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Sì, ci siamo pure divertiti - 10 momenti più belli del 2009

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Immaginiamoci tra vent'anni a chiacchierare della stagione ciclistica 2009 in un bar: quali scene ci ritorneranno alla mente, con un pizzico di nostalgia?

10) La rimonta di Valverde a La Pandera
È l'ultimo arrivo in salita della Vuelta a España. In una piovosa domenica Alejandro Valverde si gioca l'agognata corsa a tappe spagnola, dopo 6 anni in cui il successo è spesso stato vicino ma mai è arrivato. La lunga salita finale a scalini vede il solito forcing Liquigas, e stavolta Alejandro sembra cedere: perde metri dai migliori, che già si sfregano virtualmente le mani. Gli osservatori già vedono la maglia oro sulle spalle di un altro corridore, magari il rampante Gesink, e il solito ridimensionamento di Alejandro, che ancora una volta deve vedersi battuto da corridori più portati per le corse a tappe. No, non questa volta. Alejandro perde un centinaio di metri, poi rimonta: supera Basso ed Evans e si riporta su Gesink. Lo scoglio più alto è superato e stavolta il catenaccio perpetuo di Alejandro, mai all'attacco in tutta la stagione se non al Delfinato, premierà. La Vuelta non sarà finita sulla Pandera ma da lì in poi i rivali saranno visibilmente scoraggiati.


(Superato il momento di difficoltà, Valverde saprà reagire - fonte: Keebali.com)

9) Il ritorno di Vinokourov
Alexandre aveva promesso che sarebbe tornato e non ha atteso più di tanto. Si è imposto nell'Astana e senza tanti complimenti ha cacciato i gringos, costretti a far squadra da sé. Nel frattempo, ci ha regalato 2 mesi di ciclismo champagne, senza grossi risultati (alla fine sono arrivate 2 vittorie a cronometro) ma con tante emozioni: non c'è stata una corsa in cui Alexandre non abbia tentato l'azione nel momento per lui più favorevole, Mondiale e Lombardia compresi: un elemento destabilizzante all'attendismo imperante, come un impiegato che si presenta al lavoro in bermuda piuttosto che in giacca e cravatta. Chissà cosa ci aspetta il 2010.


(Il kazako Vinokourov durante la Vuelta - fonte: daylife.com © Reuters)

8) Finalmente un Eneco Tour godibile
Abbiamo dovuto aspettare un po', va detto. Ma bisogna dire che l'Eneco Tour 2009 è stata una delle più belle sorprese di quest'anno a livello di spettacolo: finalmente la corsa ha raggiunto l'obiettivo prefissato, ovvero portare un pochino della vivacità delle corse del Nord nel periodo estivo. Rendere l'illusione di trovarsi nella settimana santa è pressoché impossibile per via delle condizioni climatiche e dei corridori presenti, ma, nonostante le ancora tante volate, è stato uno spettacolo godibile. E questo perché il percorso è stato finalmente disegnato come gli dei del ciclismo comandano, e cioè col giusto equilibrio tra tappe vallonate e tappe per velocisti. Al resto ci han pensato le potenti rasioiate di Boasson Hagen.


(Edvald Boasson Hagen sul podio dell'Eneco Tour - fonte: EnecoTour.be © Cor Vos)

7) Il finale della Sanremo
Cavendish ha vinto tanto nel 2009, ma il suo successo più bello è stato senza dubbio quello conquistato a Sanremo, sul Lungomare Calvino. Una volata quasi impossibile da concepire, se non si ha l'occhio della pista, un pizzico di follia, delle gambe straordinarie e soprattutto una smisurata fiducia nei propri mezzi. Perché il povero Heinrich Haussler sembrava proprio imprendibile dopo quella fucilata, e i vari Hushovd, Petacchi e Bennati avranno strabuzzato gli occhi vedendo come il folletto di Man conquistava la sua prima (già, difficilmente non ce ne saranno altre) Sanremo. Un gesto tecnico fantastico, che rende memorabile una Sanremo altrimenti orrenda per la totale assenza di azioni.


(Cavendish fulmina Haussler a Sanremo - fonte: daylife.com © Getty Images)

6) Il duello Menchov–Di Luca
I GT del 2009 non hanno brillato per spettacolarità. Al Tour Contador ha fatto capire a Verbier chi comandava, alla Vuelta mancava l'uomo in grado di far saltare il banco. Il Giro è stato reso più godibile (e soprattutto incerto fino all'ultimo) dal dualismo tecnico Menchov–Di Luca: corridore solido e tattico il primo, irrequieto e imprevedibile il secondo. Il russo ha dovuto soffrire fino alla fine ed è stato anche un po' furbetto, visto come ha sfruttato la generosità dei rivali sull'Alpe di Siusi, ma alla fine ha pienamente meritato questo giro, perso da Di Luca anche tatticamente. L'abruzzese ci ha provato fino all'ultimo, tentando anche la carta della bici tradizionale a Roma.


(Denis Menchov incollato alla ruota di Danilo Di Luca - fonte: daylife.com © Reuters)

5) La crono mondiale di Fabian Cancellara
Ci sono atleti che in un particolare esercizio riescono a dare il meglio di sé, mostrando un'armonia e una naturalezza che gli altri non avranno mai, neanche con una carriera di allenamenti. La propensione per la crono è un dono che Fabian Cancellara ha affinato nel tempo, quando poteva cullarsi con la sua superiorità manifesta. E pensare che Fabian la crono dei Mondiali nemmeno voleva farla: voleva concentrarsi solamente sulla prova su strada per conquistare il Mondiale in casa. Che dispiacere, se fosse stato davvero così! Vederlo dimenarsi su un percorso fatto su misura per lui, vederlo limare centimetri in quelle curve mozzafiato, correndo rischi anche quando non ce n'era assolutamente bisogno, vederlo saltare ad uno ad uno i diretti rivali (molto rapidamente, visto che i corridori son sciaguratamente stati fatti partire con 1' di intervallo) è stato uno dei migliori brividi della stagione. Cancelllara non vince le crono solo perché riesce a tenere i rapportoni, perché non perde il ritmo in salita o perché ha una ottima posizione aerodinamica; Cancellara affronta le curve con una velocità di molto superiore ai rivali, e ciò gli permette di mantenere un moto perpetuo esteticamente futurista. Se Boccioni vivesse oggi e avesse la sindrome di Stendhal rimarrebbe secco nel vederlo alla TV.


(Apoteosi elvetica per la cronometro di Cancellara a Mendrisio - fonte: daylife.com © Reuters)

4) L'esultanza composta di Evans ai Mondiali
Un momento che Cadel attendeva da chissà quanto tempo. Anni, almeno 7. In quegli anni gli osservatori avevano detto che non avrebbe mai vinto nulla d'importante, perché non aveva il colpo del ko, nemmeno per quel Mondiale così duro. In quelle poche corse (a tappe) nelle quali partiva favorito, C'era sempre qualcuno che lo avrebbe battuto, e/o qualcosa in lui che non avrebbe funzionato. Cadel era tra gli outsider del Mondiale, messo lì più per scrupolo che per una convinzione reale: veniva da una Vuelta così così e dalla sua stagione peggiore negli ultimi anni. Cadel è solo al traguardo. Nessuno può strappargli il successo, ormai. Ora, Cadel potrebbe sfogare anni di sfiducia urlando, come faceva Pantani quando tornava vincente dai suoi infortuni, o potrebbe "sparare" ai suoi detrattori come Bettini a Stoccarda. E invece riesce a stupire tutti con un gesto di una tenerezza commovente. Saluta a destra, saluta a sinistra, sembra stringere il pugno ma poi accenna un timido ok, e batte quella stessa mano sul petto. Il tutto con morbidezza, quasi quella mano si fosse anchilosata: sul podio si noterà che in realtà Cadel è completamente rigido, dritto come un fuso, tant è che Kolobnev e Samuel Sanchez dovranno aiutarlo a scendere dal podio. L'unica cosa che trema sono i suoi occhi.


(L'esultanza, composta e commossa, di Cadel Evans a Mendrisio - fonte: daylife.com © Reuters)

3) La crono di Roma
Chi vi scrive è fortemente coinvolto, visto che a Roma c'era e non vedeva il giro da 14 anni: ma anche un osservatore imparziale difficilmente avrebbe da ridire sulla buona riuscita della chiusura del Giro (al di là di qualche aspetto squisitamente organizzativo): uno scenario mozzafiato con chiusura a fianco del Colosseo e i saliscendi della Capitale che fornivano tribune naturali per il pubblico. Un giubileo del ciclismo, reso memorabile anche da due aspetti tecnici: l'assurda caduta di Menchov, per il quale si levò un coro di "uuh" che a Roma non si sentiva da quando è stato assassinato Cesare (e anche qualche antisportivissima esultanza, va detto), e un insolito Armstrong distrutto da una corsa che non è stata e non sarà mai sua: le Roi Americain conclude la crono al 53esimo posto e chiude un dignitoso Giro 12esimo, ma con la barba sfatta: sfido chiunque a trovare un'altra immagine di Armstrong così sciupato e trascurato.


(Lance Armstrong: un americano a Roma - fonte: Gazzetta.it)

2) Le azioni folli di Andy Schleck
In un momento così buio per la spettacolarità nel ciclismo c'è un raggio di sole, e il suo nome è Andy Schleck. Il talentuoso scalatore lussemburghese quest'anno si è dato da fare per mostrare a tutti di che pasta è fatto, vincendo la Liegi come nessuno faceva da molto tempo. La Liegi è stato l'episodio più importante, ma a giugno Andy ha voluto esagerare, prima regalandosi una fuga bidone (riuscita!) in una tappa del Giro di Svizzera, andandosene sul San Gottardo, per la "gioia" di Fabian Cancellara che probabilmente il giorno dopo l'avrà invitato a rientrare nei ranghi, poi massacrando i rivali nel campionato nazionale: poteva aspettare l'ultimo dentello, e invece ha vinto dopo 70 km di fuga solitaria, guadagnandosi gli applausi dei battuti sul traguardo. Il tutto con un Tour de France da preparare, ovviamente. Resta il dubbio (per non dire la convizione) che senza l'ombra del fratello su di sé Andy possa dare ancora di più.


(Andy Schleck tutto solo nella Liegi-Bastogne-Liegi - fonte: daylife.com © Reuters)

1) The pursuit of happiness: Jérémy Roy
Il momento più bello della stagione 2009, secondo chi vi scrive, non si consuma sui Campi Elisi, a Roubaix, sul Ghisallo o in qualche altro luogo storico del ciclismo, bensì a Vallon Pont d'Arc, amena località turistica di 2000 anime nel dipartimento dell'Ardéche. È una soleggiata mattina primaverile. I corridori si apprestano ad affrontare la 5a tappa della Parigi–Nizza, tappa adatta agli sprinter. Jérémy Roy, 26enne francese ma nonostante ciò dotato di spirito garibaldino (vabbè, diciamo sanculottiano) ha deciso che questa tappa sarà fuga. Jérémy è avvezzo alle fughe, e nei Grandi Giri qualche volta le ha portate anche a buon fine: nel 2007 alla Vuelta si lasciò scappare Klier e Stamsnjider, ma la sconfitta più bruciante risale all'ultima edizione del Tour, nella quale nulla ha potuto a Montluçon contro un devastante Chavanel, adesso maglia gialla alla Parigi-Nizza. Con lui si trovano altri due assi: Thomas Voeckler, che sulle fughe ci ha costruito un impero, e Tony Martin, passistone molto utile alla causa. Il gruppo nel finale li molla e così se la giocano: prima ci prova Voeckler, ma poi ai -7 tocca a Jérémy: non prende un gran margine. È lì, a vista per tutto il tempo: ma non vuole mollare, non ne vuole sapere di mollare. Difficile descrivere cosa possa aver provato Jérémy in quegli istanti, forse nemmeno lui lo saprebbe descrivere con precisione. Possiamo immaginare acido lattico fino alle orecchie, pulsazioni a 1000 tra fatica di 200 km ricchi di salite e salitelle e l'adrenalina dell'essere vicinissimi alla prima vittoria della carriera, ma non rende abbastanza l'idea. Manca quello straniamento che un uomo prova quando sa di essere andato abbondantemente sopra i limiti che la natura gli ha prefissato, ma la mente se ne frega perché l'obiettivo che si figura è troppo grande. Un po' come Will Smith in quel film di Muccino, non appena taglia il traguardo Jérémy conclude la sua ricerca della felicità, e chissà se in quel momento gli sono passati per la testa tutti gli anni vissuti tra allenamenti, sacrifici, sofferenze. La 5a tappa della Paris-Nice 2009, sempre secondo il modesto parere di chi vi scrive, ha rappresentato l'essenza del ciclismo, dello sport e della vita in generale. Una continua e testarda ricerca della felicità, che un giorno potrebbe avverarsi.


(La piccola grande impresa di Jérémy Roy a Vallon Pont d'Arc - fonte: daylife.com © Reuters)

Nicola Stufano

1 - Continua

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