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Un Petacchi Maiuscolo! - AleJet rimette a posto Cavendish

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Una volata imperiosa, un gesto atletico splendido, un avversario straripante da battere, una ricorrenza importante da celebrare, un sole magnifico a baciarlo in faccia: e alle 17.22 di questo suo giorno perfetto, ad Alessandro Petacchi non rimaneva che cacciare con quanto fiato aveva in gola un urlo che desse la misura della rabbia incontenibile che lo animava e della gioia incomprimibile che è esplosa alla realizzazione di questo capolavoro ciclistico.
Petacchi ha battuto Mark Cavendish e questo in fondo è il meno: era la 25esima volta che lo spezzino alzava le braccia sotto un traguardo del Giro d'Italia, la questione non è prettamente numerica. Ciò che conta, in questa vittoria triestina, è il modo.
Per anni AleJet ha convinto il mondo di poter essere un velocista buono a vincere principalmente grazie a un treno perfetto: ai tempi della Fassa Bortolo questa era la realtà dei fatti, e tradotta in risultati poteva significare portare a casa anche 9 tappe in un Giro solo (nel 2004). Ma il Petacchi pre-Ferretti era un ragazzo veloce che però attaccava, andava in fuga, insomma se la sapeva sbrigare. Petacchi se la sa sbrigare, già. Proprio quel che ha fatto a Trieste questo pomeriggio.
E le vittorie, in questo modo, forse non saranno 9, forse non saranno neanche 3, ma vuoi mettere la soddisfazione? La soddisfazione di trovarsi faccia a faccia, one-to-one, col giovincello che ti ha sfilato il trono di re dei velocisti da sotto al sedere, oppure no, fermi tutti, aspettate un attimo, a ben vedere quel trono potrebbe ancora essere oggetto di contesa. Ma insomma, a quel punto siete tu e lui, e non solo lo batti, non solo lo bruci - lui col treno, tu rimasto solo ai 3 km dopo che i tuoi ti avevano pilotato sulla salitella di Montebello e successiva discesa.
No, gli dai proprio una lezione di tattica, tempismo, potenza, e anche azzardo, che se la ricorderà a lungo.

La fuga, la caduta, il frazionamento
Una tappa come la Jesolo-Trieste se la ricorderà a lungo anche Leonardo Scarselli, primo fuggitivo del Giro 2009, all'attacco dal km 9 al 129 di gara, tutto solo a far legna, 8'30" di vantaggio massimo, ma poi l'inverno è lungo e la legna non basta, e lo riprendono a 27 dal traguardo.
Per la verità, Scarselli l'ha ripreso un suo compagno di squadra in ISD, quell'Andriy Grivko che era impegnato, chissà perché, a sprintare con Thomas Voeckler (che bello, T-Blanc si fa già vedere!). In realtà il perché è facilmente intuibile: siccome si era in cima a Montebello, i due pensavano vi fosse il traguardo Gpm, che invece era previsto nel passaggio successivo (al secondo dei tre giri del circuito finale).
Buon per García Dapena, che invece, scattato al momento giusto, è passato per primo al Gpm e si è meritato la prima maglia verde (davanti a Capecchi e allo stesso Grivko, che doveva essere rimasto col dente avvelenato da prima). Annullato il flebile tentativo di Capecchi, che aveva provato a proseguire sull'aire dello sprint (ed era stato poi raggiunto da Tjallingii), si è entrati nell'ultimo giro del circuito di 11 km.
All'imbocco della terza scalata a Montebello, il thrilling: una caduta di Perget ha spezzato il gruppo, e dietro, destinati a perdere non più di qualche secondo (buon per loro) son rimasti pescioloni dai nomi altisonanti: Basso e Leipheimer, ovvero i due principali favoriti del Giro, che hanno fatto i conti con 13" di aggravio rispetto al tempo del primo gruppo. Nel momento del frazionamento, davanti c'era la LPR che tirava per tenere Petacchi al riparo da sgradevoli sorprese, ma non sarà spiaciuto a Di Luca scoprire che si tirava anche per guadagnare qualcosina su diversi rivali per la classifica.

Classicòmani all'arrembaggio
Ma oltre alla lotta per l'eventuale volata, non andavano sottovalutate le ambizioni di quegli uomini da classiche presenti al Giro per proporre qualche pezzo forte del proprio repertorio. Per esempio, un cavallo di battaglia di Philippe Gilbert è quello di scollinare in testa su salitelle poste a un tiro di schioppo dal traguardo: alla Sanremo, per dire, è successo che il belga sia transitato primo sul Poggio (nel 2008). E poi però, in genere, il bravo corridore della Silence non vince.
Nonostante la cabala negativa, sia Filippo Pozzato che Enrico Gasparotto hanno voluto dar credito al progetto di Philippe, gli si sono accodati e hanno proceduto in sufficiente (non: buono) accordo per un po', ma poi la tumultuosa rincorsa degli uomini LPR ha cancellato quei 6" che i tre classicòmani avevano guadagnato, e la situazione è ritornata quella ideale per uno sprint; il che non vuol dire che Gilbert e soci non ci riproveranno, magari già da domani.
Ai 3 km, la LPR ha ceduto il comando del serpentone alla Garmin, dopodiché è stato il Team Columbia a monopolizzare le operazioni dell'ultimo chilometro. Nel frattempo, però, era successa una cosa destinata ad avere una certa incidenza sul risultato finale: Petacchi, che fino ai 2 km aveva Cavendish a ruota, tra una curva e l'altra è riuscito a sfilare e a farsi passare dal baldanzoso rivale. Ecco che all'ultimo chilometro AleJet si trovava nella posizione dei sogni, pronto a difendere con denti e spallate quanto conquistato (Farrar, per dire, ha provato a infilarsi al posto dello spezzino, ricevendo un cortese ma fermo niet).

Il capolavoro di Alessandro Dinamite
E allora la volata, che va proprio raccontata per filo e per segno.
Una volata in cui se si fosse fatta una foto dei protagonisti a 250 metri dall'arrivo, sarebbe stata utile anche per il fotofinish, visto che le posizioni dei migliori non sono più cambiate. Davanti a Cavendish era rimasto il solo Renshaw in quei 400 metri finali in cui ha preso corpo il capolavoro di Petacchi, per il quale rispolveriamo l'accostamento alla dinamite, visto che non c'è un modo più efficace per descrivere il finale di gara dello spezzino.
Ospite non troppo desiderato del treno Columbia, AleJet aveva alla sua ruota il giovane e bravo Ben Swift, che aveva alla sua ruota Allan Davis, che aveva alla sua ruota Tyler Farrar. Cavendish, per una volta nella condizione della lepre, non era tranquillissimo, e ne aveva tutte le ragioni: ai 250 metri con una botta fulminante Petacchi, conscio che l'unica via per fregare il folletto era sorprenderlo e anticiparlo, si è tolto Davis di ruota e ha affiancato la maglia rosa. L'ha superata sulla sinistra, e solo ai 200 metri Mark ha capito che era il caso di far qualcosa.
Sfilato Renshaw, anche il ragazzo dell'Isola di Man è partito, andando dietro al più esperto collega italiano. E in quel momento negli occhi di chiunque abbia seguito il ciclismo ultimamente, ha preso forma un'immagine il cui profilarsi pareva inevitabile: lo prende. 150 metri: lo prende. 120 metri: lo prende. 100 metri: lo prende..... 80 metri: lo prende?
Se lo chiedeva pure Petacchi, in cuor suo, visto che ai 30 metri lo spezzino, sorpreso dal fatto che Cavendish non fosse ancora arrivato ad affiancarlo, si è voltato un attimo verso il ragazzo. E lì ha capito che la nave era ormai in porto, che non rimaneva che attraccare, che Mark non gli avrebbe inflitto uno dei suoi proverbiali colpi di reni, per il semplice motivo che non l'avrebbe più raggiunto.
E se non l'ha raggiunto Cavendish, possiamo ben dire che oggi nessuno al mondo avrebbe ripreso Petacchi. Una conclusione che non troppi credevano possibile, e invece la classe non è acqua, e non è nemmeno Ventolin, la classe è quella cosa che ti porti dentro e che quando emerge ti permette di vincere, ribaltare pronostici e convinzioni, urlare di gioia in un giorno di sole triestino, e infine dedicare questo successo a tuo figlio che proprio oggi ha compiuto un anno. E che si chiama anche lui, guarda un po', Alessandro Petacchi.

Marco Grassi    



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