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Nuove leve senza freni - Australia e Phinney a tutta forza

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Su Pruszkow è calato il sipario, ma questa edizione 2009 dei Campionati del Mondo di ciclismo su pista sicuramente non sarà passata inosservata agli occhi di appassionati ed addetti ai lavori, sia per l'ottima fattura di alcune prove, di una spettacolarità e di un livello assoluti, sia perché giorno dopo giorno i pronostici si sono rivelati meno scontati del previsto.
Partiamo subito da un dato di fatto: la Gran Bretagna non è stata la dominatrice della rassegna, quella travolgente macchina da successi e medaglie ammirata sia a Manchester dodici mesi fa (quando i britannici fecero proprie la metà delle prove in programma) che a Pechino lo scorso agosto, ma non è neppure difficile individuare le cause di quello che i più maligni non esiterebbero a considerare un "semifallimento".
Nella presentazione di alcuni giorni fa avevamo sottolineato come alcune defezioni pesanti come quelle di Chris Hoy (out per infortunio), Bradley Wiggins e Rebecca Romero potessero farsi sentire, ma comunque imputare solo a quest'aspetto i mancati successi (ori scesi da 9 a 2, con un sorprendente zero fatto segnare dalla categoria maschile britannica) sarebbe troppo semplicistico. In una rassegna iridata post-olimpica e per di più, come già ricordato, dopo un Mondiale stradominato tra la propria gente, appare impossibile non pensare ad una sorta di "scarico mentale" da parte di atleti che si sono cimentati anche nella Coppa del Mondo durante l'inverno.
In tutto ciò ha fatto eccezione una fuoriclasse come Victoria Pendleton, capace di rivincere con il cuore, più che con la forza, la sua prova prediletta, ovvero la velocità, e di salire sul podio altre due volte tra velocità a squadre e 500 metri. Naturalmente, per una come lei, la nota di merito è più che garantita, essendo la trascinatrice di quel movimento femminile che col terzetto dell'inseguimento a squadre ha portato ai britannici l'altro oro della rassegna, anche se inevitabilmente la sconfitta dell'individuale (Rowsell battuta per il bronzo e non apparsa nelle migliori condizioni, Houvenaghel che probabilmente ha patito eccessivamente la finale) non passa inosservata.
Ben più clamorosi, come anticipavamo, gli insuccessi del settore maschile e vita dura è stata anche per Mark Cavendish, presentatosi in questa rassegna forte dello splendido successo nella Milano-Sanremo. Il fatto che il 22enne dell'Isola di Man abbia deciso di disputare questi Mondiali non può che essere valutato positivamente, vista ormai la sempre più frequente specializzazione e la predominanza data all'attività su strada al giorno d'oggi, ma le insidie che la pista può nascondere - anche per i migliori - unite alla furbizia e bravura degli avversari, possono far sì che alla fine si possa chiudere con un malinconico pugno di mosche. Decisamente sfortunata la prova del Madison, condizionata dalla caduta che ha coinvolto Kennaugh, privando "Cannonball" e i britannici di un possibile podio; molto più ostico invece lo Scratch, in cui il giro perso a vantaggio dei sei uomini di testa lo ha relegato a primo dei battuti, dopo che nelle fasi iniziali aveva provato a forzare il ritmo per far capire forse a tutti di averne di più.
Non può non far clamore osservare che nessun velocista britannico è approdato alle semifinali della Velocità, dove pure c'erano atleti in grado di installarsi tra i primi quattro al mondo (Kenny, Crampton e Edgar fuori agli ottavi) e fuori dalle medaglie anche nel Keirin, mentre a parziale consolazione c'è l'argento nella velocità a squadre. È sicuramente prevalsa, invece, la filosofia del ricambio generazionale per quanto riguarda l'Inseguimento a squadre, dove nel quartetto - costretto ad accontentarsi della medaglia di legno - il solo Clancy faceva parte del gruppo storico ed è stato chiamato quindi a guidare una pattuglia di giovani di belle speranze, da affinare in vista dell'appuntamento olimpico più atteso, quello di Londra 2012.
Per una Gran Bretagna in ribasso, non si può non notare il netto rialzo delle quotazioni per una nazione come l'Australia, abituata da decenni a fare il bello e cattivo tempo sui tondini e che, dopo aver visto offuscata la propria stella dallo strapotere britannico, ha individuato nella terra polacca quella ideale per prendersi le proprie rivincite: dominatrice dell'Omnium con Leigh Howard e Josephin Tomic, le note più liete sono soprattutto giunte dal ritorno in auge di Anna Meares che, patita la delusione dell'argento con tanto di record del mondo strappatole via nei 500 metri, ha saputo rifarsi nella velocità a squadre; dalla consapevolezza che i fratelli Cameron (iridato nella corsa a punti e argento nell'inseguimento a squadre e nel Madison) e Travis (appena giù dal podio in uno Scratch in cui era sembrato il più forte) Meyer sono un patrimonio da salvaguardare per questa nazione, e dall'aver ritrovato quella competitività che da qualche tempo mancava nell'inseguimento, dopo le annate marchiate dal talento di Bradley McGee. Forse è ancora troppo presto parlare di eredità, ma l'argento del giovane e talentuoso Bobridge e di un quartetto che più giovane non si può, costituiscono più di una semplice speranza.
Se l'Australia può essere enormemente soddisfatta per il primo posto nel medagliere con 4 ori, 4 argenti e 2 bronzi, altrettanto può essere la Francia, che non si è sottratta al suo ruolo da protagonista, grazie al successo (non troppo atteso alla vigilia) di Kneisky nello Scratch e soprattutto recitando il ruolo di regina nelle prove veloci maschili (due terzi del podio occupati nella Velocità, contando anche il bronzo di Kevin Sireau). Successi che hanno le fattezze di un gigante d'ebano originario della Guadalupa, ossia Gregory Bauge che, nonostante qualche rischio dovuto più alla tenuta psicologica che ad altro, vista la grande strapotenza fisica, è riuscito ad eleggersi uomo più veloce del mondo, in attesa di tornare ad assistere con Chris Hoy (o qualcuno dei suoi delfini) ad un'ennesima puntata dell'infinita storia anglo-francese.
Se vogliamo andare a trovare il neo principale dei transalpini in questo Mondiale, inevitabilmente la scelta cade sulla prova del Chilometro da fermo, in cui almeno un francese era atteso sul podio; soprattutto quel François Pervis tanto bravo nel Keirin (argento), quanto deludente in quei mille metri in apnea. Chilometro in cui non ha deluso certamente Stefan Nimke, capace di far segnare un tempo ragguardevole e di regalare un oro ad una Germania che, col successo ottenuto anche dal promettente Maximilian Levy nel Keirin, si è confermata protagonista, come tradizione vuole, nelle prove veloci, anche se qualche delusione è giunta dallo stesso Levy nella Velocità e dal duo Kluge-Pollack nel Madison.
Chi può ritenersi enormemente soddisfatta da questi Mondiali è anche la Danimarca, che ha forse visto consacrato tutto il gran lavoro fatto in questi anni; e se l'argento di Kreutzfeldt era senza dubbio benaugurante, i successi nel tanto agognato Inseguimento a squadre e nel Madison, che hanno incoronato soprattutto quell'Alex Rasmussen di cui da tempo si parla un gran bene, sono stati la ciliegina sulla torta.
Rassegna di soddisfazioni in campo femminile soprattutto per Lituania (trascinata da una grande Simona Krupeckaite e dal suo splendido record nei 500 metri da fermo) e per Cuba (Yumari Gonzalez Valdivieso oro nello Scratch e argento nella Corsa a punti); rassegna in cui il lavoro fatto da tecnici che la sanno lunga come Daniel Morelon (Shuang Guo vincitrice del Keirin) ha finito col pagare, e dove piacevoli sorprese - come la Malesia - si stanno trasformando in belle realtà: dopo il bronzo di Tisin nel Chilometro, alzi la mano chi non si è divertito e magari ha anche tifato con gusto per lo smaliziato Azizulhasni Awang (vincitore tra l'altro della Coppa del Mondo del Keirin) nello scontro sulla carta impari contro Bauge, tanto da sembrare quasi il remake di Davide contro Golia? Eppure anche per questo la finale della Velocità è stata meno scontata del previsto, a dimostrazione che nelle terre in cui Salgari ambientò Sandokan, qualche tigre può ancora venire fuori.
Celebrando l'Australia, l'aria oceanica non può far dimenticare neppure le buone prestazioni neozelandesi, che hanno portato in dote il ritorno sul trono nell'inseguimento individuale con Alison Shanks e le medaglie, meno nobili - ma ugualmente preziose - nei quartetti maschile e femminile.
Tra tante gioie inevitabilmente trova spazio anche qualche delusione: l'Olanda, per la prima volta senza Bos, riponeva le sue speranze soprattutto in ambito femminile e l'ottimo argento di Willy Kanis è servito a salvare la baracca ad un settore orfano anche di Marianne Vos. Tra gli uomini, obiettivamente era difficile pensare a grandi risultati, anche se l'orgoglio di Teun Mulder (bronzo nel Keirin) e di Tim Veldt è servito per non tornare a casa a mani vuote, viste anche le prestazioni sotto tono dello stesso Mulder nel Chilometro e del terzetto della Velocità a squadre.
A qualcuno, a dire il vero, questo Mondiale è andato anche peggio, come ad esempio Russia e Ucraina, che pure in passato ci avevano abituato a prestazioni di alto livello, ma che invece hanno entrambe concluso entrambe a quota zero alla voce "medaglie conquistate".
È stato anche il Mondiale della "meglio gioventù", che ha trovato un interprete straordinario in un ragazzino statunitense, figlio d'arte e con ancora 19 anni da compiere (nel prossimo mese di giugno): Taylor Phinney. Sarà il tempo a dirci definitivamente se quelle ammirate a Pruszkow sono reali stimmate da fuoriclasse, ma nel frattempo non si può non notare come la sua vittoria nell'Inseguimento, con un tempo notevole già fatto segnare nelle qualifiche, sia una stupenda ventata d'aria nuova, tanto che forse è già il caso di prenotarsi un bel posto in prima fila per il duello che in futuro lo vedrà opposto a quel Bradley Wiggins che, pur disertando il Mondiale quest'anno, resta l'indiscusso fuoriclasse della specialità. Una finale così giovane non si era mai vista nell'Inseguimento (Bobridge, argento, 19 anni; Cornu, bronzo, 24 anni), ma Phinney non si è accontentato di divenire in questa il più giovane iridato di sempre: l'indomani si è infatti presentato al via del Chilometro da fermo ed in barba a tutti quelli che considerino questa disciplina adatta solo a gente dotata di un fisico da corazziere, il giovanissimo americano è andato a prendersi un meraviglioso argento, giusto per rimarcare che il ruolo di comparsa evidentemente non gli si addice (ha poi pagato un po' gli sforzi nel dispendioso Omnium dell'ultima giornata, ma comunque pretendere di più rasenterebbe la follia).
Un Mondiale che per l'Italia si è chiuso col sorriso, grazie al rabbioso e stupendo successo di Giorgia Bronzini nella Corsa a punti, dopo che una sfilza di quarti posti ottenuti dalla stessa Bronzini nello Scratch e da una rediviva Elisa Frisoni nel Keirin e nell'Omnium gridava assolutamente vendetta. È stata sicuramente la conferma dell'ottimo lavoro di Edoardo Salvoldi nel settore da cui negli ultimi anni sono arrivate la maggior parte - anzi, spesso le uniche - delle soddisfazioni azzurre su pista e a questo punto non si può non essere curiosi di ciò che ne verrà fuori non appena il velodromo di Montichiari sarà finalmente disponibile per effettuare gli allenamenti.
Una rassegna che nel complesso, nonostante non siano arrivate medaglie, non boccia il settore maschile curato da Andrea Collinelli, come pure l'atteso Elia Viviani, che ha finito col pagare cara (come da lui stesso ammesso) qualche ingenuità nell'approccio alla Corsa a punti d'esordio. Si sa, però, che il veronese costituisce il tassello principale di un futuro da costruire, ed è pertanto giusto rimarcare la bella reazione venuta nel Madison, in coppia con Angelo Ciccone, con tutta quella serie di dubbi e meditazioni su come sarebbe finita senza l'incidente che ha penalizzato la prova dei britannici e, di riflesso, anche quella degli azzurri, se è vero che per la condotta di gara mostrata un settimo posto finale non può rispecchiare il reale valore dei nostri portacolori. Per quanto riguarda le prove d'inseguimento è inevitabile rimarcare come per raggiungere una certa competitività sarà ancora necessario lavorare tantissimo, ma comunque nel complesso questa spedizione si è rivelata tutto fuorché estremamente negativa per i colori nostrani.
Lo spettacolo è finito, la pista va in archivio nell'attesa di tante emozioni ancora da vivere nei prossimi mesi, aspettando di rivivere la magia e gli stati d'animo che solo un Mondiale può dare.


Vivian Ghianni

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