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Il ruggito di Rebellin - Eppure non è degno dell'Amstel...

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Prima che ci pensi qualcun altro, lanciamo noi da Cicloweb la proposta: Davide Rebellin venga nominato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, e venga così preservato nei secoli dei secoli. Anche se probabilmente questo campione che irradia sapienza ciclistica con ogni suo atto ci riuscirà da solo, a preservarsi dagli acciacchi e dal passare del tempo. E già lo fa, a ben vedere, visto che oggi a Benahavis in Spagna la ruota che ha preceduto tutte le altre sul traguardo posto in cima a una rampetta era proprio la sua.
E non è che il veneto ha battuto due passanti in velocipede, no, ha preceduto Filippo Pozzato e Cadel Evans, ovvero uno proprio veloce e uno solido come il marmo, per tacere dei rispettivi palmarès. L'ultimo mezzo chilometro della tappa tirava verso l'alto, e ciò ha eliminato di fatto i velocisti puri dalla disputa. La Katusha, che fin qui ha monopolizzato le attenzioni, ritiratosi oggi Steegmans, puntava a centrare la tripletta consecutiva proprio con Pozzato. Ma lo spunto del vecchio leone ha tappato la bocca a tutti, su un arrivo che un po' ricordava il Cauberg.
Già, il Cauberg: la salita simbolo dell'Amstel Gold Race quest'anno non vedrà tra i suoi protagonisti proprio Davide Rebellin, che continua a dimostrare che invece in certe corse se la gioca con chiunque. Non che ci fossero dubbi sulla sua competitività, visto il personaggio: sappiate, cari lettori, che con quella di oggi il corridore della Serramenti Diquigiovanni-Androni mette a segno (almeno) una vittoria in stagione per il quindicesimo anno consecutivo. E da quando è passato professionista nell'ormai remoto 1992, solo nel '94 ha mancato l'appuntamento col successo, "peccato" certo scusabile in un ragazzo che all'epoca aveva solo 23 anni.
Ma oggi che di primavere sul groppone ne ha quasi 38, Rebellin scopre che ancora non basta una carriera come la sua per avere garantita la partecipazione in gare che trarrebbero solo lustro dalla presenza del vicentino. L'Amstel, per l'appunto, non ha invitato la squadra di Davide (né tantomeno quella di Danilo Di Luca), e la cosa si commenta da sé, per quanto è grottesca. Sicuramente dietro c'è un regolamento che legittima e giustifica la scelta degli organizzatori, ma a questo punto non abbiamo nemmeno più la pazienza per andare a cavillare su questioni tanto evidentemente lontane dal buon senso.
Il regolamento c'era, c'è, ci sarà stato, ma se il risultato è che Rebellin e Di Luca non potranno partecipare all'Amstel, per ragioni che esulano da un principio di logica, vuol dire che non c'è norma che tenga o che non tenga, perché le norme dovrebbero tutelare e non gambizzare chiunque, cittadino o ciclista che sia. E invece, puntualmente, siamo alle prese con diritti negati, con decisioni incomprensibili al posto di gestioni ragionevoli, siamo al caos, all'arbitrio più totale.
Il ciclismo degli anni 2000 è troppo nebuloso, intorcinato attorno a regole che non hanno alcun valore reale, ma trovano ragion d'essere solo nella perpetuazione di se stesse e del potere che le genera. Non c'è chiarezza, non c'è ragionevolezza, c'è solo oscurantismo. E in queste tenebre forse è anche giusto che Rebellin non venga coinvolto, lui troppo luminoso per queste bassezze. Si tenga la soddisfazione di questa vittoria andalusa, se ne prenda altre, quante più possibile nel corso di questa nuova stagione, e non si curi di chi non ha rispetto. Di costoro non si serberà il nome a lungo, il suo invece continuerà a risplendere nel triste e negletto ciclismo degli Azzecca-Garbugli.

Marco Grassi

 

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