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Riprendetevi il Tricolore - Il gesto di Simeoni. Ma Di Rocco? | Cicloweb

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Riprendetevi il Tricolore - Il gesto di Simeoni. Ma Di Rocco?

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Tutto si potrà dire di Filippo Simeoni, meno che si tratti di un tipo accomodante. Preferisce esplodere in un gesto senza precedenti piuttosto che accettare di chinare il capo e sottomettersi alla legge del più forte; o dei più forti.
Oggi il campione italiano di ciclismo in carica ha deciso di non essere più campione italiano di ciclismo in carica. Ha restituito la maglia tricolore, portandola personalmente alla sede della Federciclo a Roma e mollandola alla segretaria del presidente Renato Di Rocco.
E sì, perché il numero uno della FCI a quanto pare non era in sede, e non ha potuto ricevere Simeoni quest'oggi. Eppure lo smacco che ne riceve la Federazione è molto grave, forse sarebbe stato il caso di agire d'anticipo, di fare di tutto per scongiurarlo, di prendere una posizione.
Ma una posizione in merito a cosa? Ovvero: perché il corridore di Sezze Romano è arrivato a tanto?
Tutto iniziò 10 anni fa, quando Simeoni venne coinvolto in un'inchiesta sul doping. Nel successivo processo (nel 2002) il laziale accusò il professor Michele Ferrari di averlo «curato»: e il medico in effetti nel 2004 fu condannato per frode sportiva.
Nel frattempo, però, in difesa di Ferrari era sceso in campo Lance Armstrong, di cui il dottore era preparatore in esclusiva: il texano accusò Simeoni di essere un bugiardo, l'italiano lo querelò, Armstrong si vendicò al Tour 2004 impedendo al rivale di andare in fuga nella tappa di Lons-Le-Saunier.
Armstrong, proprio lui, è ora la vedette del Giro d'Italia che parte sabato: Simeoni e la sua Ceramica Flaminia, malgrado i buoni risultati, risultano indesiderati, e non sono stati invitati. Perché?
Premettiamo che RCS Sport e Angelo Zomegnan hanno tutto il diritto di invitare chi gli pare alla corsa rosa; forse però il diritto complementare, quello di non invitare chi loro stabiliscono non sia degno di essere al Giro, non è di esclusiva pertinenza di Zome & Soci: perché nel nome di questa corsa, oltre alle parole "Giro" e "di", c'è anche quell'"Italia" che avrebbe presupposto maggior riguardo nei confronti di chi le insegne del ciclismo nazionale se le porta addosso da quasi un anno.
Ma in realtà qui non vogliamo farne una questione nazionalistica. Quella la lasciamo alle motivazioni che Simeoni ha spiegato oggi («La Federazione non ha mosso un dito, mentre altrove si tutelano i propri valori nazionali»). A noi interessa il problema politico che viene sollevato dal gesto di Simeoni.
Perché l'Incontrastato Presidente Di Rocco, scegliendo di non far niente per prevenire la clamorosa protesta del corridore, ha espresso molto chiaramente il suo punto di vista sulla vicenda: un punto di vista diametralmente opposto a quello di Simeoni. E allora chiediamoci: perché questo punto di vista è opposto? Ha motivo, questo punto di vista, di essere opposto? Forse no. A quanto pare, proprio no.
Di Rocco ha scelto di non spiegare la sua assenza dalla scena di questa tragicommedia. Non ha detto «siamo solidali con Simeoni e con la Ceramica Flaminia-Bossini Docce»; non ha detto «proverò a parlare con Zomegnan per capire i motivi di questa esclusione». Come dice Simeoni, Di Rocco non ha mosso un dito. Evidentemente gli andava bene l'operato di Zomegnan e di RCS.
Ma anche escludendo che il mancato invito alla Flaminia-Bossini dipendesse da un diktat di Armstrong, Di Rocco aveva il dovere, in qualità di Incontrastato Presidente Paladino Della Lotta Al Doping, di approfondirla, questa questione. Hai visto mai che sotto sotto ci fosse davvero una ragione legata alle passate diatribe tra Lance e Filippo. Di Rocco doveva appurare questa cosa, e rendere il ciclismo italiano (e quindi Simeoni) partecipe delle sue conclusioni: «Zomegnan è buono e giusto e Simeoni è scemo», o «Zomegnan non è così buono e giusto, e Simeoni non è così scemo». L'ha fatto?
Non l'ha fatto, e se non fai ciò, se neanche ci provi, se eviti di approfondire, rischi di aver avallato, alla fine della fiera, un comportamento dettato da ragioni che paiono alquanto lontane dalla linea federale di fermezza nei confronti del doping. Quella linea che, meno di una settimana fa, portava l'Incontrastato a piangere lacrime affrante sulla positività di Rebellin, scegliendo per il suo dolore la spalla solida di Gianni Petrucci (presidente del CONI che in passato finanziava il doping di stato - come da sentenza depositata - ma che ora è anche lui fermamente contro il doping, specialmente il doping nel ciclismo).
E allora un bonario appassionato di ciclismo potrebbe anche chiedersi: ma come, questi vogliono contrastare il doping, e hanno lasciato correre una vicenda che forse affonda le sue radici nella difesa corporativistica - da parte del gruppo e del suo ex/futuro capo - di un dopatore riconosciuto?
Che gli rispondiamo, al bonario appassionato, caro Renato? Che forse quel pianto greco che inscenate ogni volta è solo una presa di posizione di facciata? Qual è il messaggio? Che in realtà non conviene fare come Simeoni, pentirsi, scoperchiare qualche calderone, far condannare un medico chiacchierato, mettersi contro l'omertà del gruppo? Questo è, in ultima analisi, il messaggio? Renato? Ci sei? O sei assente come stamattina, quando Filippo ti voleva rendere la tua cara maglia tricolore? Toc toc... Renato? Renato?...

Marco Grassi

 

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