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Brevi in cronaca - Tour de France 2007 | Cicloweb

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Brevi in cronaca - Tour de France 2007

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20a tappa: Bennati
Per una foto così si sarebbe ipotecato la casa. Invece Daniele Bennati l'ha ottenuta con molto meno (si fa per dire): gli è bastato vincere l'ultima tappa del Tour de France, per poter salire sul podio più ambito, quello davanti all'Arc de Triomphe, nel bel mezzo dei Campi Elisi. E una volta lassù, prima che il cerimoniale del Tour procedesse alle premiazioni, Bennati ha potuto alzare le braccia, lui solo al centro dell'universo, godendosi un lungo attimo dal sapore dolcissimo.
La tappa (Marcoussis-Parigi) si era svolta alla maniera classica dei gran finali: allegria e simpatia fino al circuito parigino, poi coltello tra i denti. Una fuga di 10 con Ballan ha provato senza fortuna ad anticipare lo sprint. Poi la volata: sul rettilineo, Bennati è partito in testa e nessuno l'ha superato. Applausi per lui.
E applausi per Alberto Contador. Tre anni fa lo spagnolo si dibatteva tra la vita e la morte, a causa di una sorta di aneurisma cerebrale che se lo stava portando via. Invece per fortuna ad avere la meglio è stata la sua voglia di farcela, e dall'inferno del coma, il 24enne madrileno si ritrova oggi sulla vetta del ciclismo mondiale.
Ha vinto il Tour de France, ad un'età in cui tanti colleghi si spendono in ruoli di cupo gregariato, magari in squadre minori, alla ricerca di un'affermazione che giustifichi un prolungamento contrattuale. Lui invece è già arrivato ad un successo che rende gloria a un'intera carriera, e c'è da dire che i più acuti avevano capito già da un paio d'anni che Contador sarebbe prima o poi giunto a questo risultato.
Lui di suo ha bruciato le tappe, e ha messo il sigillo personale in un'edizione del Tour - è vero - martoriata, in un'annata - è vero - disgraziata per il ciclismo; ma, facendo i debiti scongiuri (e aspettando qualche giorno per avere tutti i risultati dei vari test antidoping), il suo nome in cima a questa Grande Boucle l'ha scritto, e nessuno lo cancellerà più. E fra 20 anni pochi sapranno se Contador ha battuto Godzilla e King Kong o Mammolo e Pisolo.
Il suo destino, quest'anno, doveva essere quello del gregario: per Ivan Basso, che mirava la doppietta Giro-Tour e aveva bisogno di spalle forti. Poi al varesino è successo quel che tutti sappiamo, e così Contador si è ritrovato, al Tour, a fungere da battitore libero (con Popovych), quando il capitano sulla carta era Levi Leipheimer.
Ma si è capito presto che Alberto non avrebbe ceduto il passo tanto facilmente: il suo scatto sul Galibier è rimasto negli occhi a tutti, e anche quando metteva le mani avanti e diceva di dubitare lui per primo sulla sua tenuta nell'arco di tre settimane, un po' bleffava. Sperava che gli altri non lo prendessero troppo sul serio.
Contador ha visto cadergli intorno tante teste, una notte dei lunghi coltelli dietro l'altra: fuori Vinokourov, e di conseguenza tutta la sua Astana (con Klöden e Kashechkin che avrebbero potuto recitare da protagonisti); fuori Rasmussen, che sembrava ormai imbattibile dopo i Pirenei, e nei cui confronti solo lo stesso Contador era sembrato all'altezza.
Si è rimasti in pochini, e il giovane spagnolo ha avuto buon gioco nel controllare un Evans mai domo (autore di un bel tentativo di rimonta nell'ultima crono) e un Leipheimer che, pur essendo suo compagno di squadra, non avrebbe disdegnato di scalzarlo in dirittura d'arrivo.
Certo, poi c'è quel che si dice e non si dice. Si dice per esempio che Contador, anch'egli coinvolto a suo tempo in Operación Puerto, se ne sia tirato fuori perché ha collaborato con la giustizia. Non si dice chi sia stato il collega «venduto» da Alberto ai giudici, anche se qualche nome circola.
E così, dopo il primo Tour della storia senza un vincitore (quello del 2006), abbiamo ora il primo Tour vinto previo salvacondotto. L'unica è ridere (amaramente) alle spalle di organizzatori che vendevano questa Grande Boucle come l'edizione più pulita da molti anni in qua (grazie all'impegno obbligato a non doparsi fatto firmare ai corridori alla vigilia), e si ritrovano invece le solite storie tese. Il ciclismo rinascerà, sì, forse, chissà. Nell'attesa, andiamocene tutti al mare.

19a tappa: Leipheimer
Alberto Contador da stasera si è messo a fare quello che il suo imperituro destino scritto nel cognome suggerisce: conta. Conta i minuti che mancano alla sua incoronazione sul trono più ambito (e oggi come oggi più maledetto) del ciclismo mondiale: il Tour de France. I pronostici, del resto, non lasciavano troppo margine ai suoi inseguitori, che avrebbero dovuto recuperare nella cronometro di Angoulême, 55 km non proprio piatti ma quasi, 1'50" (Evans) e 2'49" (Leipheimer).
Entrambi hanno in effetti disputato una grande prova: l'americano l'ha proprio vinta, con un volo a 53 di media che gli ha permesso di rimontare 51" a Evans, finito secondo. Un margine che non ha però consentito a Leipheimer di installarsi nella piazza d'onore in classifica: sfuma così la doppietta Discovery Channel, che sarebbe stata oro colato per il team che tra pochi mesi perderà il munifico sponsor dei documentari.
Già così va comunque bene per la squadra americana, che - perso per strada Ivan Basso - estrae dal cilindro il nome nuovo e vincente, quello di Alberto Contador, appunto, 24 anni e un roseo futuro davanti: l'ultimo a vincere una Grande Boucle in così tenera età fu Jan Ullrich (addirittura 23enne all'epoca) nel 1997.
Alle spalle di Contador, l'australiano Evans, che ha fatto della regolarità la sua arma, e che ha provato in tutti i modi a scavalcare il giovane collega, arrendendosi alla fine per soli 23": uno dei margini più risicati nella storia del Tour, ma se consideriamo che il terzo (Leipheimer) si è fermato a 31" dalla maglia gialla, siamo ad una primizia assoluta: tre uomini in mezzo minuto o poco più: non era mai successo. Forse è un caso, o forse il segno che - togliendo di mezzo una mezza dozzina di sicuri protagonisti - la corsa si livella fatalmente verso il basso: dopo tutto un Valverde - amorfo dal primo all'ultimo giorno - che chiude al sesto posto nella generale la dice lunga.
Domani quindi festa grande, pur nella mestizia del contesto di un ciclismo depauperato e disperato. Contador dovrà badare solo a non cadere nell'ultima tappa, la passerella di 146 km da Marcoussis a Parigi. Festa sì, soprattutto perché si chiude una delle edizioni più tormentate della Grande Boucle. E pare che i corridori siano pronti a una protesta: forse si fermeranno all'ingresso del circuito degli Champs Élysées per dare un segnale. Il problema - conoscendo la categoria - è che non hanno una minima idea di quale sia questo segnale. Perché se l'avessero, avrebbero agito diversamente (e per tempo) nelle sedi opportune (leggi: le assemblee sindacali).
E confessiamo che da domani ci mancherà l'appuntamento quotidiano con queste colonne, perché non potremo più aggiornarvi puntualmente sui risvolti della divertentissima lotta fratricida che si consuma nel ciclismo. Le ultime novità sono che i vertici del Tour hanno (finalmente!) deciso di sbolognare l'Unione Ciclistica Internazionale: «Sono incompetenti o in malafede, non sanno fare il loro lavoro, e l'anno prossimo non collaboreremo». Speriamo che anche il Giro d'Italia dia presto un simile annuncio.
I suddetti vertici del Tour hanno anche chiesto le dimissioni del presidente Uci, l'irlandese McQuaid: che però è avvinto come l'edera alla poltrona, hai visto mai che inanelli una carriera simile a quella del suo predecessore Verbruggen (oggi numero 2 del Cio). Tempi grami.

18a tappa: Casar
Notizia del giorno: non ci sono positivi. Nel magico mondo del ciclismo, in cui si è invertito il rapporto tra uomo che morde e cane, le non notizie diventano notizie, e noi, mentre la nave affonda, possiamo permetterci di fare gli ameni.
Non potremmo permetterci di fare a meno, d'altro canto, dell'ennesima sequela di bombardamenti, da una parte e dall'altra, che continuano col Tour in pieno svolgimento. L'ultima bordata l'ha assestata Angelo Zomegnan, direttore del Giro d'Italia e in prima fila nella schiera di coloro che si ribellano allo strapotere dell'Uci. Uno strapotere che, lo ricordiamo per la centesima volta, mira a indebolire il ruolo dei grandi giri (attraverso le positività a tempo: potendo colpire tutti a piacimento, si decide di colpire determinati personaggi in determinati momenti, per esempio quando sono in maglia gialla: brutto colpo per l'immagine di un Tour, vero?).
Il motivo è che la stessa Unione Ciclistica Internazionale vuol gestire in proprio tutto il baraccone, tramite il Pro Tour (ovvero la selezione d'élite di squadre e gare, creata 2 anni fa e da subito dimostratasi completamente piena di falle).
Torniamo a Zomegnan, che ha dichiarato apertamente ai microfoni di Eurosport che il Pro Tour è morto, che non c'è nessun motivo per farne parte, e che l'Uci è diretta da impiegati incapaci. Niente male: ancora un anno fa un personaggio come Zome non si sarebbe espresso in questi termini, ma è evidente l'escalation dello scontro politico, e siccome ci siamo ancora nel mezzo, aspettiamoci un bel po' di altre tempeste.
Sotto a tutto questo volare di stracci, i ciclisti, povere anime pie, dopati fino ai capelli (come altre migliaia di sportivi professionisti) ma completamente inerti, incapaci di fare un minimo fronte comune e di affrontare i problemi che li riguardano. Ma del resto, cosa aspettarsi da gente che è rappresentata in campo europeo da un sindacalista come Francesco Moser, il quale non trova di meglio da proporre che la radiazione alla prima positività, esibendo una disarmante povertà di idee e di cultura giuridica?
Proprio lui, che grazie al doping ha vinto un Giro, un Lombardia, ha stabilito svariati record dell'ora, e che è stato la cavia per tutti i test del professor Conconi (che - lo ricordiamo en passant - è stato stipendiato dal Coni fino alla fine degli anni '90, e che ha allevato tutti i maggiori dopatori dei tempi moderni, da Ferrari a Cecchini. Ma ora Petrucci, bontà sua, parla di sport pulito e di ciclismo dopato).
Questo il livello: uno sport gestito da incapaci e popolato da ignoranti che farebbero meglio a dedicarsi alle proprie vigne (Moser, nel caso).
Al Tour oggi ha vinto Casar, dopo lunga fuga con Merckx, Boogerd e Lefèvre. Il francese ha provato la stoccata a poco meno di 3 km dalla fine (approfittando della via interna su uno spartitraffico, laddove gli altri avevano girato all'esterno), ma è stato ripreso dagli altri 3, trainati da un Boogerd che se avesse tirato un altro metro avrebbe avuto una sincope. Ripreso, o meglio, non del tutto: perché Casar, incurante del ritorno dei compagni di fuga agli 800 metri, non ci ha pensato neanche per un secondo a farsi da parte: è rimasto davanti a tutti, vento in faccia, fino alla fine, conservando addirittura un paio di biciclette di margine su Boogerd che non riusciva (o non voleva: in tal caso, 4 in tattica all'olandese) a chiudere quel maledetto buco.
E ai 250 metri, sfruttando quel limitatissimo margine, si è lanciato di nuovo, stavolta per la volata che non ha lasciato scampo agli altri, chi più chi meno vogliosi di lasciare un'ultima zampata (Boogerd e Merckx sono vicini al ritiro).
Domani la crono decisiva, Contador in maglia gialla si difenderà da Evans, che dovrebbe recuperare 1'50": prepariamoci a un pomeriggio di emozioni deboli. Poi se Dio vuole domenica si chiude.

17a tappa: Bennati
Italiani! Proviamo a sorridere, almeno per un minuto? Dopo burrasche e fortunali, abbiamo infilato al Tour 2007 la seconda vittoria di tappa: dopo Pozzato ad Autun, ecco Bennati a Castelsarrasin. Non sapendo se la giornata avrebbe favorito i fuggitivi o i velocisti, lo sprinter aretino ha proposto una personale crasi: s'è infilato in una fuga e ha raccomandato l'anima ai santi. Buon per lui che l'azione si sia rivelata ottima, col gruppo che - sfiancato più dai Pirenei o dal caos? - ha lasciato fare, e con gli 8 attaccanti che hanno preso il largo.
Con Bennati, altri tre italiani: il suo compagno di squadra Righi, poi Quinziato e Tosatto. A completare l'ottetto (parola buffa, ma garantiamo "che esiste" - come direbbe anche Jennifer Lopez) David Millar, i tedeschi Voigt e Fothen, lo svizzero Elmiger. L'accordo è durato fino a 17 km dal traguardo, quando (dopo delle buone trenate di Elmiger e Fothen), Voigt ha sgasato e ha fatto malissimo a Righi, Tosatto, Millar e Quinziato. E di colpo l'Italia si è ritrovata ad avere un solo rappresentante in avanscoperta: per fortuna, si trattava di quello coi garretti migliori.
Ai 4 km altri tentativi di Voigt, ma Bennati è stato bravo e coraggioso a spendersi per annullarli. E per finire in gloria, l'aretino ha seguito Fothen che provava ad anticipare lo sprint ai 250 metri, e l'ha superato con una gamba sola, andando a conquistare il suo primo, preziosissimo successo alla Grande Boucle.
Domani potrebbe pure ripetersi, la Cahors-Angoulême è adatta ai velocisti.
E qui finiscono i cotillons. Ma se già passiamo a parlare della maglia gialla, rispunta lo sprofondo: già già, ci eravamo lasciati ieri con Damocle Rasmussen e la sua spada, che nella tarda serata si è infine abbattuta sul suo capo: nell'occhio del ciclone da giorni per non aver notificato la sua reperibilità in occasione di un paio di controlli antidoping (cosa peraltro consentita: la squalifica scatta alla terza «evasione»), il danese era stato apertamente criticato dal presidente Uci McQuaid. E puntualmente è stato segato (ci si passi il francesismo, visto che di Tour si tratta): a farlo è stata la sua squadra, la Rabobank, che l'ha sospeso e rimandato a casa.
Le motivazioni sono risibili come le altre mille cose pretestuose che avvengono nel ciclismo: Rasmussen paga il fatto di aver «mentito al team, dicendo che era in Messico ad allenarsi quando invece era in Italia». Fa fede la dichiarazione in diretta Rai di Davide Cassani («L'ho visto sulle Dolomiti»): sembra incredibile, ma in questo ambiente ormai non ci stupiamo più di niente.
La maglia gialla, oggi non indossata da nessuno, passa allo spagnolo Contador, fino a ieri secondo dietro Rasmussen.
Intanto in Italia il Coni ha depositato il ricorso contro l'assoluzione di Petacchi. Lo spezzino rischia sempre un anno di stop, quindi le sue lacrime di gioia dopo il risultato del primo grado di giudizio potrebbero risultare premature. Magari piangerà ancora, speriamo di no.

16a tappa: Rasmussen
Probabilmente non ci crederà nessuno, ma siamo pronti a giurare che c'è stato un tempo in cui il Tour de France non era il romanzo noir che siamo ormai abituati a conoscere; ma era, al contrario, il momento più entusiasmante, spettacolare, esaltante dell'intera stagione ciclistica. Ne abbiamo vaghi ricordi, e prima che vengano cancellati del tutto dallo stillicidio che da un decennio stiamo subendo, li mettiamo per iscritto, visto che verba volant.
Era quello un tempo in cui chi vinceva il Tour lo vinceva, e non glielo toglievano successivamente, per poi non sapere a chi riassegnarlo; era un tempo in cui i favoriti riuscivano a prendere il via (e poi magari davano spettacolo), e non venivano appiedati nell'immediata vigilia; era un tempo in cui non avevamo a che fare con la notizia di una nuova positività ogni giorno; era un tempo in cui i corridori si aiutavano lo stesso, ma la cosa pareva non turbare i sonni di troppa gente; certo, era un tempo in cui la vita era più facile, e si potevano mangiare anche le fragole.
Oggi invece, l'unica cosa che si può ingollare è la quotidiana dose di fiele: così fu che, veleno dopo veleno, ci siamo mitridatizzati, e ormai ogni nuova positività la accogliamo con una semplice alzata di spalle, dopodiché torniamo a fare quello che stavamo facendo. E noi, travolti dal solito destino rinunciando (per il Tour) all'azzurro mare di (quasi) agosto, stavolta dobbiamo segnare sul libro nero il nome di Cristian Moreni.
Un italiano ci mancava, in effetti: è pur vero che ce ne sono pochi, alla Grande Boucle, ma non era giusto che non ci si sedesse anche noi al tavolo del (finto) disonore. Testosterone a mille, per il mantovano: biglietto di sola andata per l'Italia, e multa equivalente a un intero anno di stipendio. Le regole sono regole, e questa (per quanto assurda) l'hanno firmata proprio i ricattatissimi corridori, alla vigilia, per prendere il via al Tour.
Proprio per questa norma, c'è anche stato, nei giorni scorsi, chi ha azzardato che questo Tour fosse più pulito di quelli precedenti. Ma quando mai: ora si vede quanto fosse una boiata quella regola, che non serve come deterrente ed è la consueta cortina fumogena intorno a un problema che non si vuole (o non si può?) affrontare in maniera efficace.
Intanto si parla praticamente solo di doping, e il fatto che - giusto per fare un esempio - in Italia negli ultimi 3 anni siano morti 1000 ciclisti (tra praticanti e professionisti) in seguito a incidenti stradali, pare meno grave degli 0 morti per doping. Sicuri che il problema principale del ciclismo sia appunto il doping?
Certo, è anche un problema il fatto che un altro dead man walking (come era stato Vinokourov, al centro di mille sussurri per settimane e poi puntualmente stroncato) stia per vincere il Tour 2007: Michael Rasmussen, che non si capisce perché si affanni tanto, quando nel giro di poche settimane gli toglieranno anche le mutande (è al centro di un caso di mancati controlli, e il gran capo dell'Uci, Pat McQuaid, si è già espresso: «Sarebbe un peccato se Rasmussen conquistasse il Tour». Che va letto così: «Faremo di tutto per non farglielo vincere, o al limite glielo togliamo dopo»).
Nell'attesa dell'inevitabile, Rasmussen ha vinto oggi l'ultima tappa di montagna della Grande Boucle, staccando tutti a un chilometro dall'arrivo, posto in vetta all'Aubisque. Il danese ha 3'10" da difendere nella crono di sabato, quando Contador proverà a superarlo (quasi impossibile).

15a tappa: Vinokourov
Possiamo dire che Michael Rasmussen ha spostato le montagne? Qualcuna, perlomeno, di quelle che ancora si frapponevano fra lui e la sorprendente conquista del Tour 2007: per la precisione, quelle inserite nella seconda frazione pirenaica, Foix-Loudenvielle, che prevedeva 5 scalate prima della planata in Val Louron, dov'era piazzato il traguardo.
Gestendo con l'aiuto di una Rabobank in formato deluxe (su tutti un Boogerd impagabile) ogni situazione di corsa, il danese in maglia gialla ha dovuto rispondere in prima persona solo a colui che ormai è il suo unico serio contendente per il successo finale: quell'Alberto Contador che ha attaccato, sì, ma solo a 2 km dall'ultimo scollinamento di giornata. Forse un po' tardi, considerando che la Discovery Channel di cui il 24enne madrileno è ormai il capitano incontrastato poteva disporre di un paio di altre buone punte (Popovych e Leipheimer), e se avesse voluto avrebbe potuto orchestrare una tattica più ficcante per mettere in difficoltà il team di Rasmussen.
Invece tutti dietro all'andatura di Boogerd, e tentativo di Contador quasi in cima: il che non vuol dire che non sia stato ugualmente un bel tentare, col ragazzo che ha infilato uno dietro l'altro ben 5 scatti che erano delle discrete rasoiate; ma il danese ha risposto sempre, pur soffrendo un po', ma reagendo comunque bene, sia di nervi che di gambe. E così i due sono arrivati insieme, primi tra i big della classifica, e fissano per mercoledì (domani si riposa) l'ultimo duello in montagna: l'arrivo in vetta all'Aubisque sarà la chance finale per Contador, che se non smussa almeno un po' il margine da Rasmussen, non può sperare di scavalcarlo nella crono di sabato.
Pur staccando tutti i rivali di classifica, i due contendenti (divisi da una non del tutto sommessa antipatia) non si sono potuti giocare la vittoria di tappa, perché in avanscoperta c'era sin dal mattino una corposa fuga, animata, indovinate un po', da Alex Vinokourov. Il kazako aveva effettivamente tirato i remi in barca ieri, sulla salita di Plateau de Beille, quando aveva capito che non sarebbe riuscito a salvare la classifica. E allora si è gestito e ha messo da parte un po' di energie da spendere oggi: e puntualmente, Vino si è prima inserito nella fuga giusta (anzi, l'ha proprio promossa), poi ha controllato i compagni di avventura (tra gli altri, alcuni nomi interessanti come Kirchen, Gárate, Hincapie, Zubeldia, Arroyo, Cobo, Menchov - poi fermato per aiutare Rasmussen), infine, sul Peyresourde, ultima ascesa di giornata, ha fatto il vuoto alla sua maniera. Una grande vittoria di carattere per un uomo che ha più forza mentale di qualunque collega in bicicletta.
Quella forza mentale che domani dovrà esibire Rasmussen, chiamato a una conferenza chiarificatrice sulla sua situazione (ha saltato due controlli antidoping nei mesi scorsi, è sotto ammonizione). Il presidente Uci, McQuaid, ha già detto che non sarebbe bello se lui vincesse il Tour (parole che sembrano campane a morto); nel frattempo la dogana francese ha perquisito oggi i mezzi di Rabobank, Csc, Discovery Channel e Astana. Perché non ci si dimentichi mai che viviamo in uno stato di guerra permanente.

14a tappa: Contador
La seconda settimana di Tour se ne va, e si porta con sé Vinokourov e i suoi sogni di grandezza. Dopo la crono-monstre di Albi, tutti aspettavano che il kazako zampillasse energia e fantasia sui Pirenei, invece proprio lui è stato il primo a colare a picco: staccatosi a metà della penultima salita di giornata (il Port de Pailhères), Vino ha definitivamente mollato, abbandonando il progetto di vincere il Tour. Solo quelli abituati a guardare i film al cinema fino alla fine dei titoli di coda hanno avuto la pazienza di aspettare l'arrivo di Alex, 81esimo a 28'50" dal primo, e ormai irrimediabilmente fuori da ogni gioco che non riguardi al massimo qualche isolata vittoria di tappa.
Magari in questa nuova veste lo rivedremo anche domani stesso (dopotutto oggi non avrà speso tutto sull'ultima salita, e una volta appurato che mai e poi mai sarebbe rientrato in gara si sarà gestito in qualche modo), nel classico tappone pirenaico, Foix-Loudenvielle, con Port, Portet d'Aspet, Mentè, l'inedito e (dicono) durissimo Port de Balès e Peyresourde a punteggiare il profilo altimetrico dei 196 km della quindicesima tappa.
Ma detto di chi ha indubitabilmente perso, resta da parlare di quelli che hanno sorriso. Il primo è Alberto Contador, un corridore forte ma forte, 24 anni appena, madrileno, già da un paio di stagioni lì lì per spiccare il volo, e quest'anno evidentemente pronto al grande balzo in avanti. A poco meno di 8 km dal traguardo di Plateau de Beille, dopo un gran lavoro di Popovych e un breve forcing di Leipheimer (due compagni che potranno aiutarlo a fare la differenza), è stato proprio Contador il primo tra i favoriti ad attaccare.
A quel punto la maglia gialla Rasmussen era già rimasta senza compagni di squadra (si erano spesi Dekker, Menchov, e da ultimo un grande Boogerd che tra pochi giorni si ritira); Klöden, già poco tonico da qualche chilometro, si era appena staccato (anche se poi ha limitato i danni), e la non scintillante prestazione di Kashechkin ha completato la giornata grigia dell'Astana; Valverde (sempre più malinconico) e Mayo imbarcavano acqua da tempo; e davanti erano rimasti, con Contador e Rasmussen, i soli Evans, Leipheimer, Sastre e il già sorprendente Soler.
Ma a parte il colombiano, che ha provato ancora un paio di allunghi, i più forti erano proprio Contador e Rasmussen, e infatti i due se ne sono andati a 5 km dalla vetta, dopo essersi scattati in faccia per un bel tratto, ma poi, perfettamente soli e perfettamente d'accordo, staccando tutti (anche un Evans a cui resterà il dubbio di non essersi gestito al meglio, forse per la foga di rispondere subito a tutti gli allunghi) e arrivando a giocarsi la tappa con una volata pepata (pare che il danese avesse promesso al ragazzo di lasciargli strada, rimangiandosi poi la parola). Primo al traguardo Contador, secondo Rasmussen. In classifica posizioni invertite: resteranno solo loro a contendersi il Tour 2007?

13a tappa: Vinokourov
Come qualche inguaribile sognatore sperava, Vinokourov ha riempito di sé il Tour de France. Indietro di un paleozoico in classifica, l'asso kazako non aveva che un modo per rientrare in gara: recuperare nella crono di Albi qualcuno dei tanti minuti persi a causa della caduta di Autun e dei suoi postumi. E all'appuntamento contro il tempo, Vino è arrivato in perfetto orario: ci ha messo 1h36'34" per coprire i 54 km della tappa, a una media di oltre 48 orari su un asfalto bagnato dalla pioggia, su cui bisognava andare cauti - specie in discesa - per non scivolare (come hanno purtroppo fatto Cancellara, Gusev, Klöden tra gli altri).
Solo Cadel Evans è riuscito a inserirsi in quello che sarebbe stato un podio tutto Astana (con Vino primo, Klöden secondo e Kashechkin terzo): l'australiano si è installato subito alle spalle del vincitore, pagando 1'14", unico degli uomini di classifica ad aver limitato i danni. Perché poi gli altri hanno perso assai di più: Contador 2'18", Leipheimer 2'39", la maglia gialla Rasmussen (che anzi si è difeso meglio del previsto) 2'55", Karpets 3'17", Menchov 3'30", Sastre 4'01", Mayo 6'04", un irriconoscibile Valverde (superato in corso d'opera da Rasmussen che era partito 3' dopo di lui) 6'08".
Il danese in vetta alla classifica ha ora un minuto tondo su Evans, ma anche Contador, Klöden e Kashechkin si sono avvicinati, mentre Vino è nono a 5'10" e ora ci crede veramente: sui Pirenei, da domani (Mazamet-Plateau de Beille, 197 km con arrivo in cima dopo che si sarà scalato anche il Port de Pailhères), proverà a far saltare il banco.
Per il consueto angolo del buonumore, che oggi lasciamo in coda, segnaliamo una furibonda telefonata notturna di Prudhomme (organizzatore del Tour) a McQuaid (presidente dell'Unione Ciclistica Internazionale), secondo quanto riferito dal pirotecnico chairman Uci: «Urlava, sbraitava e mi chiedeva se stessi per caso provando a uccidere il Tour de France». Il motivo è il caso Rasmussen (spiegato nei giorni scorsi), che è l'ennesimo pretesto per questa lotta tra Uci e organizzatori (per questioni di vil denaro: chi gestirà i diritti tv in futuro, l'organizzatore di una corsa senza credibilità - i cui protagonisti sono puntualmente invischiati in casi di doping - o l'Ente Supremo che si vanta - senza motivo - di combattere questa atavica piaga?). Siamo a questo punto ansiosi di assistere alla prossima puntata della sit-com.

12a tappa: Boonen
Giusto per invertire un po' la sceneggiatura, oggi iniziamo dallo sport e lasciamo il grotesque per la coda. Tom Boonen ha vinto a Castres la sua seconda tappa in questo Tour, un'altra volata dopo quella di Bourg-en-Bresse. Lunga la fuga di Txurruka e Fedrigo, 134 km al vento (con 11' di vantaggio massimo) per vedersi ripresi a un misero chilometro dal traguardo: c'è di che cadere preda degli antidepressivi.
Ma i due coraggiosi di giornata se ne faranno una ragione: troppa la voglia dei velocisti (con le squadre italiane - Liquigas per Pozzato e Lampre per Bennati - in testa) di ricucire, visto che ora per qualche giorno volate non ce ne saranno (ci aspettano la prima crono e poi tre tappe pirenaiche, più il secondo turno di riposo).
E nel finale la Quick Step ha raccolto il testimone in testa al gruppo e ha guidato molto bene il suo capitano Boonen, il quale ha potuto esplodere tutto se stesso ai 200 metri, tenendo a bada le ambizioni di rilancio di Zabel e quelle di conferma di Hunter. Bennati, migliore dei nostri, solo quarto.
Ma domani non ci andrà meglio, visto che nelle tappe decisive non abbiamo nessuno da presentare, e la crono di Albi, 54 km piuttosto vallonati contro il tempo, ha tutta l'aria di esserlo, una tappa decisiva.
Sotto i riflettori la prestazione di Vinokourov, che potrebbe anche vincere, rientrando così nell'ipotetica lotta per il podio: il kazako, ora 19esimo a 8'05" dal primo, ha patito per due ferite alle ginocchia (15+15 punti di sutura) in seguito ad una caduta, ma ora sta meglio. Anche il suo compagno Klöden, caduto, non è al massimo, ma pare riuscire a convivere bene con la microfrattura al coccige, ed è un altro dei favoriti di giornata.
Curiosità per le prestazioni degli scalatori Mayo e Contador, occhio alla prova di Evans, mentre Valverde si difenderà. Così come Rasmussen, maglia gialla che deve vedersela anche con le notizie che - caso strano! - gli piovono addosso mentre è in vetta al Tour: la federciclo danese lo ha sospeso dalla nazionale perché lui ha dribblato un paio di controlli antidoping. Al terzo scatta la squalifica; ma il bello è che questa cosa la sapevano dal 26 giugno, e la tirano fuori solo ora. Volontà di screditare i grandi giri? Se non conoscessimo l'Uci (interessata a gestire in proprio i diritti tv), che tira le fila di tutta la giostra, ci faremmo una risata.

11a tappa: Hunter
E pensare che c'era chi lo dava per finito. Ma Alexandre Vinokourov piuttosto ci muore, su quella bici, ma non si darà mai per vinto: l'ha detto lui stesso, con questi stessi toni un po' macabri, ma l'uomo è vero, e non si nasconde dietro un dito, mai. Il suo preparatore è il chiacchierato Michele Ferrari (già mentore di Armstrong)? Lui non lo nega, e dice «embè?», e questo atteggiamento, nel mare di ipocrisia del ciclismo moderno, è ossigeno puro.
Si è sfranto le ginocchia in una caduta prima delle Alpi, pedala con 15 punti di sutura per gamba, ha sofferto sulle prime montagne, ma ora che il dolore diminuisce, Vino sta ritrovando se stesso. E allora può chiamare la sua Astana a fare una violenta trenata in testa al gruppo, sfruttando il vento e frazionando il plotone. Ne sono andati di mezzo Moreau (adieu France) e Valjavec, tra quelli bravini. I big (o presunti tali) si sono salvati tutti, ma non dormano tranquilli, ché qui è stata annunciata la Reconquista: come già fece alla Vuelta l'anno scorso, Vino darà tutto per risalire la classifica (ora è 19esimo a 8'05" dalla maglia gialla Rasmussen) e l'ha dimostrato anche con un allungo solitario a 4 km dal traguardo. Attacco annullato, ma il segnale è forte: il kazako è tutt'altro che sazio, e quando le gambe torneranno definitivamente a girare alla stessa velocità dei pensieri, saranno dolori.
La tappa, che aveva anche visto una bella fuga a 5 (Gilbert, Millar, Fofonov, Florencio e Wegmann) l'ha poi vinta Hunter in volata: primo africano (è del Sudafrica) ad esultare al Tour, e secondo del team Barloworld, che sta facendo magie pur non essendo squadra Pro Tour. Bisogna anche dire che il compito ad Hunter gliel'ha facilitato una caduta nell'ultimo chilometro, che ha visto finire in terra Ventoso, Rodriguez e Dean (tra gli altri) e ha rallentato Boonen; mentre altri uomini veloci erano rimasti attardati nel ventaglio (Bennati, per esempio). Ma ci hanno messo del loro anche gli italiani, con Fischer e Pozzato (due Liquigas) che praticamente si sono ostacolati sul rettilineo finale, e i Lampre Ballan-Bossoni-Corioni che si son piazzati nell'ordine dal quinto al settimo posto, ma senza riuscire a profondere le energie in maniera più organica (tutti per uno, per esempio).
È finita che il più pericoloso avversario per Hunter è stato Cancellara, secondo: ai 2 km Fabian aveva pure tentato una sortita, finita nel nulla. Se si fosse risparmiato prima, avrebbe avuto qualcosa in più da dare al colpo di reni? Forse. Ma Cancellara due tappe le ha già vinte, e quindi tutto sommato è anche giusto che gioisca qualcun altro (specie se viene da così lontano), malgrado la rabbia dello svizzero che, dopo il traguardo, si è sfogato col manubrio della sua bici.
Domani Montpellier-Castres, 178 km con salitella a 50 dal traguardo: forse sarà fuga, anche se non possiamo nascondere che tutti non stiamo pensando ad altro che alla crono di sabato.

10a tappa: Vasseur
Scusate, amici, se per qualche giorno abbiamo avuto l'ardire di parlare di ciclismo. Chiediamo venia per lo sbarellamento temporaneo che ci aveva fatto pensare di poter trattare di sport e non di doping. Ma rimediamo subito.
Il Tour de France è infatti in subbuglio perché è stata diffusa oggi la notizia della positività di Patrik Sinkewitz, discreto corridore tedesco che si era ritirato pochi giorni fa dalla Grande Boucle (era quello che, scendendo in hotel dopo la tappa, aveva investito e mandato in coma uno spettatore - che per fortuna ora sta bene - fratturandosi a sua volta il naso).
Sinkewitz è risultato positivo al testosterone (presente nel suo organismo in misura dalle 4 alle 6 volte superiore al consentito) in un controllo effettuato l'8 giugno scorso dall'agenzia antidoping tedesca (il ciclista era impegnato in uno stage di allenamento). Ora rischia i canonici 2 anni di squalifica.
La cosa buffa è che Sinkewitz fa parte di quella T-Mobile che, dopo lo scandalo dettato dallo smascheramento di Ullrich in Operación Puerto e dalle tante confessioni postume (Riis, Dietz, Zabel, Aldag) relative all'uso di Epo negli anni '90 nello squadrone tedesco, si era rifatta il trucco e (forse, credeva) una verginità.
Invece questo episodio ci conferma alcune cose: la prima è che i corridori continuano a doparsi come prima, magari lontano dalle gare, ma si dopano alla grande. La seconda è che non serve a niente la finta lotta portata avanti con leggi specialissime solo nei confronti di una categoria (i ciclisti), e il doping si può arginare solo con un'azione congiunta di tutti i paesi e tutti gli sport: quindi, di fatto, ciò è impossibile (dove sono i nomi dei calciatori e dei tennisti di Operación Puerto?).
Le tv tedesche (ZDF e ARD) hanno per ora lasciato il Tour, in attesa di capirci qualcosa. Fatto clamoroso, senza precedenti, che in parte riecheggia la nostra scelta di seguire il Tour con un occhio solo. Le prospettive sono però diverse: la nostra è stata ed è una protesta contro l'ipocrisia dei vertici del ciclismo, impegnati a martellare sempre da una parte, senza risolvere i problemi e senza fare mai autocritica; quella dei tedeschi è un'azione che mira alla conservazione dello status quo, ponendo l'accento sempre e solo sulle personali responsabilità dei singoli corridori.
Se ne esce? O piuttosto ce ne andiamo tutti al mare?
La tappa di Marsiglia, resta da dire, l'ha vinta Vasseur, dopo una lunga fuga (prima a 11, poi a 5). Il francese (primo a vincere quest'anno nella Grande Boucle) ha fatto uno sprint bello e lungo, beffando di un niente Casar. Domani a Montpellier altra chance per i velocisti.

9a tappa: Soler
Splendi Soler, stella alpina, come non hai fatto ancora. I nostri 25 lettori ci perdoneranno questa deriva citazionistica, ma il ritorno di un colombiano nelle zone tres chic del Tour de France andava celebrato in maniera più artistica del solito. Almeno per un paio di motivi: il primo è che un sudamericano a lottare per le tappe più emozionanti della Grande Boucle (e in qualche misura anche per la classifica) è un notevole sommovimento popolare e passionale (in attesa di quel Rujano che - se e quando la smetterà di buttar via stagioni intere - potrà veramente essere uno di quei fenomeni sportivi che vengono definiti coloritamente «crack»).
Il secondo motivo è che Soler appartiene a una squadra (la Barloworld) che non fa parte del Pro Tour, ed è qui solo grazie ad un invito. E ogni volta che un non-Pro Tour mette in fila tutti i fighetti della fantomatica élite ciclistica, c'è di che festeggiare.
Ma scrivendo scrivendo, ci siamo accorti che stavamo per tralasciare il terzo e più importante motivo: che è il modo in cui Soler ha vinto a Briançon oggi, nell'ultima tappa alpina, quella che prevedeva Iseran (vetta più alta del Tour coi suoi 2770 metri) e Galibier (vetta a 38 km dal traguardo).
Il 25enne colombiano, che sta muovendo i primi passi nel professionismo, è scattato deciso dal gruppo a circa 50 km dal traguardo, e a una decina dalla cima del Galibier. In breve si è portato sui fuggitivi della prima ora, tra i quali Popovych era il più in palla, e con la stessa velocità li ha mollati al loro destino per inseguire solitario la sua giornata di gloria.
L'ultimo appuntamento alpino, però, doveva necessariamente servire al gruppo dei big per smuovere un po' le acque, perché un'altra giornata di ignavia, con lo spauracchio Vinokourov agganciato coi denti all'alta classifica in attesa che le sue ginocchia martoriate guariscano, non era ammissibile: bisognava far qualcosa per ricacciare indietro il kazako. E il primo a muoversi, facendo violenza alla sua indole e al suo nuovo soprannome (Chupa Chups: un succhiaruote così non si vedeva da anni), è stato Valverde, che ha iniziato a scattare a 7 km dalla vetta del Galibier e ha continuato con una certa convinzione, selezionando il gruppo dei migliori e facendo effettivamente staccare Vinokourov (ma anche Menchov, Schleck e Kashechkin).
Gli assalti di Chupa però sono impalliditi al cospetto della rasoiata che Contador ha assestato alle gambe di tutti i rivali a 3 km dalla vetta: lo scatto del giovane iberico, secchissimo, l'ha isolato davanti a tutti (Evans l'ultimo a cedergli), e l'ha portato a trovare, proprio allo scollinamento, la compagnia di Popovych che, facendogli da gregario, gli ha permesso di accarezzare il sogno di conservare quel minuto-minuto e mezzo di margine guadagnato su tutti in salita.
Invece dietro si sono riorganizzati, e approfittando della strada favorevole, si son rifatti sotto (frazionandosi e poi ricompattandosi) e hanno ripreso il duo della Discovery Channel a 6 km dal traguardo, mentre Soler resisteva davanti e Vinokourov pagava quasi 2'30" ai migliori.
Ottima difesa della maglia gialla Rasmussen, che però pagherà nelle crono; e ancora ottima resistenza di Klöden malgrado la microfrattura al coccige: Andreas è ora senza dubbio il capitano Astana. Domani Tallard-Marsiglia, 230 km: o fuga o volata.

8a tappa: Rasmussen
Ha dovuto farne tre, di assalti, Michael Rasmussen, per centrare la prima maglia gialla della sua carriera. Dopo il 2005 e il 2006, in cui, con assalti all'arma bianca, aveva vinto due tappe e due maglie a pois, stavolta il danese colpisce il bersaglio grosso, e lo fa nella prima tappa veramente alpina del Tour (e di conseguenza: la prima veramente decente di questa edizione minore).
Rasmussen ha vinto alla sua maniera, scappando quando mancava tanto al traguardo (87 km), sul Cormet de Roselend, e accodandosi a una fuga preesistente che comprendeva, tra gli altri, quel Michael Rogers che era tra i più accreditati outsider per questo Tour (tanto che si fregiava dei gradi di capitano della T-Mobile, squadra già in maglia gialla con Gerdemann).
Però Rogers è caduto (in un momento di bassa velocità) e si è fatto malissimo, perdendo contatto dai primi e poi rotolando sempre più indietro, fino al triste momento del ritiro, tra le lacrime. Che la giornata sia stata da dimenticare per la T-Mobile (che ha perso in un giorno il capitano, il suo miglior velocista - Cavendish - ritirato, e il simbolo del primato con Gerdemann, ora secondo in classifica), lo conferma anche la vicenda di Sinkewitz, che ha investito e mandato in coma un povero spettatore alla fine della tappa, mentre tornava in albergo in bici (il corridore ha riportato la frattura del naso).
Torniamo in gara. Sulla salita di Hauteville, Rasmussen ha deciso di forzare, a poco più di 40 km dal traguardo, e si è disfatto di Goubert e Kohl, che fin lì avevano tenuto le sue ruote, restando coi soli Colom e Arroyo, che comunque, per non sbagliare, non gli hanno mai dato un cambio: il danese se l'è evidentemente legata al dito, perché sull'ascesa finale di Tignes, a 18 dal traguardo, li ha staccati, e da lì fino al traguardo non l'ha più visto nessuno.
In quello stesso momento, finalmente anche tra i big iniziavano le grandi manovre. L'incendiario di giornata è stato Moreau, che a 36 anni ha ancora voglia di provare a vincere il Tour (essendo l'unico francese che possa - anche velleitariamente - sperarci). Mayo, Kashechkin e Valverde si sono accodati subito, Contador, Evans, Schleck e Popovych appena dopo. Vinokourov e Klöden no: i due Astana (come anche Menchov, Pereiro, Sastre e Leipheimer) hanno patito un po', accodandosi a Savoldelli che, finché ha potuto, ha fatto ai suoi superiori un buon ritmo che ha permesso loro di limitare i danni.
Tra gli inseguitori, quello più in bella evidenza è stato Mayo, che ha pure provato uno scatto solitario, ed è rimasto avvantaggiato per cinque chilometri, prima di subire il rientro degli altri. Ai 10 km è stato di nuovo Moreau a tentare, e Valverde, che ha appena preso un master in succhiaggio delle ruote, gli si è incollato al pignone, ovviamente senza collaborare. Un copione che si è ripetuto ai 6 km, in un momento in cui il distacco del VinoGroup veniva progressivamente abbattuto (fino a 15") dalle lunghe trenate di Klöden, impagabile (e motivato a non fare colpi di testa e a votarsi alla causa dalla kazakistanizzazione ormai definitiva del team, che aveva ospite in ammiraglia il ministro della difesa della repubblica ex sovietica).
Nulla ha potuto, però, il fido Klodi, quando ai 4 km (dopo un andirivieni di Contador: era davanti, un problema meccanico l'ha ricacciato indietro, lui l'ha risolto ed è ripartito convinto) Sastre si è mosso con Menchov, lasciando la coppia Astana al suo difficile destino. Tutto sommato, però, anche il (quasi) minuto e mezzo pagato da Vinokourov e Klöden è ben blando pedaggio visti i presupposti funerei da cui si partiva (ginocchia scarnificate per Alex, coccige semifratturato per Andreas). E per la squadra kazaka avere Kashechkin comunque coi migliori è stata una bella polizza assicurativa.
Sul falsopiano conclusivo, mentre Rasmussen già si apprestava a salire i gradini del palco delle premiazioni, le distanze tra il gruppo di Valverde (che si era staccato sulle ultime rampe prima di entrare e di scattare verso il terzo posto di tappa), Mayo (che col suo scatto - che gli ha portato il secondo posto di giornata - è stato quello che ha causato la defaillance del connazionale), Moreau, Schleck, Evans e Kash, e gli inseguitori Contador, Menchov e Sastre, tendevano allo zero. Come dire che comunque l'equilibrio continua a regnare, secondo pronostico.
Domani, dopo le non immani fatiche della prima settimana di Tour (insomma, la media è stata bassina, diciamo che i ragazzi non si sono tirati il collo come negli anni scorsi), c'è il primo giorno di riposo, momento che in ogni caso non dispiace mai. Men che meno agli infortunati, che potranno recuperare qualcosa in attesa del gran finale alpino di martedì (col Galibier e l'arrivo a Briançon), anche se ormai abbiamo capito che non saranno le Alpi a lasciare un'impronta decisiva su questo Tour 2007.

7a tappa: Gerdemann
Non è nemmeno più questione di prendersela con questo o quel corridore, con questo o quel direttore sportivo. Qualcuno verrà a dire che è proprio la materia prima che manca, e che con la sabbia non si possono costruire castelli duraturi. Del resto, se i più forti in assoluto stanno fuori, e se i più forti tra quelli in gara sono conciati come se avessero beccato un pianoforte a coda sul capoccione, non è che ci si possa aspettare tutte queste scintille.
Le polveri sono un po' bagnate, diciamo, e allora buon per Linus Gerdemann, che è tedesco, è giovane, è coraggioso, e rappresenta in qualche misura il futuro del ciclismo di Germania, ovvero di quel bacino che - sulla scorta delle imprese di Ullrich e Zabel - pareva essere diventato inesauribile (e di conseguenza: Grande Boucle che sconfina a ovest, Deutschland Tour che diventa sempre più importante, squadre che si moltiplicano, budget che aumentano, soldi che girano, soldi che girano, soldi che girano: in Germania, in pratica, l'Uci dei manager affaristi aveva trovato il suo bengodi).
Pareva essere inesauribile, ma gli scandali recenti, da Operación Puerto che ha azzerato Jan Ullrich, alle reiterate confessioni di corridori tedeschi (tra cui lo stesso Zabel) che hanno ammesso l'Epodoping di squadra alla Telekom negli anni '90, rischiavano di inaridire il filone aureo. E allora urgente corsa ai ripari: la squadra più importante di Germania, che ora si chiama T-Mobile (ma siamo sempre lì: ci siamo solo spostati dal fisso al cellulare), si è data una ripulita, cacciando dirigenti e corridori sospetti o troppo compromessi col passato, e, puntando ai giovani, sta portando avanti una campagna come squadra-no-doping.
Ora, che i vertici dell'azienda - che ha avuto inenarrabili ritorni d'immagine dalle imprese di Ullrich e Zabel - non sapessero minimamente quel che succedeva negli stanzini dei medici del team, lo potrebbe credere giusto Marcellino pane e vino. Ma si sa che l'immagine oggi come oggi è tutto, e quindi fingiamo che la T-Mobile, rinsavita e illuminata sulla via di Damasco, sia la fucina del nuovo ciclismo pulito, e quindi esultiamo insieme a Gerdemann, che di questa squadra è uno dei simboli.
Che sia bravo, nessun dubbio: non ha ancora 25 anni, e ha mostrato nelle due stagioni da professionista lampi di classe pura. Oggi, in fuga con altri 14 sin dal mattino, è rimasto davanti sul Col de la Colombière (che scollinava a 14 dal traguardo), e poi, a 6 km dalla vetta, con un'azione di forza, si è liberato della compagnia di Fofonov e si è involato fino al traguardo di Le Grand-Bornand, resistendo all'inseguimento di Landaluze, e conquistando anche la maglia gialla, strappata a un Cancellara che, finita la sua settimana di gloria, si è speso nel ruolo di gregario in favore del compagno Sastre, e si è staccato sulla salita.
L'Italia aveva in Savoldelli uno dei 15 fuggitivi, e la cosa ci faceva ben sperare (arrivo in discesa, quindi adattissimo al Falco). Ma il bergamasco si è staccato sulla salita, e pazienza: i suoi tifosi sognavano il clamoroso rientro in classifica (Gerdemann ha guadagnato quasi 4' sul gruppo), e invece alla fine Paolino ha pagato 6'36" sui migliori.
In gruppo, tutti tranquilli (a parte il colombiano Soler, che scattando nello stesso momento in cui Gerdemann lo faceva davanti, ha recuperato 2' al tedeschino, guadagnandoli sul plotone, e salendo al quinto posto in classifica: segno che a volerlo, si poteva far qualcosa); nessuno dei presunti big ha osato provare a impensierire la corazzata kazaka: buon per Vinokourov e Klöden, i due rovinati dalle cadute di giovedì. Ma domani per i capitani della Astana sarà ben più dura: lungo i 165 km per Tignes ci sono cinque Gpm (due di prima categoria) più l'arrivo in salita. Di sicuro qualcosa succederà in classifica, e di sicuro Vino e Klodi soffriranno più di oggi per salvarsi in attesa di tempi migliori.

6a tappa: Boonen
Un anno di astinenza in effetti era troppo per uno come Tom Boonen: a secco al Tour 2006, il belga bello di forme e di fattezze bramava come una mezza ossessione il ritorno al successo nella Grande Boucle. Ha masticato amaro nella seconda tappa, a Gand, allorquando il compagno Steegmans, tirandogli la volata, ha tirato quel dippiù sufficiente a farglielo vincere in prima persona, quello sprint.
Pazienza, Boonen si è concentrato sulla rincorsa alla maglia verde della classifica a punti, in queste ultime giornate, e poi oggi, alla prima occasione favorevole, ha infilato tutti gli specialisti del gruppo (chi più acciaccato, chi meno), e con la prepotenza che gli riconoscevamo nelle giornate migliori ha respinto il ritorno del furetto Freire e la stagionata tignosità di nonno Zabel, e ha potuto finalmente esultare, sul traguardo di Bourg-en-Bresse.
Della tappa resterà qualche memoria non già per la pur preziosa vittoria di Tom, né tantomeno per l'interminabile fuga di Bradley Wiggins (anche 17' di vantaggio, ripreso a 5 dal traguardo), quanto per la sofferenza di Vinokourov&Klöden, il duo di favoriti (primo e secondo secondo i bookmakers) che, caduti ieri, hanno riportato ferite multiple alle ginocchia (30 punti di sutura equamente divisi tra le due gambe per Vino) e una microfrattura al coccige (come fa il tedesco a stare in sella?). Oggi i due Astana sono arrivati al traguardo, stringendo i denti. Domani come faranno? L'arrivo di Le Grand-Bornand giunge subito dopo la Colombière, prima salita vera di questo Tour che approda sulle Alpi: e il pensiero di dover affrontare le asperità della montagna non farà dormire sonni tranquilli ai due, tantopiù che gli avversari, sapendo della debolezza di Alex e Andreas, non si faranno certo troppi scrupoli (se sono furbi) e la metteranno giù abbastanza dura. E certo, pensare a un Tour che si perde per strada anche uno come Vinokourov (che a quanto pare è tra i più amati ciclisti in circolazione: il che, vedendolo correre, non stupisce nemmeno un po'), fa ancora più male. Speriamo che il kazako resista, speriamo che il suo sogno non debba spezzarsi così presto.

5a tappa: Pozzato
Nel libro d'oro del 2007 in casa Liquigas, questo 12 luglio resterà un giorno speciale. Quasi come quelli in cui Di Luca ha vinto la Liegi o il Giro. Già, Di Luca: da lui partiamo, anche se non sta facendo il Tour de France, ma sta correndo una prova a ostacoli tra i rischi e i tranelli della giustizia italiana, sia essa ordinaria o sportiva.
L'abruzzese era ed è al centro di un'indagine denominata «Oil for Drug», risalente al 2004 ma tornata stranamente in auge subito dopo che Danilo ha conquistato l'ultima maglia rosa. Il bello è però che Di Luca aveva già assaporato l'archiviazione, chiesta addirittura dal pubblico ministero, il quale non aveva rilevato nella posizione del corridore elementi tali per richiedere accuse di sorta.
Oggi l'archiviazione è stata ufficializzata dal Gip di Pescara, tra il sollievo di Danilo e del suo popolo (praticamente tutto l'Abruzzo è con lui, in un rapporto ultrafidelizzato dall'ultimo Giro). Ma resta l'ultimo scoglio, che rischia di essere quello più scosceso: sabato infatti il corridore di Spoltore dovrà essere ascoltato dal procuratore antidoping del Coni, Ettore Torri, che ha a sua volta aperto un procedimento quando ha saputo di Oil for Drug (prima era distratto, forse).
Visto il pugno di ferro che ultimamente sta esercitando Torri, Di Luca fa bene a non esultare troppo prima del tempo, visto che quel che per la legge può non configurare reato, può essere interpretato come tentativo di frode dalla giustizia sportiva. La vicenda, insomma, non è ancora chiusa.
Ma dicevamo della natura speciale di questo 12 luglio in casa Liquigas: infatti anche sulle strade del Tour si è consumato un evento festoso per i colori della squadra di patron Dal Lago. Filippo Pozzato, pronosticatissimo di giornata, ha coronato le attese con una bella vittoria nella quinta tappa, ad Autun. Al termine di una frazione ricca di saliscendi su cui si sono mossi in fuga Bonnet, Cheula, Chavanel e Gilbert (questi ultimi due ripresi a 11 dalla fine), sull'ultima salitella il gruppo scremato ha rintuzzato tutti gli attacchi (compreso quello di Popovych allo scollinamento: l'ucraino a dire il vero si è fatto da parte da sé, con un dritto in curva subito imitato da Cancellara - per fortuna senza conseguenze per entrambi) e si è presentato sul rettilineo finale pronto per la volata.
Del buon lavoro di Ballan per Bennati, è stato Pozzato ad approfittarne maggiormente, visto che ai 250 metri il vicentino ha saltato il collega e, svicolando in mezzo a mille ruote, si è ritrovato in testa a respingere il ritorno di Freire e dello stesso Bennati, che ha chiuso terzo. È la prima vittoria italiana al Tour 2007 (eguagliato già il risultato dell'anno scorso, quando avemmo solo l'affermazione di Tosatto), la seconda di Pippo alla Grande Boucle.
Ma la giornata sarà ricordata principalmente per la sfortuna nera in casa Astana: i due capitani, Klöden e Vinokourov, sono entrambi caduti. Il primo, andato giù a 75 km dal traguardo, potrebbe averci rimesso il coccige, ma nonostante ciò è rientrato in gruppo e ha chiuso la tappa coi migliori, preservando per il momento il secondo posto nella generale. Il secondo si è scontrato con una moto della televisione a 25 km dall'arrivo, è finito per terra e ha preso delle brutte botte al sedere e al ginocchio destro, rimanendo attardato e non riuscendo più a rientrare sul primo gruppo. Un grande dispiacere vedere Vino in quelle condizioni (alla fine pagherà 1'20"), anche se le fasi in cui la Astana ha imbastito una cronosquadre per riportare dentro il suo capitano, con gli staccati del plotone che via via venivano ripresi e superati, e con Vinokourov che perdeva uno dopo l'altro tutti i suoi gregari (compreso Savoldelli, che ha chiuso a oltre 7'), sono state altamente spettacolari. Se il kazako supera bene la notte, ripartirà (di slancio, conoscendolo), altrimenti potrebbe dolorosamente ritirarsi. In quest'ottica, risulta positiva la scelta di aver preservato Kashechkin da compiti di gregariato: il delfino di Vino, terzo all'ultima Vuelta, potrebbe risultate il paracadute del fortissimo team asiatico, alla vigilia delle prime tappe importanti.
Domani l'ultima frazione interlocutoria della prima fase del Tour: la carovana continua a scendere verso sud, e da Semur-en-Auxois a Bourg-en-Bresse sono 200 km pieni di pianura, con due rampette e nient'altro prima dello sprint conclusivo. Poi si virerà verso est e gli scenari cambieranno, con le Alpi a fungere da palcoscenico per gli uomini di classifica. Ma questa è una storia che avremo tempo di raccontare.

4a tappa: Hushovd
Søren Kierkegaard. Se vivesse ai giorni nostri forse andrebbe in bici e sarebbe tesserato con il Team CSC del suo connazionale Bjarne Riis (quello che un anno fa giubilò Ivan Basso alla vigilia del Tour, e che quest'anno, per il più classico dei contrappassi, è stato giubilato a sua volta dagli organizzatori francesi, a cui non è andata giù la rivelazione del team manager che ha ammesso che per vincere il Tour del 1996 aveva preso Epo in quantità tali da sfamare un reggimento napoleonico; e poco importa che la sua squadra sia comunque in gara e abbia Fabian Cancellara in maglia gialla e vincitore di due bellissime tappe: l'importante è salvare la forma, nella lotta al doping).
Invece il filosofo ebbe la sventura di transitare sulla terra nel bel mezzo del 19esimo secolo, e a quell'epoca il ciclismo non era ancora stato inventato (forse neanche la bicicletta), e di conseguenza non esisteva nemmeno la prima settimana del Tour de France col suo cascame di depressione. Quindi in generale ci si divertiva molto meno, tranne che nella prima settimana di luglio, quando ci si sollazzava molto più che oggi.
Forse ciò è stato un bene per la filosofia, visto che il buon Kierkegaard, nella malinconia infinita dei suoi pomeriggi danesi, mai interrotta da una Milano-Sanremo o da una Parigi-Roubaix o da un Giro d'Italia, ha potuto mettere a punto una serie di teorie cupissime che sono poi risultate essere il presupposto per l'esistenzialismo.
Ma di sicuro non è un bene per nessuno l'incaponirsi degli organizzatori del Tour, che continuano a tormentare i poveri appassionati con intere giornate poco dense di significati. E per fortuna che quest'anno le montagne arrivano un po' prima, perché iniziamo a sentire il peso delle stagioni sommate alle stagioni, e queste lunghe tappe di trasferimento che poi si concludono con l'immancabile volata iniziamo a digerirle sempre meno.
Kierkegaard avrebbe detto che questa può essere una strada per ascendere dalla vita estetica a quella etica, o meglio ancora a quella religiosa. Noialtri, che abbiamo nel sangue meno senso del peccato e più rock'n'roll, vorremmo semplicemente divertirci un po' di più guardando le tappe. Un dentello qua e là, una salitella, del terreno per imboscate: non ci pare in fondo di chiedere troppo alla Societé du Tour de France.
E ci va ancora bene, perché domani in effetti questo movimentismo ci sarà, almeno in parte: nell'infinita discesa verso sud della Grande Boucle, la Chablis-Autun (182 km) transiterà per 8 salitelle, quindi la fuga prenderà corpo e sarà difficile da controllare per le squadre dei velocisti. Tantopiù che l'ultima rampa scollina a 8 km dal traguardo.
Oggi invece, solito copione a Joigny: fuga a 5 (Flecha, Verdugo, Sprick, Chavanel, Knees) ripresa a 7 km dal traguardo, e volata vinta da Hushovd su Hunter (poi preda di una crisi di nervi per l'occasione mancata), Freire e Zabel. Napolitano, un po' ondivago nel cercare la ruota giusta benché precedentemente guidato ottimamente da Ballan, è quinto. Cancellara sempre in giallo.

3a tappa: Cancellara
Ci sono giorni che un po' di sano doping servirebbe a chi lo segue, il ciclismo, più che a chi lo pratica. Tipo quando la tappa più lunga del Tour de France inizia ad un orario impossibile (mezzogiorno), viene percorsa ad andatura cicloturistica, con la classica fuga da lontano, e si fanno le sei e mezza del pomeriggio senza che questi sfaticati siano arrivati al traguardo.
Sfiancante, vero?
E ci sarà anche chi avrà il coraggio di dire che queste medie sono il segnale di un ciclismo finalmente (più) pulito. Una filastrocca che sentiamo da secoli, e ormai non ci concilia più nemmeno il sonno: scorre via nella totale indifferenza, e nella consapevolezza che non sono propriamente questi i segnali. Anzi, chissà se non ci troviamo di fronte a un gruppo che lo fa apposta ad andare piano. Comunque, 35 km/h di media: per chi sognava il ciclismo dei tempi andati, ci sarebbe di che gongolare. Noialtri, che invece ormai abbiamo capito che cosa c'è dietro a questo sport, sorridiamo meno.
Però poi, la bellezza del ciclismo si rivale in tutta la sua prorompente vitalità allorché, nel finale di Compiègne (sede di partenza della Roubaix), quello che era stato un noiosissimo pomeriggio sportivo si trasforma in un palpitante epilogo sprizzante pathos e atletismo.
E i titoli di coda che subito iniziano a scorrere sulla tappa appena finita, permettono di passare direttamente ai ringraziamenti: a Nicolas Vogondy e Mathieu Ladagnous, in fuga dall'inizio e coraggiosi perché crederci è sempre un atto di coraggio. A Frederik Willems e a Stéphane Auge, che quando i due battistrada stavano per lasciarsi morire di inedia perché non ce la facevano più, sono emersi dal gruppo per andare a dar man forte, e infatti quando sono arrivati loro la fuga si è di colpo rianimata, rischiando seriamente di giungere a compimento.
Ma grazie soprattutto a Fabian Cancellara, che si è inventato un gioco di prestigio che non è roba da tutti i giorni: il rettilineo finale veniva dopo un breve tratto in pavè, su cui il gruppo e i fuggitivi si erano spaccati le gambe, mentre lo svizzero in maglia gialla ha tratto lo slancio per uscire bene da una curva e partire di potenza, davanti a tutti, recuperando da solo gli attaccanti ormai sfiniti, e anticipando di poco la volata che ha visto Zabel battere tutti i colleghi velocisti. Cancellara assomma così la seconda vittoria di tappa, e si rafforza in maglia gialla.
Noi portiamo a casa un altro terzo posto, dopo quello di Pozzato a Gand, nella seconda tappa. Stavolta è toccato a Napolitano piazzarsi: il siciliano sta prendendo le misure al Tour, e se non fosse incappato in un paio di rallentamenti nel finale, chissà, magari poteva anche fare il colpaccio. Conoscendolo, Danilo non si arrenderà certo così, quindi aspettiamolo ancora.
Magari già domani, al termine di un'altra giornata che rischia di essere noiosetta. Si continua a scendere verso sud, e da Villers-Cotterêts a Joigny ci saranno 193 km che presentano ben quattro gran premi della montagna, peccato che siano tutti di quarta categoria. Un'altra possibilità per gli sprinter. La diretta tv inizierà nel primo pomeriggio, speriamo non si protragga fino all'ora di cena.

2a tappa: Steegmans
In effetti il quadretto ci sta tutto. Il Tour, reduce dall'avvio britannico, arrivava in Belgio, più precisamente nelle Fiandre, e quindi è più che normale il dominio di due belgi, più precisamente due fiamminghi, nella volata in leggera salita di Gand. E volendo, ci stava anche che potesse verificarsi una doppietta (sempre di una squadra belga, anzi fiamminga), primo e secondo con la stessa maglia.
Quel che ti aspettavi un po' meno, però, era che quei due, Tom Boonen e il suo apripista Gert Steegmans, arrivassero a posizioni invertite: l'ex campione del mondo sta vivendo un periodo un po' così, non riesce ad essere più il vincente di uno o due anni fa, e a dire il vero non riesce neanche a sembrarlo. E così, quando la Quick Step (molto più quadrata del giorno prima) predispone il tappeto rosso al suo capitano, per permettergli di tornare al successo, lui non ne approfitta, non riuscendo a uscire dalla ruota di colui che gli stava lanciando la volata.
E' sempre un tantino sorprendente vedere il gregario che batte il capitano (quando questi non lo lasci vincere), e quindi anche a Gand la sensazione di stupore ha ammantato il dopogara, anche perché non capivi se Boonen, che pure al traguardo aveva esultato (lo faceva perché era contento del successo di squadra? Dubitare è lecito), si fosse ingannato, o fosse impegnato nella sacra funzione del buon viso a cattivo gioco.
Ma la tappa partita da Dunkerque e conclusasi nella città della celebre classica primaverile, vissuta sulla lunga e segnata fuga di Hervé, Pérez Moreno e Sieberg, ha registrato il momento di massimo pathos a un chilometro e mezzo dalla fine, allorquando Ongarato, sbandando nelle prime posizioni del plotone, ha colpito Quinziato buttandolo sulle transenne, con subito dietro il ruzzolone generale, iniziato da Napolitano e Bennati (già abbiamo pochi italiani in gara, se poi si abbattono pure fra loro è finita), e conclusosi in un ingorgo di circa 30 corridori sull'asfalto, sull'intera larghezza della sede stradale.
Per fortuna, a quanto pare, nessuno ha riportato conseguenze serie, anche se la maglia gialla Fabian Cancellara ha tagliato il traguardo dolorante al polso sinistro (Vinokourov invece s'è fatto il segno della croce: «Mi è andata bene»). La prima parte del gruppo spezzato (ma non verranno conteggiati ritardi) ha poi fatto la volata, nella quale portiamo a casa il buon terzo posto di Pozzato.
Anche domani il Tour continua il suo percorso di molle avvicinamento alle montagne (da sabato Alpi): Waregem-Compiègne, 236 km, si rientra quindi in Francia dopo tre giorni di nomadismo, e si arriva nella località da cui prende le mosse la Parigi-Roubaix. Gara di tutt'altro fascino (lo ammetteranno gli stessi organizzatori della Grande Boucle) rispetto a questa tappa che - seppur lunghetta - è molto facile e non provocherà disturbi a nessuno.

1a tappa: McEwen
Sarà un festival dello sprint più breve rispetto ad altre edizioni del Tour de France (sabato saremo già sulle Alpi), ma ad ogni buon conto Robbie McEwen mette già un pallino a favore, e con la volata di Canterbury si conquista anche l'incontrovertibile appoggio della giuria di qualità. Sin dal primo sprint, già sulla fiducia: perché una simile esplosione di forza, potenza, rabbia, efficacia, sarà difficile rivederla a breve.
Basti pensare che l'australiano, in una giornata in cui le cadute e le forature in gruppo si sono moltiplicate, non ha voluto farsi mancare niente, e ha collezionato sia il ruzzolone che il guaio meccanico. Quest'ultimo nel finale, tanto che sembrava che per il folletto di Brisbane non ci fosse più niente da fare per stavolta.
Ma la tenacia di MagicEwen ha colmato il gap scavato dalla sfortuna, e così a 8 km dalla fine l'australiano è rientrato sui migliori, ha iniziato a respirare in mezzo al gruppo, ha salvato tutto il salvabile e si è mentalizzato sulla volata.
Nel frattempo, la Quick Step di Tom Boonen stava dando tutto e più di tutto, per tenere in fila il plotone e per lanciare al meglio il capitano. Il treno del team belga si lanciava però un po' troppo presto, e soprattutto senza che il capostazione avesse verificato che l'ultimo vagone, il più importante, fosse al suo posto.
La lotta fra treni tra Quick Step, Crédit Agricole e Milram sembrava però escludere ogni altro contendente. Ci ha provato Degano, ottimo spunto ai 400 metri, che ha scompaginato i piani di Napolitano (in quel momento in terza ruota, ma poi chiuso da Vaitkus, che ha rallentato davanti a lui, e Burghardt, che l'ha affiancato con una certa arroganza - leggasi: spallate).
Ma anche Degano è stato risucchiato. E allora, ai 200 metri, quando era in una posizione tra la quindicesima e la ventesima, McEwen ha visto la luce e, una capriola dopo l'altra, ha recuperato tutto il terreno, bruciando l'asfalto e superando in tromba tutti quanti, con una veemenza che l'ha portato a vincere quasi per distacco davanti a Hushovd e a Boonen.
La maglia gialla resta a Cancellara, come da pronostico, e invece l'Italia piange miseria, con Napolitano che nella tappa è comunque stato il migliore dei nostri, ma solo 19esimo, giusto davanti a Quinziato, e con Bennati e Pozzato malamente anonimi.
Ancor più miseria piange la Gran Bretagna che, pur avendo organizzato questa partenza, non raccoglie quello che sperava: Millar era atteso ieri ma nella breve crono d'apertura ha un po' deluso, e allora ha provato oggi a farsi perdonare, andando in fuga dall'inizio e battagliando, insieme a Grivko, Auge, Bichot e Kuschynski, sui tre Gpm di giornata (dando un senso al lunghissimo pre-volata). L'altro paladino di casa, Cavendish, non ha potuto fare lo sprint per un guaio meccanico che l'ha indotto ad una crisi di rabbia domata a fatica dal suo staff. Gli andrà meglio un'altra volta, magari quando non firmerà per primo il prossimo rotolo di carta igienica doppio strato dell'Uci. Nell'attesa, camomilla please.
Domani il Tour torna sulla terraferma, anche se da Dunkerque si sconfinerà subito, per approdare al traguardo di Gand in Belgio: 168 km piattissimi, occhio giusto al vento che potrebbe scombinare qualche piano.

Prologo: Cancellara
Si scrive cronoprologo, si legge Fabian Cancellara. Lo svizzero campione del mondo contro il tempo si sta ormai specializzando nel far sue le brevi crono iniziali dei giri, e dopo aver vinto quella del Tour de Suisse appena tre settimane fa, si è ripetuto nella gara più importante del mondo, quel Tour de France in cui aveva compiuto identica impresa nel 2004.
Primo nel prologo di Londra, primo in classifica, equazione perfetta così come perfetta è stata la prestazione di Cancellara, che a tratti, pennellando le curve passando a mezzo centimetro dalle transenne, dà più l'impressione di essere uno sciatore impegnato in uno slalom speciale, che un ciclista in bicicletta. Inimitabile nello studiare le traiettorie, fortissimo nel rilanciare l'andatura dopo ogni curva, irresistibile quando si tratta di alzare il ritmo sui rettilinei: il risultato è che non ci poteva essere un altro vincitore per questo primo appuntamento della Grande Boucle.
La superiorità dell'elvetico di origini lucane è stata così schiacciante da non necessitare altri commenti che non siano il riporto nudo e crudo dei distacchi: Fabian ha completato i 7,9 km del prologo in 8'50", alla media oraria di 53,7, unico a scendere sotto i 9'. Il secondo, il tedesco Klöden, ha chiuso a 13" da Cancellara, Hincapie terzo è arrivato a 23", stesso tempo dell'uomo di casa Bradley Wiggins, quarto, mentre quinto, a 25" dal vincitore, è stato il giovane russo Gusev, reduce da un ottimo Giro di Svizzera.
I favoriti per la vittoria finale: buoni Karpets (sesto a 26") e Vinokourov (settimo a 30"), discreti Contador (15esimo a 35"), Kashechkin (16esimo, a 35" anche lui) ed Evans (17esimo a 36"), non eccezionali Leipheimer e Menchov (26esimo e 27esimo a 40") e Valverde (32esimo a 43"), maluccio Sastre (92esimo a 56").
Gli italiani? Sono solo 17, che ci vogliamo fare, a parte intristirci un po' ripensando a quando, appena pochi anni fa, eravamo in numero preponderante, e soprattutto sapevamo essere protagonisti in classifica? Sono così pochi che li possiamo anche citare tutti, senza far torto a nessuno: il più blasonato è senz'altro Paolo Savoldelli, che però correrà per aiutare Vinokourov e Klöden, quindi non farà classifica. Poi le ruote veloci Bennati, Napolitano, Pozzato, Degano, Corioni; poi i tanti uomini che lavoreranno per i compagni o che inseguiranno una fuga, a partire da Ballan proseguendo con Cioni, Bruseghin, Bossoni, Moreni, Tosatto, Cortinovis, Ongarato, Cheula, Longo Borghini e Righi; per finire con colui che, per i nostri colori, si merita la copertina del giorno: Manuel Quinziato, discreto cronoman che ha indovinato una prova davvero convincente, chiudendo il prologo londinese al nono posto, a 32" da Cancellara. Savoldelli è stato 23esimo a 38" dallo svizzero.
Domani il Tour chiude già il suo dittico britannico, e da Londra la carovana si muoverà alla volta di Canterbury, attraverso 203 chilometri sostanzialmente piatti, e con tre salitelle che non faranno male a nessuno. E non è nemmeno il caso di richiamare in ballo un celebre scioglilingua chiedendosi cosa succederebbe se l'arcivescovo si disarcivescovizzasse, visto che Cancellara, nel ruolo, ci sta addirittura da papa, con tutti i possibili pretendenti a queste prime maglie gialle (quindi i velocisti) ben distanti, a oltre 40" di ritardo, il che significa un gap più ampio degli abbuoni che si potrebbero conquistare con due vittorie di tappa: per farla breve, Cancellara rischiamo di portarcelo in pole position fino alle montagne.


Marco Grassi    

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