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Non solo velocista: Agne Bagdonaviciute - Alla scoperta del nuovo acquisto Selle Italia

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Quest'anno i più attenti la ricorderanno per alcuni ottimi piazzamenti nelle volate da Cornaredo, a marzo, al Giro di Toscana, a settembre. A fine stagione, ci racconta la sua storia.

Agne, descriviti come faresti a uno sconosciuto, in 2 righe...
«Sicuramente la prima cosa che direi è che sono iperattiva, la seconda è che sono molto ottimista. Ho studiato ma ho dovuto lasciare gli studi per venire a correre in Italia, con la speranza, un giorno, di poterli riprendere».
Qual è stata la persona più importante per te nella tua vita da ciclista?
«Non voglio sminuire i consigli e l'affetto di tante altre persone importanti che comunque mi hanno dato tanto, ma senza dubbio la persona più importante nella mia vita da ciclista è stata il mio babbo! Mi ha iniziato al ciclismo, ha sempre creduto in me e mi ha dato la forza per andare avanti».
Se dovessi indicare una "collega" che rappresenti un modello per te, quale nome faresti?
«Se me l'avessi chiesto qualche anno fa, sicuramente avrei detto Diana Ziliute. Col passare del tempo ho capito che le sue caratteristiche non si abbinano bene col mio fisico e quindi dico Ina Teutenberg e Regina Schleicher».
Una velocista, dunque. Hai mai provato a fare pista?
«Certo. Tra le Juniores sono stata vicecampionessa mondiale juniores nella corsa a punti e bronzo europeo nell'inseguimento individuale, entrambe le cose nel 2003. Poi ho corso su strada e poi ancora in pista, per poi ritornare definitivamente su strada. Dunque i velodromi li conosco bene...»
Fare pista e strada, nella stessa stagione, è possibile?
«Solo per Vos e Van Moorsel. Anzi no, gente come Vos e Van Moorsel possono fare strada e pista e vincere su strada e su pista. Noi altre potremmo anche fare l'uno e l'altro ma certamente non con buoni risultati in entrambe. In definitiva, bisogna scegliere».
Gli appassionati italiani ti hanno imparato a conoscere solo quest'anno. Raccontaci un po' il percorso che ti ha portato da Kaunas, la tua città, fino a Marina di Pietrasanta, dove hai vissuto fino a qualche giorno fa.
«All'inizio, come un po' tutte, ho corso in Europa sempre con la selezione nazionale lituana. Nel 2005 ho pensato che forse era arrivato il tempo di lasciare tutto per provare ad andare da sola e allora sono andata in una squadra olandese. I primi tempi non nascondo che è stata dura, durissima, ma devo dire che è stata un ottima scuola per imparare a fare veramente la ciclista. Dopo i due anni olandesi ho avuto una buona offerta per correre in pista in Lituania e ho provato anche quest'esperienza che mi ha fatto capire che la pista non era per me...(ride). Alla fine dell'anno scorso ho deciso di ritornare su strada e ho trovato un accordo con il Team System Data con cui ho corso per tutta la stagione».
Correndo in Olanda non avrai potuto evitare le famigerate corse sul pavé: Het Volk, Fiandre, Ronde van Drenthe...
«Sì e mi sono piaciute molto. Certo, ogni volta è un disastro tra pioggia, freddo, cadute, forature, ma io non ho mai avuto problemi a correre in quelle condizioni e sono riuscita a fare anche prove discrete».
Perché una ragazza lituana viene a correre (e vivere) in Italia?
«Sicuramente perché in Lituania non c'è la possibilità di correre ad alti livelli, quindi per poter sfondare devi andare altrove. Proprio in Italia sicuramente per il suo clima, ideale per allenarsi tutto l'anno».
Tracciamo un bilancio di questo primo anno "italiano":
Dal punto di vista professionale, dell'atleta Agne Bagdonaviciute.

«Sono stata in un team che mi ha fatto sempre sentire a mio agio, trovando un posto perfetto per gli allenamenti, per le gare e per fare la vita da atleta».
Dal punto di vista umano, di Agne Bagdonaviciute, ragazza 23enne, a più di 2000 km da casa.
«Per questo aspetto non vi nascondo che la mancanza degli affetti familiari si è fatta sentire in qualche occasione, ma anche grazie alla mia compagna di casa Erika Vilunaite ho superato quei momenti. D'altronde la vita dei ciclisti è così: una volta in un posto, un'altra volta in un altro...»
Qual è il ricordo più bello da quando hai cominciato a correre?
«Di certo la prima vittoria "seria", all'età di 15 anni, quando ho vinto una gara internazionale di cinque giorni contro ragazze anche tre anni più grandi di me. Ero contentissima, non lo dimenticherò mai. Nessuno fino ad allora aveva creduto in me, a parte mio padre che mi diceva che quella sarebbe stata veramente la mia strada...»
Per l'anno prossimo, sappiamo che approderai alla corte di Walter Zini, alla Menikini, nel 2008 sicuramente il team italiano più competitivo. E, se non abbiamo fatto male i conti, con l'abbandono di Rochelle Gilmore, non hanno una velocista di riferimento. Questa cosa ti stimola o ti intimorisce?
«Sono molto contenta di far parte di una squadra di così alto livello e il fatto che non abbiano una velocista importante mi stimola tanto ma allo stesso tempo mi carica di responsabilità. Spero che tutti insieme riusciremo a fare una buona stagione e certamente accumulerò esperienze importanti».
Siamo a metà ottobre, la stagione è praticamente finita da una ventina di giorni e ricomincerà tra più di tre mesi. Che farai in questo periodo?
«Sono appena tornata a casa, in Lituania e in questi giorni sto incontrando tutti i miei amici e i parenti che non vedevo da tanto tempo. D'altro canto ho già iniziato a fare un po' di allenamenti leggeri perché per me la prossima stagione inizierà prima di quelle passate, dovendo esordire a febbraio in Qatar. E allora non posso abbandonare la bici per tanto tempo...»
Ora ci concediamo una curiosità personale. Guardando una tua foto in divisa da ciclista ti abbiamo sentito dire che non ti trovi bella come in abiti "civili". Secondo te il ciclismo toglie femminilità ad una donna?
«Secondo me se si vuol essere donna, lo si può essere sempre, indipendentemente da quello che si fa. Il ciclismo toglie un pochino di femminilità, certo. Siamo già in uno sport "maschile", per non diventare come uomini, dobbiamo esaltare ancora di più le nostre doti femminili».

Giuseppe Cristiano

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