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Chi lo prende questo Killer? - Anche in salita Di Luca fa sfracelli

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Quanti bookmakers avranno avuto la tentazione di non quotare nemmeno il ritorno di Danilo Di Luca in maglia rosa al Santuario di Montevergine di Mercogliano? Parecchi, di sicuro. Tanto luminoso era stato fino a qui il percorso dell'abruzzese in questo Giro, che non era il caso di elucubrare più di tanto: su un traguardo del genere, né facile né difficile, con la presunzione (anzi la certezza) che sarebbe arrivato un gruppetto a giocarsi la volatina, se anche Danilo non avesse vinto la frazione, avrebbe senz'altro fatto meglio di tutti quelli che erano col suo stesso tempo (parliamo degli altri Liquigas), a partire da quel Gasparotto che, dopo l'arrabbiatura provocata al suo capitano il primo giorno, ha recitato in maniera perfetta nel gioco delle parti in squadra: oggi a me, domani a te, e tutto il resto vien da sé.
Vien da sé e viene bene, specie quando hai una gamba rotante come quella di Danilo, che giorno dopo giorno teme sempre meno le alabarde spaziali altrui, e, convintissimo dei suoi mezzi, esibisce una sicurezza in gara che altri si sognano. Un leader fatto e finito, ecco cosa. Un leader indiscutibile e indiscusso, e quando è così è facile vedere una squadra di quella forza lavorare così alacremente, così compiutamente in favore del capitano, perché tutti sanno che il loro dovere porterà al successo di gruppo. Un concetto sintetizzato dallo stesso Di Luca, che elogiando i suoi si è ritagliato il sin troppo limitato ruolo di colui che ha "pedalato solo per 200 metri".
Non è così, ovviamente, ma il paradosso val bene una messa (quella metaforica che si celebra sul palco dopo la tappa, coi frati del Santuario che premiano Danilo con un'icona della Madonna: pace fatta con le Alte Sfere dopo le bestemmie sarde), e comunque concretizzare il lavoro degli altri non è mai facile. E vediamo, allora, com'è che Danilo ha portato a compimento il progetto di vittoria odierna, in questa prima tappa continentale del Giro 2007.
Della fuga di giornata che dire, se non che ci hanno provato Brutt (recidivo, e per di più in maglia verde, con l'obiettivo quindi di consolidarla sul Gpm di terza categoria di Picco Sant'Angelo), Krivtsov e Irizar? Se il Pro Tour ci porta al Giro le squadre internazionali (o quel che ne resta), è anche giusto che questi ragazzi stranieri, schiera dalla quale al 99% non verrà fuori un uomo d'alta classifica, si facciano vedere almeno giornalmente.
L'andamento pare scontatello, un vantaggio massimo di 5', poi un lento declinare in vista dell'ascesa finale; senonché ci si mette di mezzo la pioggerellina, quella bella, dolce pioggerellina primaverile che rinfresca l'aria ma al contempo rende il fondo in lastricato di Sant'Antonio Abate (località a 80 km dal traguardo) più scivoloso di un piatto doccia muschiato. E allora basta che uno (Gasparotto) perda il controllo del mezzo, che come in un domino devastante tutti finiscono giù: cadono forse in 50, in una configurazione laocoontica di cui si hanno poche rimembranze, almeno relativamente ai tempi recenti. E ne cadono anche di importanti, tanto che per qualche minuto, giustamente, si teme.
Santi numi, no, speriamo di no, già è un Giro decurtato di qualche personaggio di una certa rilevanza, ci manca solo che qualcun altro vada a casa dopo essere finito a gambe all'aria. In effetti proprio Gasparotto, maglia rosa, patisce alquanto, dolore all'anca sinistra, riparte e finisce la tappa, ma non senza una notevole sofferenza; e soprattutto Bettini, ancora una volta, si ritrova coinvolto nello scivolone e si fa di nuovo male, e di nuovo al costato. Va avanti pure lui, i Quick Step gli danno tutto il sostegno possibile per riportarlo dentro, e - pur con la casacca aperta, continuando a massaggiarsi e a fare grandi smorfie di dolore - il Grillo riesce a stare coi migliori fino a tre chilometri dal traguardo, dopodiché molla la presa e inizia a mentalizzarsi sulle prossime tappe, sperando di riprendersi quanto prima.
Cade anche Cunego, ma non si fa niente; cade Di Luca, botta al sedere, ma anche per lui niente di grave; cade Savoldelli, e riparte pure lui senza danni apparenti. Peggio di tutti va McLeod, sudafricano che ci rimette la clavicola sinistra.
Il parapiglia generale favorisce un riprendere quota della fuga dei tre, che raggiungono quasi 7' di margine sul gruppo (che si attarda ad aspettare tutti i rialzati); ma l'azione dei tre di testa è destinata a scemare, e così succede: sono i colpi di Saunier Duval (hai capito Richie Rich, che personalità!) e, ovviamente, di Liquigas ad abbattere il gap. Si arriva ai piedi della salita conclusiva con Rabon che è il primo a emergere dal gruppo per provare un qualcosa. In contropiede parte Pérez Cuapio, uno che una volta all'anno si ricorda di essere stato un corridore di una certa bravura: il messicano resta all'attacco praticamente fino all'ultimo chilometro, guadagnando fino a 18" (che su una salita del genere sono un margine notevole), ma nulla può quando il forcing di Nibali e poi di Pellizotti gli riportano alle calcagna Di Luca e compagni.
E lì, nell'ultimo chilometro, mentre Simoni e Savoldelli (e Popovych) hanno perso le ruote dei migliori, Di Luca si lancia nella volata, quando al traguardo mancano meno di 400 metri. Riccò, capitano di giornata sul campo, tiene e tiene e tiene la ruota di Danilo, ma gli manca un grammo di esplosività, e allora non riesce a uscirne, e deve accontentarsi del secondo posto, come alla Coppi&Bartali. Cunego, lì nell'ombra per tutto il tempo, chiude al terzo posto, senza perdere altro che quel po' di abbuono, ma guadagnando praticamente su tutti gli altri rivali che non sono Di Luca e confermando che quest'anno bisognerà seriamente fare i conti con lui. Poi Schleck il giovane, poi Garzelli, poi Pellizotti e via via tutti gli altri: nessun terremoto, naturalmente, ma scossette di assestamento.
E su tutto, la figura carismatica di Di Luca. Sia chiaro: non cadremo certo nell'errore di considerare il pescarese già comodamente avviato verso un'affermazione che fino a un paio d'anni fa sarebbe sembrata piuttosto remota come ipotesi. Perché, scorrendo la classifica fino al sesto posto, si trova il nome di Cunego, per l'appunto, e Cunego ha la faccia furbetta di uno che sa di poterla fare grossa. Vedremo, c'è un sacco di tempo per pensare a tutte le possibili combinazioni; e c'è un sacco di tempo per pensare anche che Riccò possa fare il miracolo di ritornare su, in classifica. Per ora paga il minuto e mezzo lasciato per strada nella cronosquadre. Ma si sa, i giovani sono pazzarielli, sono imprevedibili. Di Luca-Riccò-Cunego: casualmente, l'arrivo di oggi. Profuma terribilmente di podio. Podio milanese, intendiamo.

Marco Grassi    

 

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