto) acciaccato, e soprattutto una voglia indescrivibile di lasciare un segno tra la sua gente. Quella gente che è esplosa in un vero e proprio boato quando Alberto ha alzato le braccia al cielo davanti a un Petacchi che, già battuto, aveva smesso di pedalare negli ultimi 30 metri della tappa. Difficilmente si dimenticherà, il simpatico Loddo, di quella volta in cui vinse per la prima volta in Italia, in Sardegna, nella sua Cagliari.

Marco Grassi

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