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Don Carlos, una sinfonia - Sastre compie l'opera: Tour vinto

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E così, al tramonto di luglio, tramonta anche il Tour de France. Un'edizione tribolata come tutte quelle che si susseguono da quando gli organizzatori hanno deciso di etichettare ogni Grande Boucle come "il Tour più pulito della storia". Poi puntualmente lo sporco viene a galla, e così di anno in anno: ciò avviene perché nessuno regala a questi dirigenti il manuale intitolato "L'ABC del Marketing", ma questa è un'altra storia che ci porterebbe lontano.
Il problema è che poi tutto viene schizzato da un po' di fango, anche la maglia gialla di Carlos Sastre, che ha meritato il Tour più di Evans secondo, ma che rischia di finire presto impastoiato in certe storie della sua squadra: la Suddeutsche Zeitung lancia la notizia che Riis e Frank Schleck sarebbero direttamente coinvolgibili in Operación Puerto per via dei loro rapporti equivoci col dottor Fuentes, e se un po' di ciclismo l'abbiamo imparato in questi anni, aspettiamoci qualche altro temporale estivo.
Punto e daccapo, come sempre, anche se si tratta della squadra - la CSC - che ha i controlli interni più severi e precisi: l'hanno detto alla televisione, per cui è senz'altro vero.
Di Sastre c'è da dire, senza cedere al buonismo, che è uno dei vincitori meno scintillanti della storia. Ha vinto in montagna, all'Alpe d'Huez, grazie all'azione più bella di questo Tour (al secondo posto ci mettiamo il Riccò dell'Aspin, più bello ma meno decisivo): anche perché, sempre con quella pirenaica di Riccò, è stata praticamente l'unica: aspettarsi un attacco da Evans o Menchov o dallo stesso Frank Schleck è un po' come attendere Babbo Natale la notte di Pasqua: un evento verificabile giusto se si sposta l'asse di rotazione terrestre.
E questo la dice tutta su un ciclismo che come Chronos ha mangiato tutti i suoi figli, i migliori, e come un'URSS ha internato in un ideale arcipelago gulag tutti quelli che l'avrebbero reso più grande e bello. C'è qualcosa che non va, c'è qualcosa che non torna: non va che il livello sia basso quasi ai limiti della decenza, e non torna la passione che ogni giorno viene erosa impietosamente da questo andazzo.
Tiremm innanz, disse Amatore Sciesa, tiremm innanz diciamo noi, celebriamo il vincitore (il secondo madrileno consecutivo dopo Contador), ben ricordando che due anni fa era gregario di Basso e oggi vince un Tour quando forse nemmeno lui se l'aspettava più: ma perdere almeno una mezza dozzina di avversari diretti, caduti nella rete, faciliterebbe il lavoro a chiunque.

La tappa di oggi, l'ultima delle tre settimane di fatiche, si è sviluppata secondo i canoni più classici: passeggiata fino a Parigi, e poi ritmo sempre più vertiginoso sui Campi Elisi, lungo i nove giri sul viale più importante di Francia e dintorni. E lì, tra un Louvre e un Arco di Trionfo, i tentativi di evasione si sono moltiplicati: Gutiérrez Palacios e Florencio, poi il nostro Nibali con Le Mevel, poi il campione nazionale francese Vogondy con Barredo (due che in fuga ci erano già stati in questo Tour, rimanendo scottati entrambi), poi Giampaolo Cheula con uno Stefan Schumacher che ha ancora energie da spendere, quindi un allungo a tre di Sivtsov, Botcharov e Augé, quindi l'azione disperata di Gérard e quella un tantino più speranzosa del compagno Gilbert, ai 5 km; quindi lo scatto di Sylvain Chavanel, che essendo il supercombattivo del Tour non si poteva rassegnare a non essere l'ultimo attaccante della corsa. Contento lui, contenti tutti.
Tutto questo sotto lo sguardo severo e agguerrito di un gruppo che non ha lasciato nessuno spazio a nessuno, troppa ancora la voglia di volate, in un Tour che di arrivi compatti ne ha vissuti pochini. E allora la Quick Step ha adottato la tattica dell'o la va o la spacca, tutti a tutta per Steegmans, in una staffetta in cui Tosatto ha ceduto perfettamente a De Jongh il penultimo testimone, e in cui il belga ha lanciato il connazionale Steegmans ai 200 metri: buon per loro che Julian Dean, in terza ruota, abbia avuto le visioni in quel momento, praticamente fermandosi e facendo il buco al velocista fiammingo. Quando Ciolek s'è accorto che la frittata stava per bruciarsi, era ormai troppo tardi: ci s'è messo d'impegno, a scalzare Dean e a rilanciare verso la ruota imprendibile di Steegmans, ma non ce l'ha fatta.
Si accontenta del secondo posto, Ciolek, così come Freire si accontenta del terzo ma stringe al petto la prima maglia verde (classifica a punti) della sua carriera. E Sastre, che nel finale ha pure potuto permettersi di perdere 7", festeggia in giallo, su quel podio tante volte rimirato da lontano, qualche volta annusato da vicino, una volta già calcato (2006, quando giunse sul gradino più basso), ed ora, a 33 anni, finalmente conquistato con la vetta del Tour. Pereiro-Contador-Sastre: il triennio spagnolo alla Grande Boucle è cosa fatta. I nomi che lo compongono, a parte quello di Contador, fanno riflettere: e il pensiero, inutile girarci intorno, è che solo nel ciclismo disastrato degli anni 2000 poteva riuscire una simile tris.
E va bene, si va avanti in qualcho modo. Il Tour 2008 è finito e lascia spazio ad altre cose, ad altre corse. San Sebastián, poi le Olimpiadi, poi tutto quel che verrà. E noi appassionati saremo sempre in prima fila. Forse. Saremo sempre in prima fila?

Marco Grassi    

 

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