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La Milano-Sanremo di Cancellara - Pozzato e Gilbert ai posti d'onore

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Eccolo lì, in alto: vedete bene? Ecco come sarebbe oggi, nel 2008, il nostro mondo se nel corso degli anni le spinte innovatrici non ci avessero portato dove siamo giunti oggi. E non è questione di un tempo migliore o peggiore di quello che fu, non è questione di accettare supinamente le distorsioni odierne o rimpiangere sanguinando lacrime un'età dell'oro che è tale solo nei ricordi offuscati e puntualmente distorti (in meglio) di chi la visse giovane; è questione che i cambiamenti sono necessari, anzi inevitabili. La risposta non è mai nel passatismo, non è mai nel si stava meglio quando si stava peggio: la risposta è sempre davanti a noi, e a noi tocca "solo" l'impegno di sforzarci per raggiungerla e per renderla bella, appagante, efficace.
Oggi, per esempio, la risposta si chiama Le di nome e Mànie di cognome. Ed è una salitella se vogliamo poco significativa presa in sé e per sé: ma grandemente rilevante se inscritta nel contesto di una corsa di 300 chilometri, una corsa il cui percorso, con l'andare delle edizioni, aveva progressivamente perso appeal, reso via via più facile dai progressi tecnici, fisici, tattici di chi era chiamato a coprirlo. E così la Milano-Sanremo si è trasformata, da corsa in cui vincevano i Coppi e i Bartali, in gara riservata quasi sempre ai velocisti.
Per anni gli amanti forsennati della tradizione si sono opposti all'aggiunta di un'asperità che ridesse pepe alla corsa: trascurando il fatto che la tradizione invocata non era mai esistita, proprio perché gli arrivi con sistematica volata di gruppo erano una novità degli ultimi 10 anni (ed erano ricorsi in passato spingendo ogni volta l'organizzatore dell'epoca - Torriani - ad aggiungere un ingrediente, prima il Poggio, poi la Cipressa).
Ecco quindi che il caso, più coraggioso dell'attuale vertice RCS, ci si è messo di mezzo, con un'interruzione dell'Aurelia e l'obbligo a fare una piccola deviazione, guardacaso proprio passando dalla salitella di Le Mànie. E questo particolare ci ha regalato una delle più belle Milano-Sanremo degli ultimi anni: una corsa mai scontata, e conclusasi in bellezza con la vittoria di colui che senza dubbio alcuno era il più forte.
E veniamo a lui: un missile, ecco cosa. C'è un altro modo per definire Fabian Cancellara, vincitore sul lungomare Calvino dopo un'azione di smagliante bellezza?
Che per i velocisti tirasse un'aria non del tutto balsamica si era capito, come visto, dalla presenza della suddetta salita; e oltre a ciò, dal fatto che ci fossero tanti attaccanti che partivano da Milano con l'intenzione di anticipare la volata.
Tra i tanti, i primi a prendere il largo sono i classici avventurosi della prima ora: Savini, D'Andrea, Belohvosciks e Frischkorn, all'attacco dal km 22 al 272 - a parte D'Andrea, che si arrende su Le Mànie.
Ecco allora, Le Mànie, messa lì a due terzi del percorso. E in effetti su questa rampa di 5 km la corsa prende una piega che per molti risulta indigesta: la Lampre di Ballan tira di brutto con Bruseghin, e allo scollinamento il gruppo è ridotto a 40 unità, sfrondato di tanti comprimari ma anche di gente di grosso calibro, come Steegmans, Napolitano, McEwen, Chavanel; in discesa (dove Bettini prova un primo attacco), ulteriore selezione: staccato, tra gli altri, Alessandro Petacchi, ovvero uno dei massimi favoriti della giornata.
Ma al traguardo mancano ancora 90 km, quindi c'è modo di rientrare: il gruppo si ricompatta, ma la fatica supplementare delle Mànie lascerà molte scorie. I Capi passano in un lampo, tra una nuova trenata dei Lampre, uno scatto di Cannone, uno di Rovny, uno di Kohl, e il definitivo tracollo di Steegmans (che in teoria avrebbe potuto contendere a Boonen il ruolo di capitano in un'eventuale volata).
La corsa entra nel vivo sulla Cipressa, a 30 dal traguardo: è Bettini a scattare alla prima curva, con lo svedese Lövkvist a ruota. Sulla salita i due riprendono i tre superstiti della fuga della mattina, e a loro volta si vedono riprendere da Rebellin e Axelsson, e in discesa anche da Savoldelli: il quintetto è intrigante, e guadagna fino a 30" su un gruppo che sulle prime fatica a riorganizzarsi, anche perché frazionato dalla caduta del francese Valentin (e stavolta Petacchi è nella prima parte del plotone).
Ma poi il gruppo si ricompone, e la CSC di Cancellara, la Liquigas di Pozzato e la Caisse d'Epargne (che sulla salita aveva mosso senza fortuna l'alfiere José Ivan Gutiérrez) guidano un inseguimento forsennato: in 5 km, dai meno 15 ai meno 10 dal traguardo, la fuga a cinque è annullata. A quel punto manca solo il Poggio prima di Sanremo, e lo sparpaglìo di forze è palpabile: erano anni che non si arrivava con la lingua tanto di fuori ai piedi della salitella.
Sull'ultima rampa di giornata scatta per primo Bertolini, a cui si accodano Pellizotti, Arvesen e l'altro Serramenti Illiano: considerando la precedente azione di Axelsson, e il fatto che gli stessi Bertolini e Illiano arriveranno col gruppo dei migliori, si completa una prestazione di spessore per la squadra di Savio e Bellini.
Il fermento è massimo, i favoriti sono lì a tirare il gruppo (Ballan, Cancellara), o a fare a spallate (ancora Ballan con Popovych) per prendere le posizioni migliori. Ma è ancora il forcing di Rebellin (sontuosa Sanremo per lui) e poi di Gasparotto a portar via il gruppetto buono: dentro ci sono tra gli altri Ballan, Pozzato, Gilbert, Freire, Nocentini, Hushovd, Pellizotti. E Cancellara.
Lo svizzero diventa a quel punto il più temuto del lotto (se già non lo era alla vigilia). In cima al Poggio il margine sugli inseguitori è minimo: 6". Nella picchiata - dopo un tentativo un po' velleitario di Gilbert di avvantaggiarsi - Cancellara si impegna a fondo (tra gli attaccanti è il miglior discesista), e il vantaggio resiste, anzi aumenta: si arriva sul piano, e da dietro sono rientrati appena 2 o 3 uomini, tra cui Landaluze.
Tutti si aspettano da un momento all'altro un allungo di Fabian per anticipare la volata, ma è proprio il basco ultimo arrivato a tentare ai 2 km. Una stoccata che non fa male a nessuno, ma benedetti ragazzi, benedetti Pozzato (soprattutto) e Ballan, vivete con una simile spada di Damocle sul collo, vivete nella certezza che Cancellara darà un colpo dei suoi, e non vi attaccate col mastice alla sua ruota?
Càpita anche questo, dopo 300 chilometri di corsa: càpita che si perda di lucidità; e càpita che si perda l'attimo quando infine l'allungo di Fabian arriva, ai 2 km, come contropiede su Landaluze: nessuno lo tiene, se lo lasciano sfuggire, e la potenza di Fabian è devastante. Da seduto, senza scomporsi mai, lo svizzero guadagna 20 metri, poi 50, poi 100, e poi tutto il margine del mondo: ovvero quel poco che gli basta per non farsi più riprendere, e per avere pure il tempo per rallentare, per assaporare questo successo che - dopo Eroica e Tirreno (a proposito: son 3 sabati che Cancellara spadroneggia sulle strade italiane) - pareva il coronamento ideale di un mese straordinario per lui.
Così è: Fabian smette di pedalare, da dietro non incombono, lui ha tutto il tempo di esultare alla sua seconda affermazione in una Classica Monumento dopo la Roubaix 2006. E chissà se in quei secondi pensa che dovrà darci dentro per un altro mesetto, perché Fiandre e Roubaix sono lì davanti a lui e al momento non pare esserci qualcuno in grado di mettergli i bastoni tra le ruote, se va come è andato oggi.
Al massimo, proprio come in questa Sanremo, lo potranno rivedere solo dopo il traguardo. Ma magari quest'esperienza servirà da lezione per gli altri, a partire da quel Pozzato che ha regolato il plotoncino degli inseguitori davanti a Gilbert, Rebellin e Lorenzetto sul lungomare ligure, per poi lasciarsi andare a un'imprecazione per l'occasione sprecata: la prossima volta il bel Pippo dovrà sintonizzare meglio le sue antenne sulle frequenze lucano-svizzere.

Marco Grassi


 


 

 

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