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La dottoressa Daniela Fusar Poli - "Vizzy" si racconta, tra bici e foto

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Non la si può non notare quando si arriva ad un raduno di una gara femminile. Alta, appariscente e sempre sorridente. In lei si vede la passione per questo sport di fatica, ma anche la consapevolezza e la voglia, che condivide con tante compagne, di far aumentare la notorietà del ciclismo femminile, sempre più in ascesa. Daniela Fusar Poli, per gli amici "Vizzy", una delle atlete che compongono la nazionale azzurra, classe gennaio 1984 (non si scrive l’età di una signorina, ma Daniela, che è una simpaticona, ci perdonerà), di Busto Garolfo, cittadina dove si trova uno dei velodromi più attivi d’Italia che per "Vizzy" è quasi una seconda casa. La ragazza è Élite ormai da qualche anno, dopo un interessante trafila giovanile fatta di successi e di tanti piazzamenti. Dapprima corre con la Nobili Rubinetterie di Walter Zini (attuale Menikini-Selle Italia-Gysko) per passare dalla scorsa stagione alla corte di Fabretto nella corazzata Safi.
Daniela chi ti ha attaccato la passione per la bicicletta?
«La "colpa" - spiega - va data a mio papà ed a mo fratello Dino».
Succede spesso che si corra magari per emulare qualcuno. Daniela però nelle categorie giovanili si fa, come già anticipato, notare con successi anche importanti. Quale il più importante?
«La mia vittoria più importante da giovane l’ho ottenuta in pista - confessa - quando ho vinto il titolo tricolore juniores dei 500 metri. Se poi devo essere sincera sono comunque orgogliosa anche degli innumerevoli secondi posti ottenuti ai Campionati italiani sia su strada che su pista: ben sei».
C’è uno di questi secondi posti che ancora oggi grida vendetta? O magari una gara giovanile che tenevi a vincere ma invece ti è sfuggita?
«Eh si - ammette - il Campionato italiano su strada al secondo anno da Juniores. Mi precedette Monia Baccaille di un nulla».
Dopo questi risultati, ecco il passaggio tra le Élite. Col passaggio hai coronato un sogno?
«Certo che si - spiega - da bambina mai e poi mai pensavo di correre un domani con miti quali Fabiana Luperini o Jeannie Longo-Ciprelli; adesso uno di questi miti, Diana Ziliute, è addirittura una mia compagna di squadra: come fa tutto questo a non essere un sogno?»
Hai buoni rapporti con tutti in gruppo, c’è qualcuno nel plotone con cui c’è vera amicizia?
«Sì, e non aggiungo altro».
Recentemente hai posato con alcune compagne di Nazionale per un servizio fotografico; credi che la bellezza di voi atlete sia importante per la crescita del settore femminile?
«Spero e credo che lo sarà, noi atlete dovremmo imparare a vendere meglio la nostra immagine, come accade in altri sport e i media dovrebbero darci più spazio per farlo».
Laureata alla grande, gratificata dal fatto di aver perfettamente fatto conciliare sport e studi, Daniela si è anche segnalata come "politicante sportiva". Cosa ti ha spinto a fare questo?
«Sono sincera - dice - l’incoscienza».
In gruppo spicca il tuo fisico statuario, quale parte del tuo corpo preferisci?
«Direi gli occhi, ma ti dirò, ogni giorno ce n’è una che non mi piace».
Ormai sei professionista da qualche anno, c’è una gara che vorresti assolutamente fare tua?
«Si c’è - afferma - me ne sono innamorata dalla prima volta che l’ho disputata: è negli Usa, a Philadelphia».
Staresti a far due chiacchiere per ore con una ragazza così affabile ma il tempo corre. La salutiamo, non prima però di toglierci la curiosità sul soprannome. Che vuol dire "Vizzy"?
«È un sopranome che mi è stato dato quando correvo con Zini alla Nobili. "Vizzy" sta per "viziata in fatto di bici". In quanto figlia di un meccanico, sono abituata ad avere tutto super perfetto. Ad esempio, quando mi avete scattato la foto che vedete nell'articolo, ero andata all'amiraglia perché avevo un cigolio al pedale che non riuscivo a sopportare...».

In bocca al lupo "Vizzy" ci vediamo sul podio.

Gianluca Trentini

 

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