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Il battesimo di Cavendish - La prima "Monumento" per Mark | Cicloweb

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Il battesimo di Cavendish - La prima "Monumento" per Mark

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La maniera migliore per seguire la centesima Milano-Sanremo sarebbe stata dover andare ad un funerale essendo costretti a seguire le vicende della diretta sportiva da una radiolina. Come Fantozzi, avete capito bene. In quel modo, forse, ci sarebbero giunti gli echi di epiche scalate del Turchino o di fuga di tutti i 30 corridori più attesi, velocisti compresi, sulle Manie; di duelli col coltello tra i denti sulla Cipressa e accelerazioni devastanti sul Poggio.
Ma siccome abbiamo seguito la corsa nel solito modo (attraverso la tv), nulla di tutto questo ci si è parato davanti agli occhi. Al contrario, la Sanremo 2009 è filata via sin troppo piatta, rispetto alle attese, e vabbè, le attese tendono sempre ad essere molto esigenti; ma anche rispetto a quanto si prospettava visti i primi chilometri di gara.
Era successo che 90 km erano passati rapidi senza che nessuno riuscisse a mettere il naso fuori dal gruppo: vento a favore, ritmo alto e zero fughe. Uniche notizie, quella del forfait dell'ultim'ora di Lorenzetto, abbattuto da un virus influenzale; e quella del ritiro di O'Grady e - più tardi - Farrar, a causa di cadute.

La fuga, le Manie indolori e i guai di Savio
Al km 90 ha preso finalmente il largo una fuga, non formata dai soliti peones di squadre minori, ma da nomi che qualche antenna la facevano drizzare: Cheula, Thomas Bertolini, Ignatiev, Krivtsov, Turgot, Le Mevel, Lang, Eisel, Klostergaard, Belkov, Tjallingii. Bertolini era il primo alfiere mosso sullo scacchiere della corsa d'attacco promessa da Savio? Eisel rappresentava un'avanguardia per ipotesi diverse da Cavendish (magari Hincapie, magari Lövkvist) in casa Columbia? Ignatiev sarebbe tornato utile a Pozzato nel finale? Tjallingii era la testa di ponte verso un nuovo assalto frontale (in stile Het Volk) dei Rabobank?
Tra tanti dubbi, una certezza: che chi era rimasto fuori dalla fuga doveva tirare il gruppo. LPR, Quick Step, Cervélo non si sono tirate indietro e hanno svolto il loro compito, tenendo gli attaccanti entro un limite gestibile di 5', e da un certo punto in poi fissando il gap poco sotto i 2', in attesa di decidere il da farsi nell'avvicinamento alla Cipressa.
Ma ben prima della salita di Costa Rainera (la Cipressa, appunto), c'erano le famose Manie, che l'anno scorso, alla loro introduzione, aveva scompaginato più di un piano, principalmente nelle squadre dei velocisti. Filippo Pozzato deve evidentemente ritenere di far parte della categoria, visto che ha messo i suoi Katusha in testa a fare il ritmo. Ovvero l'antitesi di ciò che sarebbe servito per far esplodere la corsa e mettere realmente in difficoltà gli sprinter. Siccome non bastavano gli uomini che Pippo aveva accanto, anche Ignatiev è stato richiamato all'ordine, fermato dal drappello in fuga e messo alla frusta in testa al plotone. Il motivo per ora sfugge.
La ragione per cui l'attesa Diquigiovanni non abbia fatto alcunché di rilevante sulle Manie è stata invece spiegata da Savio: Maté, l'uomo deputato a fare il ritmo (o a scattare?) sulla salita, ha avuto un guaio meccanico e ha perso l'attimo. Evidentemente non aveva un sostituto.
Ma il baffuto team manager piemontese doveva aver intuito che non sarebbe stata una gran giornata quando il suo uomo in fuga, Bertolini junior, si era staccato ancora prima delle Manie. Due episodi negativi in pochi minuti quanto possono influire nell'economia di una corsa di quasi 300 chilometri? Può il battito d'ali di una farfalla eccetera eccetera? Quel che risulta chiaro a posteriori è che sì, se la Diquigiovanni non fosse stata sfortunata (o poco attenta, o poco pronta) in quel frangente, probabilmente sulle Manie avremmo visto un'altra corsa.

Scarponi sulla Cipressa alto e schietto
A posteriori perché poi sulla Cipressa, presi all'abbrivio i fuggitivi (Krivtsov ha provato un estremo allungo), Scarponi si è messo a fare una sorta di cronoscalata in testa al gruppo, imponendo un ritmo che ha frazionato il medesimo, lasciando nelle prime posizioni Garzelli, Nibali, Egoi Martínez, Andy Schleck e Sylvain Chavanel. Ma lo sbandamento è durato non troppo a lungo, la fila indiana alle spalle del marchigiano si è presto ricomposta con tutti quelli che tenevano meglio in salita.
Tra questi, defezione importante, non c'era Lance Armstrong. Era presente per onor di firma e al Giro sarà tutt'un'altra musica? È questo in effetti il suo valore dopo tre anni di inattività? Quel che possiamo dire è che le sue quotazioni, incoraggianti in gennaio al Down Under, sono un po' scese in febbraio al Tour of California, e vanno in picchiata in marzo, dopo questa Sanremo. Il texano non ci sorprenderebbe se invertisse clamorosamente la rotta, ma ad oggi i dubbi sono francamente più ingombranti delle certezze.
Oltre a Lance, praticamente tutti i velocisti hanno perso terreno sulla Cipressa, ma i migliori di loro sono rientrati molto rapidamente; non l'ha fatto Ginanni (terzo problema nevralgico della tattica Diquigiovanni riuscita a metà), e il gruppo dopo la Cipressa spianata da Scarponi si poteva dire quasi compatto rispetto agli uomini che erano partiti da Milano con ambizioni di vittoria, e certamente al completo per quel che riguarda il novero dei velocisti. Né il tratto tra la fine della pericolosa discesa della Cipressa e il Poggio ha riservato altro che non fosse una sequela di rientri da dietro in un gruppo incapace di imporre un deciso cambio di rotta alla giornata, che a quel punto si avviava a produrre un finale in volata.

Rebellin per onor di firma
A queste condizioni, con gli sprinter ancora tutto sommato tonici (fare le salitelle col vento alle spalle è un toccasana, in questo senso), anche il Poggio aveva smesso i panni di giudice supremo per essere retrocesso al rango di semplice intoppo altimetrico prima del volatone. Coerentemente a ciò, Sylvain Chavanel aveva smesso i panni di guastatore per riconvertirsi al ruolo di pacemaker lungo i tornanti della salitella sanremese. Il francese ha imposto un ritmo buono ma troppo regolare, da vero e proprio traghettatore. L'ultimo punto decisivo, a 650 metri dalla vetta, andava comunque onorato. E ci ha pensato l'inossidabile Rebellin, che ha piazzato lo scatto che avrebbe dovuto coronare la tattica Diquigiovanni, se quella stessa tattica non fosse stata resa monca dalle circostanze.
Col gruppo incombente in ogni momento, Rebellin ha comunque provato a portar via un gruppetto: Garzelli è stato il primo a rispondere al veneto, ma anche Nibali si è immediatamente accodato, e poi ancora Egoi e Pozzato. Col piccolo vantaggio (non più di 2 o 3") scavato sul plotone, a Pippo non restava che provare un contropiede: detto, fatto. A 350 metri dallo scollinamento del Poggio il capitano della Katusha è scattato a sua volta, portandosi dietro Rebellin e vedendo il rientro di Nibali non appena iniziata la discesa. Ma a quel punto il siciliano non ha più collaborato e i due conterranei vicentini non vedevano perché dannarsi l'anima visto che il gruppo, annunciato dall'arrivo di Mondory (che si era leggermente avvantaggiato) stava per compiere la sua giustizia, ovvero il ricongiungimento con gli evasori.
Un tentativo che poteva e doveva essere più convinto, ma che chissà perché è stato lasciato morire senza lacrime dai suoi stessi autori. I quali, di fatto rinunciando a sperare in un'affermazione personale, hanno lasciato il proscenio al lavorìo delle squadre dei velocisti, raccatta questo pezzo di treno, conquista quella ruota, tira tu che tiro anch'io, e via fino al lungomare Calvino.

Una volata strepitosa per un ciclista clamoroso
Sparsi tra i ranghi del fronte del gruppo c'erano ben 3 uomini LPR più Petacchi: Di Luca accanto allo spezzino, Bernucci in prima linea a controllare l'orizzonte, Pietropolli in ringhioso salire verso le prime posizioni. Ai 2 km tutto sembrava sotto controllo, mirabile risultato per una squadra che era stata sulla corda per tutto il giorno e indubitabile successo della linea di Bordonali "tutti per AleJet".
Né un'accelerazione (appenna accennata) di Luis León Sánchez ai 1800 metri ha deviato il naturale scorrere del gruppo, visto che ancora agli 800 metri Pietropolli era ben messo in testa a tirare, davanti a tutti i principali protagonisti del mondo veloce presenti nella città dei fiori. Però in quel chilometro qualcosa è in effetti successo, perché la LPR si è rapidamente disunita, e quando ai 600 metri Hincapie ha raccolto da Pietropolli il testimone di capofila del plotone, alle sue spalle c'erano nell'ordine Allan Davis, Petacchi (senza compagni), Cavendish con Bennati, e Boonen.
Il belga si è presto immalinconito ed è rimasto completamente fuori dai giochi per il successo, gli altri si sono lanciati nel thrillerissimo finale.
Ai 350 metri Petacchi aveva sempre la fastidiosa mosca dell'Isola di Man alle calcagna: perché mosca? Perché Cavendish non faceva altro che girare la sua testa a destra e sinistra, scrutare questo e quell'avversario con mille occhi panoramici, e anche se non si è sfregato le mani, in quel posto ci si trovava davvero bene.
Ma a 300 metri dal traguardo di una Sanremo, anche se si sta bene accucciati alla ruota di tanto rivale, è anche il caso di prendere qualche iniziativa. Cavendish ha dato un ultimo sguardo a Bennati alla sua destra e ha capito: ha capito che non sarebbe stato l'aretino quello che gli avrebbe guastato i piani quest'oggi. Il pericolo fatalmente sarebbe venuto dall'altra parte: 180° di torsione del collo ed ecco inquadrato un obiettivo da seguire. Era Julian Dean, venuto da dietro per affiancare Petacchi: visto il neozelandese, Cavendish è uscito dalla ruota di Petacchi per farsi dare un passaggio dall'atleta della Garmin.
In quel momento - perché ci vuole anche quella per vincere la Sanremo - un colpo di fortuna. O un colpo di fucile, se vogliamo. O meglio, tutti e due insieme.
Il colpo di fucile l'ha esploso Heinrich Haussler, partito come un uragano sul lato sinistro della strada, col compagno Hushovd a coprirgli le spalle pronto a fargli il più classico dei buchi. Il colpo di fortuna è quello di un Cavendish già sui pedali in quell'istante (per seguire Dean), e a cui è bastato un ulteriore scarto per inserirsi tra Haussler e Hushovd e volare verso l'epilogo.
In quel momento i nostri si vedevano sfuggire il bersaglio grosso: mentre Petacchi (a ruota di Davis) si accorgeva del sopraggiungere di Dean alla sua sinistra, Cavendish - più indietro - aveva già visto la partenza di Haussler; e quando AleJet s'è accorto del tedesco, Dean gli era già davanti, pronto a fare suo malgrado da tappo quando lo spezzino ha capito che era il momento di partire: e chi chiudeva Petacchi a sinistra in quell'attimo? Proprio Cavendish, impegnato nella sua prima sparata.
Se il corridore della LPR ha avuto la strada sbarrata da un avversario diretto (Cavendish) e uno meno temibile (Dean), dall'altra parte Bennati ha scelto la via più lunga per fare la sua volata: la strada tendeva verso sinistra, l'aretino ha dovuto scattare verso il lato destro, allargandosi ancora di più al momento di dribblare Hincapie che era in fase di rallentamento: in totale, forse 20 metri in più rispetto a Cavendish per Bennati negli ultimi 250 metri: impossibile che ciò non sia determinante, a quel punto.
La prima sparata di Cavendish, dicevamo: il momento determinante è stato proprio quello in cui il britannico ha scartato infilandosi dietro ad Haussler ma davanti a Hushovd (e Galdos), un tempismo favorito dalla fortuna di aver visto per primo l'attacco a due della Cervélo, ma realizzato grazie al grande colpo d'occhio e all'innato coraggio di questo ragazzo, che ha capito che la sua giornata doveva finire con due volate consecutive per essere realmente fruttuosa, e senza batter ciglio ha fatto tutto quello che andava fatto.
Con Cavendish alla caccia di Haussler e gli italiani ormai fuori dai giochi a 200 metri dal traguardo, Hushovd, capito che il patatrac stava per essere confezionato, ha pure perso le ruote dell'uomo Columbia, lanciatissimo dietro alla sua enorme preda. Quasi una resa del norvegese, la presa di coscienza di un piano brillante ma così crudelmente destinato a saltare a un passo dal suo compimento: perché anche Haussler, sentendo sul collo il fiato grosso di quella belva cattiva che gli stava per piombare addosso, ha iniziato ad avere i pensieri appannati, a non saper che fare per rimettere il lieto fine in calce alla sua personale sceneggiatura della giornata, a scodare di qua e di là.
Alle sue spalle la sottile sagoma di Cavendish era ormai pronta all'atto finale: un colpo di reni strepitoso, col quale il ragazzo dell'Isola di Man ha trafitto i sogni del collega, anticipandolo di quei pochi centimetri che molto spesso bastano a cambiare il corso di una vita. Haussler si porterà questa delusione dentro di sé per sempre. Mark invece non potrà far altro che annacquare, da qui in poi, questo fantastico ricordo - prima Sanremo, prima vittoria - con una serie interminabile di affermazioni negli anni a venire. Lui ne ha quasi 24, se non ha altri programmi per il prossimo decennio, prepariamoci a vederlo molte altre volte sul gradino più alto di quel podio ultrasecolare.

Marco Grassi

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